Il 22 dicembre inaugura presso il Complesso Monumentale di Parma la cosiddetta “Ala Nuova” del Museo Archeologico, una delle sezioni museali più innovative della museologia italiana contemporanea.
La parte dell’edificio costruita a cavallo tra Otto e Novecento viene finalmente riaperta al pubblico svelando tesori e spazi mai visti: la “Sala ceramiche” dominata da un maestoso soffitto ligneo a cassettoni occultato alla vista negli anni Cinquanta da un enorme piano in calcestruzzo e ora meticolosamente restaurato, le Sale egizie, create ad imitazione delle tombe ipogee dei faraoni, trasformando in spazi museali aree precedentemente adibite a uffici. Il tutto per un percorso unico e spettacolare alle collezioni antiquarie del ducato parmense, ovvero dedicato alle acquisizioni di antichità provenienti dal mondo intero e non dal territorio, avvenute tra Settecento e Novecento.
Come noto alla comunità dei musei dal 2017 il Complesso Monumentale della Pilotta, uno degli istituti più importanti d’Europa che si snoda per circa 40.000 metri quadri espositivi nel cuore di Parma, è sottoposto -grazie all’azione di guida del suo direttore, Simone Verde e del suo prolifico staff-, ad un’opera titanica di restauro, riconcepimento e riallestimento finanziata con fondi del Ministero della Cultura.
Se tra il 2018 e il 2021 sono state aperte circa 10 nuove sezioni tra cui la Sala del Trionfo, dedicata alle arti decorative, l’Ala Farnese, dedicata all’arte a Parma nel ‘500, l’Ala ovest, dedicata alla pittura italiana dalle origini al 1500, la Rocchetta con il suo Ottocento e il Mito di Correggio, un nuovo importantissimo tassello si aggiunge ora con l’Ala Nuova del Museo archeologico, prefigurazione del rifacimento totale delle collezioni di antichità previsto tra circa nove mesi. Un’opera titanica, come detto, che si concluderà nel 2022 e che vedrà nella mostra sulle Collezioni Farnese la sua più alta celebrazione dacché questa mostra, riportando a Parma i capolavori da cui sono nate le collezioni della città nello stesso momento della conclusione dei cantieri in corso, celebrerà la rinascita dell’immenso Palazzo e dei suoi tesori.
Numerose sono le tappe a venire sulla strada della conclusione di questo progetto: dopo l’apertura natalizia dell’Ala Nuova, a gennaio è prevista quella del nuovo Museo Bodoniano, il più antico museo europeo della stampa, collocato nel cuore di un’ala tutta nuova della Biblioteca Palatina a firma di Guido Canali e ottenuta tramite la chiusura e la riqualificazione di uno spettacolare portico a tre navate finora estremamente degradato; a febbraio l’inaugurazione dell’Ala Ovest e dell’Ala Nord –occupate dalla Galleria– completamente rinnovate, che ospiteranno una sezione tutta nuova sulla pittura Fiamminga, le cui opere, circa una cinquantina, sono state in gran parte sottoposte a restauro e verranno messe in relazione all’arte manierista del ducato, nonché le sale dedicate alla pittura italiana ed europea del Sei e del Settecento. A fine marzo, infine, l’apertura della mostra sulle collezioni dei Farnese che segnerà la fase conclusiva che porterà all’inaugurazione generale della Nuova Pilotta.
L’ala Nuova
Tornando all’Ala Nuova, che schiuderà le sue porte il 22 dicembre, la sua realizzazione è consistita in tre cantieri paralleli: la creazione di una nuova sala ceramiche, la realizzazione di una sezione interamente dedicata alle collezioni egizie del ducato, raccolte in particolar modo sotto la ducea di Maria Luigia ed il restauro delle facciate di pertinenza disegnate dall’architetto di corte, uno dei più importanti del neoclassicismo europeo, Ennemond Alexandre Petitot sul Cortile della Cavallerizza.
