Gli hanno staccato l’acqua, nella casa popolare in cui vive con la moglie e tre figli. Ma lui, Samir Abrougui, non ci sta e grida: “trovatemi un lavoro e ridatemi l’acqua, non possono lasciare tre bambini così”.
E’ una storia come tante, una delle tante di povertà, miseria, solitudine e abbandono. Samir Abrougui ha neanche 50 anni, da 28 è in Italia, da cinque è disoccupato. Ha tre figli, tre maschietti, di undici, 3 anni e otto mesi, nemmeno due anni il più piccolo.
Da due anni vive in una casa popolare a Fidenza, in Via Pascoli, quartiere San Giuseppe, poco distante dalla caserma dei vigili del fuoco. E da mercoledì non ha più l’acqua.
Racconta la sua storia, in in italiano dignitoso e orgoglioso: “Io voglio un lavoro, non voglio andare a rubare”.
Arrivato in Italia dal suo paese, la Tunisia, nel 1985, Samir ha lavorato tre anni in Sicilia. Poi si è trasferito nel modenese, poi a Parma. “Ho sempre lavorato per le cooperative – racconta – appalti alla Luigi Boschi. Guadagnavo poco, novecento euro al mese, ogni anno cambiavano l’appalto per non darci l’aumento, ma almeno lavoravo. Facevo il carrellista”.
Poi la crisi, e la disoccupazione. “Due anni fa, dopo una lunga attesa, abbiamo ottenuto la casa popolare, tramite gli appositi elenchi dei servizi sociali. Ma anche pagare le bollette è difficile.
Pensi che per mandare a scuola mio figlio, in prima media, ho dovuto chiedere un prestito, e per l’altro paga la retta dell’asilo una volontaria della chiesa”.
Dicevamo delle bollette. “Cumula arretrati su arretrati, distacchi su distacchi, stamattina sono venuti a piombare i tubi e portare via il contatore. Ma io ho tre figli, come faccio senza acqua, riscaldamento? Mia moglie è algerina, laureata in marketing, ma non ha lavoro”.
Dunque, l’appello ai servizi sociali: “Ridateci l’acqua, e aiutatemi a trovare un lavoro, anche umilissimo. Non voglio andare a rubare, io sono una brava persona, ho pagato per 28 anni i contributi, voglio solo dar da mangiare alla mia famiglia”.