«est modus in rebus sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum.»
«esiste una misura nelle cose; esistono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto»
Ero in terza liceo quando questa massima di Orazio mi ha particolarmente colpito, e ho iniziato ad appuntarmela qua e là, di tanto in tanto mentre riflettevo su cio che vedevo nel mondo. A 16 anni il cervellino viaggia veloce e macina considerazioni e valutazioni, soppesa ogni cosa che accade.
A cercare il confine fra il giusto e lo sbagliato, la misura, ci ho provato anche ieri sera mentre da un mega palco di fronte a mega gradinate, il mio cuore batteva per le note di Sting. Dopo quasi tre anni nel cassetto, quel biglietto non potevo proprio snobbarlo. Dopo la pandemia, dopo che abbiamo lasciato per strada l’abitudine a riunirci assieme, a cantare all’unisono e muoverci a ritmo, beh, ne avevo un reale bisogno e come ogni concerto di livello, viverlo in pieno mi ha lasciato tantissimo.
In moltissimi abbiamo bisogno istintivo di musica, di ritmo, di cantare assieme. È un rito laico collettivo, una emozione condivisa, una esperienza umana che ricarica come poche altre.
La mia città da decenni ormai non riesce ad ospitare grandi concerti, ma nemmeno medi. Il Palasport, mollato lì, nella tristezza enorme che suscita, ci ricorda i gloriosi tempi che furono del volley maschile e dei grandi concerti di musica pop. Tempi andati perché l’inagibilità ne ha sbarrato le porte. E buonanotte ai suonatori.
Sarebbe già triste così, se non fosse ancora da esaminare il lato peggiore della questione. Una stagione concertistica estiva al Parco Ducale: parco storico, monumentale, con alberi plurisecolari e edifici storici.
Un luogo di rifugio per centinaia di animali che sfuggono all’asfalto e al rumore, alla scarsità di cibo e di acqua. Al caldo torrido di questa stagione. Che cercano di riprodursi in luoghi adeguati e che, come tutti gli animali selvatici, combattono letteralmente per sopravvivere e guadagnarsi un giorno in più sulla terra. Uccelli come il gufo comune, il cui udito è talmente sensibile da riuscire a sentire un topolino muoversi in un cunicolo sotterraneo, a decine di metri di distanza. Ne ho raccolto una penna ieri sera, su un vialetto mentre “defluivo”: prova evidente che il gufo abita nel Parco.
Invece, decibel altissimi, polverone, luci che stravolgono e mettono in fuga le specie che qui avevano una casa tranquilla da secoli. Così, per settimane.
Afflusso e deflusso difficili, chiusura di un parco pubblico per giorni e giorni a fini privati, parcheggio selvaggio, dispiegamento di forze pubbliche e di volontari per dirigere la folla disordinata e giustamente distratta.
Un gioiello fragile, per la natura e per la storia della città, usato come arena. Fighissimo eh, ma incredibilmente sbagliato.
Quando si è iniziato a parlare di stadio Tardini e del progetto assurdo che lo vedrebbe anche come arena spettacoli, ho apprezzato la proposta di Nicola Dall’Olio di riportare in vita l’area ex Mercati. A 5 minuti di bici dal centro si sarebbero potuti ospitare musicisti e cantanti finalmente negli spazi adeguati, con una logistica fluida, e senza devastare il Parco Ducale o la Cittadella, avremmo potuto tutti quanti finalmente godere di nuovo della musica dal vivo in città. Con ben più date e offerta rispetto ad oggi.
Ora la stagione è finita, l’amministrazione della città è nuova di pacca. Si chiuda subito questo capitolo, si individuino luoghi che non diano disturbo ai residenti e alla natura.
Luoghi già asfaltati, già raggiungibili da autostrada o tangenziale, ma anche dal centro, in bici. Dove installare mega palchi e mega gradinate senza fare danno a nessuno.
Un ex aeroporto a pochi passi dalla città, ad esempio, sarebbe perfetto.