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Il sindaco incontra gli sfrattati. Gli attivisti: “C’è stata un’apertura”. I disperati raccontano le loro storie e implorano un tetto

Sono le anime perse, i senza identità, i fantasmi di Parma. Profughi della vita che ignoravano i più, fino a quando non sono diventati “sfrattati dal Comune” scesi in strada a gridare disperazione.

Erano alla Corte di Frara, al Residence Parmigianino, al Leon d’Oro o al Pineta di Collecchio. Aspettavano una Casa Popolare, o d’emergenza, che dir si voglia, aderenti al progetto “una casa per ricominciare”.

Ma invece della casa è’ arrivata una raccomandata: “Il Comune ha finito i soldi, siete fuori. In strada. Anime Perse”. Trenta famiglie, almeno quattro persone a nucleo. Alcune già in strada, altre prossime ad essere senza tetto.

Venerdì pomeriggio l’incontro al Duc, con il sindaco Pizzarotti. All’uscita per tutti parla Katia Torri, attivista della Rete Diritti in casa: “Loro sono disperati e pronti a tutto, ma abbiamo ricevuto un’apertura dall’amministrazione.S i cercheranno soluzioni provvisorie per tutti, si è’ parlato anche di chiedere aiuto alla protezione civile, non possiamo mettere trenta famiglie in mezzo a una strada. Mercoledì l’amministrazione inizierà ad incontrare le singole famiglie, e intanto si studieranno soluzioni. Nel frattempo staranno a casa nostra, da Art Lab e degli attivisti, poveri che ospitano poveri”.

Scomoda Giorgio La Pira, sindaco di Firenze negli anni ’50, che requisì le case sfitte ai ricchi, la Torri: “Si potrebbe fare così, requisire le case ai feudatari di Parma e darle provvisoriamente a chi ne ha bisogno, col Comune che anziché i residence paghi una piccola cifra a loro, in attesa di sistemazioni definitive”.

Gia’, perché il residence costa 1200 euro al mese a famiglia. Troppo.

Ed ora loro implorano attenzione. Ecco alcune delle loro storie:

C’è Dana Bucra, marocchina. E’ in Italia da 16anni, ha due figli gemelli di 4 anni, un marito italiano di 63. Lui fa il meccanico part-time, lei non lavora. Abitavano in Piazzale Lubiana, pagavano l’affitto, erano “normali”. Poi la crisi, il marito senza lavoro, lo sfratto per morosità.

Dal 25 aprile sono ospitati al Leon D’Oro, dal primo agosto hanno ricevuto il “via”. Hanno attivato la procedura per una casa d’emergenza, che costerebbe loro 50 euro al mese di affitto. “E’ in gioco la nostra dignità” – dice. “Dal 2011 ci siamo attivati coi servizi sociali per una casa popolare, ci promettono un alloggio in quelle nuove dell’Acer a Vicofertile da mesi, ma ora sembra sia tutto fermo. E siamo qui a chiedere aiuto, perché dal 1° settembre dovremmo lasciare il Residence”.

C’è Ramiz Daci, albanese, 53 anni. Faceva il muratore, ora è senza lavoro. La moglie fa la lavapiatti, in famiglia sono in 5. Avevano una casa, che hanno perso quando la crisi lo ha lasciato senza mestiere. Sono stati un anno e mezzo alla Corte di Frara, pagando 250 euro al mese. Ora sono in mezzo alla strada da un mese. I tre figli, disoccupati, dormono per terra nel bifocale di un quarto fratello, sposato con prole. Lui e la moglie in macchina, o sulle panchine del Barilla Center. Stesso loro destino una famiglia di napoletani: “Erano la con noi, ora Dio sa dove sono finiti”

Ci sono i disperati del Residence Parmigianino. E quelli del Pineta. Di loro abbiamo raccontato mercoledì.

Sono tanti, troppe storie.

Anime provvisoriamente al riparo.

In attesa di mercoledì. In attesa della Commissione del 15 settembre che formulerà i punteggi di miseria. Ai vincitori nella guerra degli stracci, una casa. Per il momento.

(Francesca Devincenzi)

 

 

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