L’ulltimo mitomane a salire sul proscenio è stato Giampietro Manenti, perito agrario originario di Limbiate diventato presidente del Parma due mesi fa. Giacca sdrucita, barba incolta e record mondiale di precedenti penali – lesioni, possesso illegale di armi, bancarotta semplice, tentata estorsione – l’imprenditore ha avuto una parabola ancor più fulminea di altri maestri della menzogna: a 39 giorni dall’acquisto della squadra è finito dietro le sbarre di San Vittore, accusato di aver tentato di riciclare il bottino di una banda di pirati informatici.
Già: Manenti aveva promesso mari e miliardi per salvare la società, ma nel portafoglio aveva solo l’euro con cui rilevò il Parma (e i suoi 218 milioni di debiti) dal magnate del petrolio Rezart Taci. “Se Giampietro fa questo passo o è uno da trattamento sanitario obbligatorio, o un uomo che ha davvero voglia di fare. Diamogli tempo”, tranquillizzò il manager e amico Fiorenzo Alborghetti?.
Ebbene se Manenti non è un pazzo deve essere di sicuro annoverato tra i grandi mitomani da prima pagina, personaggi cult che l’Italia produce in quantità industriale. Figure tragicomiche alla Mario Scaramella e alla Raffaello Follieri, bugiardi specializzati in truffe e millanterie come Davide Vannoni, o narcisi dotati di fantasia spiccata – vedi il conte polacco Igor Marini – e doti di affabulazione non comuni. Di cazzari e ganassa se ne trovano ovunque sulla terra, ma nella patria di Totò mietono successi insperati, toccano zenit vertiginosi, e vengono presi sul serio non solo dalle vittime sprovvedute, ma pure da potenti, ministri e scafati capitani d’industria.
BUGIARDO SERIALE
“Io non l’ho mai visto uno così, ce l’aveva scritto in faccia di essere un bidone. È un mitomane. Purtroppo ho avuto la sfortuna di incontrarlo per primo”, ha detto di Manenti il patron del Brescia Gino Corioni, che a fine 2013 trattò con lui la cessione delle “rondinelle”.
Ma prima di arrivare su una vecchia Skoda Octavia all’appuntamento decisivo (si fece accompagnare da Felice Garzilli, ex stopper della Cremonese diventato suo consulente finanziario) Manenti attraverso la sua Mapi Group (7500 euro di capitale sociale e quartier generale a Nova Gorica, in Slovenia, in un casolare in campagna di proprietà di una coppietta di commercialisti, Dusan e Nevenka Bremec) ne aveva tentate di ogni genere: dall’assalto alla Pro Vercelli a quello alle Cartiere Pigna (“investiremo 200 milioni di euro”), passando per una proposta indecente all’allora commissario straordinario della Parmalat Enrico Bondi, a cui il perito agrario giurò che un suo brevetto per un nuovo sistema di imbottigliamento sarebbe stato – di lì a poco – comprato dalla Coca-Cola. Un ballista seriale titolare di una minuscola impresa di pulizie, che un mese fa è riuscito a sedersi con i vertici della serie A a discutere del futuro di una delle squadre più blasonate.
“Coi nostri soci lavoreremo sui mercati che hanno interesse anche nel tessuto produttivo del territorio», declamava Giampietro «potrebbero essere russi, ucraini, americani, bielorussi, bulgari o serbi. Ci dedicheremo a vari campi, dal parmigiano reggiano al prosciutto crudo, passando per il riso e la pasta. Ad esempio, qui a Parma c’è una fabbrica che produce caldaie a pellet, noi le produciamo in un paese dell’Est Europa…”.
GLI SPACCONI
Come recita il dizionario Treccani, “il megalomane ha la tendenza ad atteggiamenti di grandiosità, a imprese sproporzionate alle proprie forze: è detto anche delirio di grandezza, e può essere sintomo di disordine mentale o soltanto un atteggiamento caratterizzato da presunzione e orgoglio eccessivi”.
Nel caso di Manenti, ovviamente, siamo di fronte a un semplice impostore, un re delle frottole. Una carriera, quella fondata sulla Bugia, che ha deciso di intraprendere fin da ragazzo anche Alessandro Proto, presunto finanziere quarantenne che proprio a Manenti voleva dare mezzo milione per pigliarsi il Parma.
Dalla padella alla brace: Proto, secondo il gip che due anni fa lo spedì in galera, non è affatto “una giovane promessa della finanza”, come molti lo hanno descritto, ma «un abile truffatore che ha danneggiato sprovveduti investitori.
