Si è svolta questa mattina la Cerimonia di posa delle Pietre d’Inciampo. Dal 2017 ad oggi ne sono state posate 43 a Parma e 57 in provincia. Quest’anno se ne aggiungono altre 6 nel capoluogo e 10 in provincia.
L’iniziativa rientra nell’ambito di quelle previste a Parma in occasione del Giorno della Memoria, per ricordare le vittime della Shoah, nell’anniversario della data in cui le truppe dell’Armata Rossa liberarono i pochi superstiti del campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, nel 1945.
La Cerimonia, promossa dal Settore Cittadinanza Attiva e Servizi al cittadino del Comune di Parma e ISREC – Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea, ha preso avvio in via Sidoli 70 con la posa della pietra di inciampo in ricordo di Pietro Cavazzini (classe 1912), internato militare. È proseguita in viale Ildebrando Cocconi 30 con la posa della pietra d’inciampo in ricordo di Emilio Soncini (classe 1915), lavoratore coatto. È proseguita in via Cavestro 8/A, con la posa della pietra d’inciampo in ricordo di Anselmo Gaudenzio (classe 1926) e Luigi Longhi (classe 1925), deportati politici. Si è conclusa in vicolo Santa Maria 6, con la posa della pietra in ricordo di Julka Deskovic (classe 1917) e Maria Luigia Badiali (classe 1910), deportate politiche.
All’iniziativa erano presenti l’Assessora alla Partecipazione Daria Jacopozzi, il Presidente del Consiglio Comunale MicheleAlinovi, Gianpaolo Cantoni per la Provincia di Parma, il Consigliere regionale Matteo Daffadà, autorità cittadine, rappresentanti di Associazioni Partigiane, Carmen Motta, Presidente di ISREC Parma, Marco Minardi, Direttore di ISREC Parma, e i famigliari delle persone ricordate dalle pietre di inciampo.
Pietre d’inciampo – la storia.
Il lavoro di preservazione della memoria è stato avviato dall’artista tedesco Gunter Demnig che, dal 1992, gira l’Europa per posare le Stolpersteine – o “pietre d’inciampo” – sampietrini ricoperti da una lastra di ottone incastonati nell’asfalto o nella pavimentazione di strade e marciapiedi con lo scopo di segnalare i luoghi in cui vivevano o lavoravano uomini e donne, arrestati, deportati e uccisi nei campi di concentramento e di sterminio nel III Reich. Le pietre, diffuse nel tessuto urbanistico delle città, recano poche informazioni essenziali: nome del deportato, luogo e data di nascita e di morte, se conosciuti. Tutte le vittime del regime nazista vengono ricordate, compresi gli internati militari italiani, indipendentemente da provenienza geografica e credenze religiose. Gli elementi riportati sulla superficie in ottone si ripropongono in realtà di restituire un’individualità a quanti – nel progetto nazista – dovevano essere ridotti a un semplice numero di matricola, e il cui corpo e le cui storie si sono perse nella tragedia della Shoah e dell’annientamento della diversità, politica, razziale e fisica. “L’inciampo nella memoria” persegue lo scopo di far riflettere chi si imbatte nella pietra, nella maggior parte dei casi casualmente, proprio su questi temi.
BIOGRAFIE
Pietro Cavazzini (1912-1992) (medico). Nasce a S.Lazzaro Parmense il 28.12.1912. Frequenta il Liceo Classico Romagnosi. Si iscrive, poi, alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università di Parma nel 1932, dove si laurea brillantemente nel 1938 con pubblicazione della tesi in Clinica Medica. Frequenta come interno la Clinica medica e contemporaneamente si iscrive alla Scuola di specialità in “Malattie del tubo digerente, ricambio e sangue” dell’Università di Pavia, ottenendo il diploma al ritorno dalla guerra. Nel 1939 è inviato come SottoTenente (avendo frequentato la scuola Allievi Ufficiali di Firenze) con le truppe di occupazione italiane in Albania. Allo scoppio della guerra, come Tenente medico, opera ancora in Albania, dove in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, essendosi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale viene catturato e deportato, come altri 700.000 soldati italiani in Germania. Nell’ottobre 1943 arriva con un treno di prigionieri italiani a Görlitz (Polonia) ed opera indefessamente, all’inizio unico medico, nell’infermeria italiana dello Stammlager VIIIA, dove venivano ricoverati, spesso in condizioni estreme, i soldati italiani impiegati nei campi di lavoro, specie nelle miniere adiacenti. All’avvicinarsi dell’esercito russo, nel marzo del 1945, viene rimpatriato con un treno di soldati che giunge in Italia, dopo varie peregrinazioni, a Varese dove viene rinchiuso nell’ex-manicomio come prigioniero della Repubblica Sociale. Prima del trasferimento a S.Vittore, viene liberato dai partigiani il 25 aprile. Ritornato a Parma, riprende il suo lavoro di medico presso gli Ospedali riuniti di Parma.
