Era il 24 agosto 2015. Il Parma Calcio era fallito il 19 marzo, aveva orgogliosamente portato a termine la propria stagione confidando in un “salvaserieB” dalla Figc, poi mai arrivato, si era appena apprestato ad organizzarsi per fare la serie D.
Tavecchio era tornato a parlare di Calcio e riforme, con parole molto chiare: “Mai più un caso Parma” diceva introducendo nuove norme per il fair play e il controllo finanziario.
“In questi mesi abbiamo dettato delle norme per il futuro” – diceva – “Non si poteva attuare tutto subito, ma l’anno venturo sarà quello della resa dei conti. I club dovranno presentare dei bilanci che hanno una sostenibilità e conti economici in attivo: in 4 anni ci sarà un pareggio di bilancio ed una spending review corretta. Senza questi interventi, il calcio italiano difficilmente può resistere sotto il profilo economico. Il nostro è un piano quadriennale. I bilanci devono essere alla pari per tutti i club: chi non può, dovrà vendere calciatori per ingaggiarne altri. Così facendo una nuova vicenda Parma non potrebbe capitare, la Covisoc ha valutato gli impegni a breve e ci troviamo di fronte alle dichiarazioni di impegno morale da parte di amministratori e dirigenti che riteniamo serie”.
Probabilmente serve più tempo, dirà oggi, a commento di quanto titola la Gazzetta dello Sport.
“Calcio allarme rosso” e “La serie A sprofonda” sono titoli ben indicativi. Nell’anno in cui il Parma FC è stato condannato allo sbando, altri 12 club, su 19, hanno chiuso in rosso i rispettivi bilanci.
E se avesse ragione Manenti, che l’altro giorno (LEGGI) ci ha detto “altri stanno peggio volevano far fallire il Parma”?