Un diploma all’istituto Gonzaga di Milano e due società aperte in Svizzera e in Gran Bretagna, vestito sempre elegante perché per lui è l’abito che fa il monaco, il giovin Alessandro è ancora in pista, nonostante nel 2013 abbia patteggiato tre anni e 10 mesi per aver diffuso informazioni farlocche su sue presunte scorribande a Piazza Affari. Rivelatesi completamente virtuali: dal 2010 ad oggi il megalomane classe ’74 – pare senza un soldo in tasca – ha annunciato nell’ordine di aver comprato il 2,8 per cento di Tod’s, quote di Unicredit, Mediobanca e di Rcs. E, all’uopo, di voler salvare Fonsai, di costruire cordate per l’ospedale San Raffaele, per La7 o il giornale “Pubblico”. Tutte fandonie.
Nonostante le sparate, in quattro anni l’Ansa gli ha dedicato 123 lanci, e importanti testate decine e decine di articoli: Proto fece persino trapelare di essere lui l’intermediatore immobiliare di Madonna (“è pronto per lei un attico a piazza Erbe a Verona”) e Brad Pitt. Come le barzellette sui matti che si credono Napoleone, annunciò in tv di essere come “il Berlusconi del ’94: correrò per le primarie del Pdl contro Alfano, sono disgustato dal declino di questo partito e voglio rimetterlo in piedi”. Oggi il rampante dovrà capire come pagare la sanzione da 4,9 milioni di euro che la Consob ha comminato alle sue società: Proto sembra praticamente nullatenente.
“La ‘tendenza’ mitomaniaca o megalomanica” ha scritto lo psicologo Nicola Ghezzani su “Mente&Cervello” «è piuttosto diffusa. Assolve alla funzione narcisistica di proteggere il soggetto dall’angoscia annichilente di valere poco o nulla… La sua grande diffusione sociale dipende sia da fattori psicologici intrinseci, sia da fattori sociologici: nel mondo attuale chi conta è colui che appare molto, che si esibisce, che stupisce. Per esistere dobbiamo contare per tutti, non solo più per qualcuno. In ciò i media contano moltissimo».
Di certo i megalomani rischiano che la loro caduta sia rovinosa: tanto più il castello di carte è alto, tanto più il crollo sarà devastante. Se il giornalista Oscar Giannino, che s’è inventato due lauree e un master alla Booth School of Business di Chicago («un grave errore dovuto a un complesso di inferiorità, lo ammetto») se l’è cavata con la fine del suo progetto politico, il professor Davide Vannoni, fondatore del Metodo Stamina, ha da poco patteggiato 22 mesi con la condizionale.
Anche qui la scalata al successo del professore di psicologia che millantava di aver trovato una cura alle malattie neurovegetative è stata aiutata dalla grancassa dei media italiani: senza alcuna prova scientifica la trasmissione “Le Iene” ha infatti supportato per mesi il metodo ideato dal prof dell’Università Niccolò Cusano, laureato non in medicina ma in scienze della comunicazione.
PER 15 MINUTI DI CELEBRITÀ
Se per l’epigono di Luigi Di Bella la fine è stata ingloriosa, per Raffaello Follieri l’atterraggio è stato ancor più duro: il faccendiere è passato dalle vacanze da urlo con l’attrice premio Oscar Anne Hathaway alla prigione federale di Loretto, in Pennsylvania. Nato a San Giovanni Rotondo, il paese di Padre Pio, Raffaello tenta il miracolo già a 21 anni, quando riesce a scomodare il duca e la duchessa d’Orléans per lanciare una linea di lusso di prodotti di bellezza. Comincia a spararle subito grosse: «”Schatush” è il cachemire preziosissimo fatto con la barba delle capre indiane, perciò ho scelto questo nome: intendo costruire uno stabilimento da cinque miliardi di lire a Foggia, che darà lavoro ad almeno 30 persone».
L’avventura con la Beauty Planet però non decollerà mai, così Raffaello – fuoricorso e pieno di debiti – tenta il sogno americano, e nel 2003 parte per New York. Senza un dollaro in tasca ma con uno charme invidiabile, s’inventa presto un personaggio da jet-set: millanta di avere un rapporto speciale con il Vaticano e riesce a convincere miliardari a investire denaro per comprare immobili della chiesa a prezzi stracciati. Comincia a frequentare i Clinton, corteggia il candidato repubblicano John McCain, viaggia con un aereo privato, compra diamanti e zaffiri alla fidanzata.
«Mr Truffa» è al verde, ma per la dolce vita usa i dollari che gli versano a vagonate i polli che incontra, in primis il re dei supermercati Ron Burkle.
Il gioco di prestigio (Follieri sventolava davanti alle sue vittime anche finte lettere di papa Giovanni Paolo II) non può però funzionare in eterno: il ragazzo viene così arrestato per frode e riciclaggio e sbattuto in gattabuia per quattro anni. «È un giovane di buone intenzioni», dice il suo avvocato Flora Edwards, ma la straordinaria fantasia, per i giudici americani, non è un’attenuante.