Emilio Soncini (1915-1944) (di mestiere ambulante). Arrestato dalla brigata nera, in quanto ritenuto “sovversivi pericoloso” nel giugno 1944, viene rinchiuso nelle cantine dei bagni pubblici. Viene trasferito successivamente a Vicopò per essere interrogato e torturato e poi trasferito nel campo di transito a Suzzara, poi Verona; infine nel campo di Wurzen e poi in quello di Magdeburgo (in qualità di “lavoratore coatto”). Fu ricoverato per i traumi subito durante gli interrogatori a Vicopò, in settembre i tedeschi lo fecero rimpatriare essendo egli inabile al lavoro. Morì pochi mesi dopo nell’ospedale di Parma.
Luigi Longhi (1925-1945) e Anselmo Gaudenzio (1926-1945) (tecnici della TIMO – poste e telegrafi)
Longhi nacque l’8 marzo 1925 ultimo di sei fratelli tra cui l’attivista antifascista Bruno – diventato poi il capo del reparto propaganda del movimento clandestino parmense – che lo iniziò all’attività politica. Dopo avere frequentato la scuola tecnica, venne assunto nel 1940 dalla società telefonica Timo (Telefoni Italia Medio Orientale). Proprio sul posto di lavoro iniziò a collaborare con una rete cospirativa opposta al regime inquadrata nelle SAP (Squadre di Azione Patriottica). Il 21 agosto 1944 Luigi venne arrestato insieme a Anselmo Gaudenzi (Torino 1926), Franco Bolsi e Luigi Corsini (questi ultimi due riusciranno a evitare la deportazione), prelevato da casa e portato a Palazzo Rolli, dove venne interrogato. Il 29 agosto fu trasferito nel carcere di San Francesco; venne quindi tradotto nel campo di transito di Bolzano e, infine, deportato il 5 ottobre a Dachau, dove arrivò il 9. Registrato come meccanico delle telecomunicazioni ed elettrotecnico, categoria Schutz, venne messo ai lavori forzati nel sottocampo di Uberlingen sul lago di Costanza, dove morì il 7 marzo 1945. Gaudenzio invece morì nello stesso periodo nel campo di Dachau.
Julka Deskovic (1917-1945) (studentessa). Julka Deskovic, croata, partigiana, lottò contro il fascismo in patria e nell’Italia occupata dai nazisti. Dopo l’arresto in Jugoslavia e la condanna al confino a Ventotene, entrò nella Resistenza, con base a Parma, come staffetta per il Cumer (Comando Unico Militare dell’Emilia-Romagna). Scoperta la sua attività in casa Polizzi, fu arrestata e deportata a Ravensbruck, dove morì dopo la liberazione del campo nella primavera del 1945. Fu una giovane donna straniera che scelse di combattere per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo.
Maria Luigia Badiali (operaia). Luigia Maria Badiali, nata l’11 maggio 1910 a Medicina. Licenza elementare. Attiva nel movimento clandestino bolognese e romagnolo prima di recarsi a Parma per conto del Comando unico militare Emilia Romagna. Nell’agosto fu catturata in una base partigiana sita in Vicolo Santa Maria a Parma. Reclusa nel carcere di San Francesco per 15 giorni, fu sottoposta a lunghi interrogatori e ad atroci torture. Venne inviata a Verona per sottostare ad un processo: il Tribunale la condannò a 30 anni di lavoro forzato.
Fu trasferita nel campo di Gries presso Bolzano e di qui internata a Ravensbrück (Germania). A metà febbraio 1945 fu costretta ad iniziare una lunga marcia forzata verso Praga. Con l’arrivo delle truppe sovietiche fu ricoverata a Mauthausen dove rimase fino al luglio 1945. Fu riconosciuta partigiana nella 7a brigata GAP Gianni Garibaldi.