1. la Sala Ceramiche
Nella Sala ceramiche gli interventi di ripristino e di riqualificazionedel possente, elegante soffitto ligneo a cassettoni, di restauro e diriposizionamento del lungo tavolo su cui era esposto il Trionfo da Tavola, ritrovato in stato d’abbandono in uno dei depositi della Galleria Nazionale, hanno permesso di restituire al pubblico, in un adeguato contesto espositivo, le pregevoli collezioni greche, etrusche, italiche e romane del Museo. Le ceramiche, acquistate nell’Ottocento per il Museo Ducale dal direttore del museo Lopez per dotare il museo di un campionario delle produzioni ceramiche greche e italiche, sono esposte in forma unica al mondo e spettacolare,collocate singolarmente o a piccoli gruppi, in ordine cronologico, entro teche di vetro poggiate sul tavolo, riprendendo la conformazione originaria della sala e ispirandosi liberamente – dal punto di vista estetico e concettuale – alla celebre Sala Etruscarealizzata nel 1855 da Palagio Palagi per il Re Carlo Alberto di Savoia al castello di Racconigi.
Nelle quattro vetrine a muro collocate sulla parete nord sono esposti una notevole sequenza di bronzi (un elmo, due brocche, una cista, una Vittoria alata e due piccole sfingi), le collezioni luigine di bronzetti etrusco italici, ex-voto in terracotta e specchi etruschi, un’urna cineraria chiusina in terracotta, in un allestimento che valorizza le caratteristiche tipologiche, i temi trattati nelle raffigurazioni, e le tecniche di decorazione.
Al centro della parete sud della Sala rifulge una quinta vetrina che ospita il bassorilievo, fondo di bacile, raffigurante la divinità Oceano. Quattro statue sono collocate fra le cinque finestre che si affacciano sul Lungoparma, mentre sul lato opposto, fra le due porte, sono collocati una testa e cinque busti; statue e busti, così come i leoni di età romana posti all’ingresso del museo, sono recentemente stati oggetto di un intervento di pulitura e di restauro finanziati dal Lions Club Parma Host.
Questo prezioso nucleo di sculture romane deriva dalle collezioni dei Farnese, frutto degli scavi sul Palatino, e da quelle dei Gonzaga per la loro corte di Guastalla. Dalla collezione Farnese, provengono il torso di Eros e la Testa colossale di Zeus, ora posta sul vestibolo del Teatro Farnese, mentre alla collezione Gonzaga appartenevano la testa di Giove Serapide, il busto di Lucio Vero e le statue dei satiri, utilizzati come apparati ornamentali dei palazzi ducali: alcuni pezzi furono recuperatiagli inizi dell’Ottocento in un arsenale di palazzo, assieme a quelli appartenuti ai Gonzaga, questi ultimi trasferiti a Guastalla da Ferrante II e poi entrati nelle collezioni parmensi a seguito dell’annessione del piccolo ducato avvenuta nel 1748.
2. Le Sale “ipogee” e le Collezioni egizie
Il pubblico proseguendo il percorso – dopo l’allestimento di questa straordinaria sala – potrà ammirare un nucleo di reperti di elevato interesse della collezione egizia, ma anche capirne storia, significato e vicende: il tutto in un ambiente immersivo che evoca le camere funerarie da cui questi millenari reperti provenivano. Attraversando un corridoio con il soffitto ribassato che allude al percorso nel ventre della terra che caratterizza le necropoli di Luxor, il visitatore si troverà all’interno di due sale dominate da altrettante volte a botte dipinte di blu come le tombe egizie, supposte poter ricongiungere il cielo stellato con il ventre materno della terra. Qui, in teche appositamente concepite e in nicchie come scolpite nella pietra, potrà apprezzare –in un’atmosfera filologicamente evocativa– i corredi funerari, i bellissimi sarcofagi e la mummia della collezione parmense. Reperti di cui è programmato a breve un intervento di restauro condotto in loco dagli specialisti, alla presenza dei visitatori.
