Da una parte, i piccoli risparmiatori: titolari di azioni o di obbligazioni subordinate ad alto profilo di rischio vendute come prodotti a basso rischio, che hanno perso tutto. Magari anche la vita, in un attimo di disperazione senza ritorno.
Da un’altra le piccole imprese, che senza accesso al credito soffocano, affondate da scadenze imminenti non prorogabili e ritardi nella ricezione dei pagamenti.
“Sono i crediti deteriorati a costituire il principale problema delle nostre banche. A livello europeo solo Cipro e Grecia presentano una situazione peggiore della nostra. A segnalarlo la CGIA di Mestre che spiega come “al 31 marzo 2016 la dimensione economica complessiva del credito deteriorato ammontava in Italia a 333,2 miliardi di euro: 196 miliardi di sofferenze lorde,125,2 miliardi di inadempienze probabili e 12 miliardi di euro di finanziamenti scaduti/sconfinati.
Questa situazione ha provocato una forte contrazione dei prestiti all’economia reale del nostro Paese. Non essendo in grado di recuperare una buona parte dei prestiti erogati, le banche hanno deciso di non rischiare più e hanno chiuso i rubinetti del credito. Solo da aprile 2015 ad aprile 2016, gli impieghi alle imprese italiane sono diminuiti di 24,3 miliardi di euro. Se poi misuriamo la stretta creditizia a partire dal punto massimo di erogazione del credito, raggiunto a novembre 2011, in quasi 4 anni e mezzo le imprese italiane hanno visto diminuire i prestiti bancari di ben 144 miliardi di euro”.
A chi sono riconducibili questi 196 miliardi di euro di sofferenze lorde che hanno messo in serie difficoltà le banche italiane e in generale tutta la nostra economia? In base ad una elaborazione sui dati Banca d’Italia, l “al 31 marzo scorso l’80 per cento circa dei finanziamenti per cassa era stato erogato dalle nostre banche al primo 10 per cento degli affidati. Per contro, la quota di sofferenze causate dal primo 10 per cento degli affidati è stato pari a poco più dell’81 per cento”.
In parole spicce, se Parmalat non rientra, al piccolo consumatore o alla media impresa viene negato l’accesso al credito.
“Per fare impresa in Italia oggi bisogna essere pazzi” – lamentano gli imprenditori. Basta una telefonata a un paio di istituti di credito, sedi locali, per farsi un’idea. “Single con contratto a tempo indeterminato? Serve un garante per un mutuo, oltre all’ovvia ipoteca sulla casa, per un prestito “bastano” beni a garanzia. Sennò, nada.
Piccolo imprenditore? “Se non hai mai avuto affidamenti, non importa la mole di fatturato. Servono beni a garanzia. E per aprire un conto attivo servono altre garanzie, personali o fornite da terzi. Nemmeno lavorare, fatturare, produrre, fosse un reato”. Sic est – dice il direttore di banca, quasi a scusarsi, a dire che non è colpa sua.
E per un affidamento? “Beh, garanzie, a volte gli anticipi fattura non bastano”.
Salvo non ti chiami Parmalat. In quel caso puoi fare un botto clamoroso. In altri, magari lo farai per un “no” di troppo in un momento in cui basterebbe un piccolo fido.
Se sei piccolo, onesto e ti spacchi in due di lavoro, qualcuno ti rovinerà. E nessun prestito arriverà in tuo soccorso. L’Italia non è un paese per fare impresa, anzi, non ha banche per fare impresa.