Uscito nel 2012, Raffaello fa una puntata a Londra, qualche tentativo di investire nelle energie rinnovabili in Svizzera e infine torna a Foggia, dove lavora nello studio di famiglia. «Non si può cancellare con una gomma tutto quello che ho fatto», spiegò.
«Tutte le mie operazioni immobiliari sono vere, concrete. In Canada, negli Stati Uniti, in Brasile. Mi hanno contestato anche l’affitto dell’appartamento sulla Fifth Avenue appartenuto a Khashoggi, ma dove avrei dovuto incontrare i grandi investitori con i quali avevo rapporti imprenditoriali? Dentro una Fiat 500?».
CONTI E CONSULENTI
«Mitomani e megalomani» ragiona ancora il dottor Ghezzani «si espongono a gravi rischi sociali: disistima pubblica, perdita dell’affetto e dell’amore, talvolta catastrofi economiche e giudiziarie». Il “conte” Igor Marini non fa eccezione. Sedicente aristocratico polacco, in realtà facchino dell’orto-mercato di Brescia e attore semiprofessionista, si presentò nel 2003 davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia, istituita per far luce su presunte illegalità nell’affare che portò Telecom Italia a comprare il 29 per cento dell’azienda serba.
Consulente finanziario, «guardiano del Santo Sepolcro» e a suo dire intimo di Wojtyla (rivelò che il papa avrebbe abdicato per far posto a Carlo Maria Martini, che avrebbe preso il nome di Paolo VII), Marini spiegò ai commissari di essere stato lui a gestire una maxitangente da 400 milioni di dollari, spartita tra conti intestati a «Mortadella», presunto nome in codice di Romano Prodi, «il signor Ranocchio e la signora Ranocchia» (alias Lamberto Dini e la moglie), e il «signor Cicogna», identificato dal conte in Piero Fassino. Incredibilmente, senza uno straccio di prova, gli esponenti del centrodestra come Enzo Trantino prendono le dichiarazioni del mitomane (uno che aveva convinto la seconda moglie a vendere la sua auto per investire su titoli indonesiani) per oro colato.
Le sue ricostruzioni finirono 32 volte consecutive sulla prima pagina del “Giornale”. In un delirio crescente Marini tirò dentro anche i cardinali Camillo Ruini e Martini, i politici Walter Veltroni e Francesco Rutelli, prima di finire dentro per calunnia ai danni di un magistrato. Per il falso dossier su Telekom-Serbia lo scorso gennaio la Cassazione ha condannato il “conte” a sette anni e mezzo di carcere: a nulla è valsa la richiesta del suo legale di concedere le attenuanti generiche, chieste perché furono «i media a rafforzare il proposito criminoso maturato dall’istrionica personalità di Marini».
PAZZI O GENIALI?
«Io un megalomane? Non credo proprio. Ammetto però che il lavoro che ho condotto per la commissione Mitrokhin era più grande di me, non avevo il physique du rôle. Al tempo ero solo un ragazzo». Mario Scaramella, avvocato napoletano, si è fatto 14 mesi per calunnia e traffico d’armi, e ora vive in Somalia.
Passato alla storia per aver infangato Prodi (come consulente di Paolo Guzzanti doveva cercare «collegamenti tra l’intelligence sovietica, il terrorismo islamico e altre strutture eversive straniere», e preparò un dossier che accusava l’ex premier di essere manipolato dal Kgb) Scaramella racconta a “l’Espresso” che la sua vita è finalmente cambiata. «Sono stato chiamato a testimoniare all’inchiesta sulla morte dell’agente Litvinenko, che era la mia fonte principale. Fu lui a parlarmi di Prodi. Sono stato fortunato, perché i consiglieri della Regina hanno ricostruito il mio passato professionale di cui voi giornalisti avete riso tanto».
Fondatore dei Nasc, sorta di commando ambientalista poi sciolto, dello “Special Research Monitoring Center”, che si vantava di avere rapporti con enti di ricerca aerospaziali americani, e dell’Environmental Crime Prevention Program (che annoverava tra gli esperti internazionali amici di Scaramella, tra cui un presunto francese Christian Trentolà, ragazzo napoletano di madre transalpina sul cui cognome fu messo l’accento finale) oggi l’ex calunniatore lavora con il procuratore generale di Mogadiscio, «come esperto di sicurezza antipirateria. Faccio anche relazioni bilaterali con paesi stranieri e le Nazioni Unite».
I dettagli? «Sono segreti, le dico solo che mi ha trovato a Napoli solo per caso». Qualche tempo fa, secondo un quotidiano locale, fu Scaramella a organizzare un incontro, a Itri, tra esponenti del governo somalo e alcuni funzionari «per la formalizzazione di un accordo con la Santa Sede per la tutela dei cristiani in Somalia». Difficile capire il confine tra realtà e finzione. Ma fossimo in papa Francesco, non staremmo tranquillissimi.
(da L’Espresso – Emiliano Fittipaldi)