Siamo tutti Tino Asprilla, oggi. Non perché qualche improvvida disgrazia si sia abbattuta su di lui, ma perché averlo visto, megafono alla mano, intonare i cori della Nord, ci ha ricordato quanto sia unica Parma.
Per tutto, compreso il suo tifo. Riflettano Tavecchio e gli altri luminari della Figc, della Lega e delle bande bassotti correlate, che l’anno scorso hanno permesso che Parma diventasse carne da macello di un sistema che è rimasto malato.
Ieri al Tardini è andato in scena l’ennesimo miracolo sportivo, Scala e Asprilla che si abbracciano in mezzo al campo, Melli in Sky Box che lo racconta, Apolloni e Minotti, staff del Parma di oggi, che osservano commossi quella che era la favola di ieri.
Poi Tino, che potrebbe girare in Rolls Royce e pretendere la tribuna d’onore, va in Nord, prende il megafono e canta. Dopo aver giocato a carte, tra i suoi amici della Parma di sempre, prima di andare a cena con altri, amici di sempre. Lui, l’idolo delle folle che sbriciolò l’imbattibilità del Milan di Capello e di Sebastiano Rossi nel tempio di San Siro, in mezzo ai suoi adoranti tifosi. Anche loro di sempre.
Ragazzini di ieri, adulti di oggi, in nord di nuovo, con figli e nipoti, ragazzini di oggi, cresciuti nel mito del Parma di ieri e pronti a conoscere la nuova favola del Parma di oggi.
Mi dica Tavecchio quale altra piazza permette a un idolo di andare in curva senza scorta, mi dicano i Soloni del calcio bacato se Parma non manca alla serie A più di quanto la serie A manchi a noi.
Perché si, abbiamo guardato la promozione del Crotone con un po di gioiosa invidia, ma sappiamo che lì torneremo, e comunque che pure dove stiamo non ci manca nulla. Per il momento, chiediamo solo ci rimpiangano, come piazza come gente e come civiltà, mentre per la gioia di Lotito Frosinone e Carpi affondano, per una serie A forse più ricca ma sempre più misera, e ci lascino il derby con la Regia.
Così Tino tornerà in nord, e canterà ancora “il 25 Aprile è nata una ………. e l’hanno chiamata ………….”.