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L’incubo – Racconto di Maria Grazia Nano

Racconto di Maria Grazia Nano

Quello specchio d’acqua così cristallino, invitante, si rivela come per incanto alla mia vista, inaspettato. Senza resistenza alcuna mi arrendo alla sua struggente malìa e mi immergo con gioia nelle sue meravigliose, tiepide trasparenze. Vedo il mio corpo in quelle acque incontaminate, agile e sorprendentemente leggero, circondato da strani fiori e attinie multicolori che celano minuscoli pesci variopinti, che nuotano vicino a me, per nulla intimoriti dalla mia presenza. Sono anch’io parte di questo piccolo angolo di paradiso e provo un senso di smisurata gratitudine e stupore di fronte a tanta tranquilla bellezza. Non so dove mi trovo, ma non è importante, sono dove ho sempre desiderato essere, in un’adamitica terra abbandonata, perfetta fusione fra bianche rive, cieli indaco e acqua pura.

Il sole brilla, lo guardo affascinata, ne percepisco il calore mentre l’acqua mi circonda, respiro gli effluvi di un mondo esotico a me sconosciuto, in questo luogo senza tempo, dove non esiste nulla se non io stessa e il silenzio, rotto soltanto da qualche guizzo argenteo fra la spuma delle tenere onde che mi cullano.

Chiudo gli occhi e ascolto gli uccelli marini, il loro richiamo che si perde in lontananza.. li riapro e guardo verso la riva, una cerva è uscita dalla vegetazione e mi osserva, per nulla turbata, con la tranquilla consapevolezza che la sua avanzata gravidanza le dona. Si accoccola all’ombra, pare abbia deciso di aspettarmi.. sorrido, le faccio un gesto di saluto come se potesse capirmi e percepisco, nella mia piccola e limitata umanità, il mistero della Creazione.

Il brivido di freddo mi raggiunge inaspettato.. apro gli occhi ed osservo il sole che cerca di aprirsi a fatica un varco fra enormi nuvole scure che sono arrivate senza neppure farsi annunciare. La dolce marea mi ha fatto allontanare dalla bianca spiaggia, ma non così tanto da solleticare la mia paura. L’acqua è ancora limpida, mi giro pigramente e muovo qualche bracciata per tornare verso la terra ferma, mentre l’eco di una premonizione che non vorrei ascoltare mi spinge a volgere lo sguardo verso la riva e mi rendoconto che la cerva è sparita.

Rabbrividisco, inizia a rinfrescare, aumento la velocità, ma le mie braccia sono così pesanti da non poterle quasi muovere e le gambe sono del tutto intorpidite. La leggerezza che prima mi apparteneva si è trasformata in un’angoscia plumbea. Davanti a me si materializza dal nulla un grande scoglio scuro, se riesco a raggiungerlo forse posso riprendere fiato. Ma ecco che lo scoglio si frantuma in decine di enormi ed inquietanti pesci neri, dalle forme minacciose, dai grandi occhi senz’anima, squame rossastre, bocche con affilati bianchi denti, sottili, ma letali.. sembra che non mi vedano, ma io so che stanno solo aspettando il momento giusto per cibarsi di me.

La mia pace lascia il posto al terrore e alla disperazione più totali.. con un ultimo sovrumano sforzo e senza voltarmi, mi avvicino alla riva, sento che posso finalmente appoggiare i piedi a terranella sabbia e avanzare in mezzo alle alghe, che avverto essere scivolose, maleodoranti, infide, perché fra le loro foglie putride si nascondono altri piccoli mostruosi esseri, irti di spine, stillanti veleno, affiancati da enormi granchi neri dalle minacciose chele. Sono costretta a rimettermi a nuotare, non posso appoggiare i piedi in mezzo a quelle insidie.

Dietro di me i pesci abissali avanzano adagio, sanno che possono raggiungermi facilmente e non si danno la pena di nuotare veloci, anzi, la loro caccia deve durare per rendere più eccitante la loro atavica fame. L’acqua così invitante è diventata una nera trappola mortale, provo a gridare, ma le mie labbra restano sigillate in una muta preghiera.

Nessuno mi aiuterà ad uscire da lì e allora, lottando contro un assoluto disgusto e paura senza nome, poso nuovamente i piedi sul fondo e provo a correre, ma sono ridicolmente goffa e frenata dalla forza dell’acqua. Avverto qualcosa di viscido e freddo vicino alla coscia, vorrei urlare ma devo rimanere muta per non solleticare la loro voglia di azzannarmi. Un molle tentacolo si è avvinto alla mia caviglia, come un’orribile edera viva. Lo strattono, sento che si rompe, facendo fuoriuscire un liquido caldo e appiccicoso che inquina ovunque, soprattutto la mia mente, che è ormai folle di ribrezzo e primordiale paura.

La schiena di uno dei pesci abissali emerge davanti a me e poi sparisce di colpo. So che sta puntando alle mie gambe, non voglio, non voglio sentire i suoi denti acuminati che mi staccano la carne.. e allora urlo, finalmente riesco a far uscire tutta la voce che ho. E’ la mia unica difesa, posso solo sperare di spaventare queste creature, almeno per il tempo necessario a raggiungere la riva. I miei arti ingessati mi spingono finalmente sulla spiaggia, appena un istante prima di vedere il mare gonfiarsi rabbiosamente e mugghiare contro il cielo e contro di me. Intravedo le sue mostruose creature fra i neri flutti alti e minacciosi, deluse e sbavanti rabbia per aver perso il loro pasto.

Io tremo di freddo e di paura, mentre la tempesta si abbatte sul mondo. So che mi salverò.

 

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