Non parla italiano. Nemmeno inglese o francese. E’ nordafricano, ma di dove, non l’ha saputo o voluto dire. Senegalese, forse. Però è bravissimo a menare le mani.
Tanto che, fermato domenica in Ghiaia, dove disturbava gli avventori di un bar, accompagnato in caserma e chiuso in camera di sicurezza considerata la scarsa collaboratività, nella notte a pugni e spallate ha smurato le porte blindate di due celle.
Prima di finire dietro le sbarre, ha distrutto un computer, una scrivania dopo averla divelta da terra, e ingaggiato un corpo a corpo con tre carabinieri che cercavano di ammanettarlo, ma anche di parlargli: risultato, un militare con la spalla lussata (sei mesi di prognosi), altri feriti lievemente.
La scena si è ripetuta lunedì mattina, quando l’Hulk dei giorni nostri è stato accompagnato in Tribunale con l’accusa di resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento: sono serviti dieci uomini per trascinarlo in aula di giustizia, dove poi è stato rinchiuso in cella di sicurezza per evitare altri danni.
Qui si rifiutato di rispondere all’interrogatorio di garanzia, di fornire le proprie generalità (ovviamente è del tutto privo di documenti) o collaborare, così è stato trasferito in Via Burla, e il processo per direttissima rinviato al 27 giugno.
Confidando che per quel giorno decida di parlare in una lingua diversa da quella dei pugni.