La Collezione Egizia del museo di Parma si formò nell’Ottocento, negli anni dello sviluppo dell’Egittologia come scienza e in contemporanea alle raccolte dei più grandi musei europei, grazie alla politica culturale della duchessa Maria Luigia. Nel 1830, dopo una prima donazione di oggetti da parte del pittore Giuseppe Molteni, il direttore Michele Lopez riuscì ad acquistare il primo consistente nucleo di oggetti dal mercante e viaggiatore milanese Francesco Castiglioni: fece così la sua prima comparsa la “Sezione aggiunta di Antichità Egiziane” del Museo. Entrarono a far parte della nuova sezione 44 oggetti, tra cui il sarcofago di Shepsesptah, il frammento di rilevo parietale di Amenemone e il papiro di Amenothes. Nel 1832 il Museo acquisì da Castiglioni il sarcofago a cassa del dignitario Mesehiu e una mummia di gatto, e da Giuseppe Scaglioni la statuetta femminile in pietra dell’XI Dinastia e il lungo frammento di papiro tolemaico di Harimuthes, proveniente da Tebe. Tra il 1844 e il 1845, invece, si acquisirono dal mercante francese Claude Marguier gli ultimi reperti, tra cui una serie completa di vasi canopi, ushabti, scarabei del cuore e bronzetti. Fu così che il Museo si arricchì di una collezione di quasi 200 pezzi, selezionati principalmente in base al loro valore documentario: il Regolamento del Museo, adottato nel 1826, stabiliva infatti che fosse acquisito “qualunque oggetto antico che interessi la storia e giovi così alla pubblica istruzione”. Dal 1847, anno della morte della sovrana che stava pensando di finanziare una spedizione del Ducato di Parma in Egitto, la collezione si accrebbe solamente per mezzo di pochi doni di privati, il più significativo dei quali fu una mummia completa di sarcofago di tarda epoca tolemaica, proveniente da Zagazig, donata nel 1885 dal deputato Del Vecchio all’allora direttore del Museo, il senatore Giovanni Mariotti.
Quanto ai singoli documenti e reperti, la nuova Sezione Egizia si apre con alcuni lavori (testi e tavole) dell’egittologo Ippolito Rosellini,giovane collega di Jean François Champollion durante la spedizione franco toscana in Egitto nel 1828, finanziata da re Carlo X di Francia e dal granduca Leopoldo di Toscana. La spedizione toccò tutti i grandi luoghi dell’Egitto faraonico e produsse un’enorme quantità di documenti, copie di testi geroglifici, disegni e casse di antichità. Rosellini prima e gli eredi di Champollion poi pubblicarono il resoconto di quella spedizioneaccompagnandolo con grandi tavole a volte acquerellate e i primi fascicoli dell’opera vennero donati alla nascente biblioteca del Museo di Antichità dalla duchessa Maria Luigia e oggi sono esposti accanto alla pubblicazione riguardante il papiro di Amenothes, acquisito dal Museo nel 1830.
3. La facciata del Petitot e il giardino della Cavallerizza
Alla riqualificazione degli spazi interni di quest’Ala Nuova, corrisponde il rifacimento e il restauro dei prospetti esterni, in questo caso di una delle facciate neoclassiche più importanti d’Italia nonché del giardino su cui affaccia, ricavato sulle rovine dell’antica cavallerizza ducale. Un vero e proprio suggello alla ricomposizione dell’ala nuova che, se non fosse per la vastità del Palazzo e del Complesso della Pilotta, potrebbe costituire altrove un museo a sé.
Nella pluricentenaria storia del Palazzo della Pilotta, la Cavallerizza viene citata per la prima volta nel 1618 dall’architetto Giovanni Battista Magnani, probabilmente suo progettista. Questa struttura fu realizzata all’interno del cortile della Pelota nell’ambito della seconda campagna di lavori promossa dal duca Ranuccio I Farnese a cavallo tra il 1617 ed il 1622, imperniata sulla trasformazione del Salone nello scenografico Teatro Farnese. Dal punto di vista funzionale risulta legata al Teatro ed al suo androne occidentale, al fondo del quale era la scala cordonata per la sistemazione dei cavalli. Questo edificio fu utilizzato fino al 1688, anno nel quale fu trasformato, per volere di Ranuccio II e su progetto dell’architetto Stefano Lolli, in uno dei due teatrini di corte.
Francesco I (1678-1727) secondogenito del duca Ranuccio II volle però demolirla, ricostruendola nel 1691 nella sua odierna ubicazione. La Cavallerizza/Maneggio per cavalli risulta visibile nei disegni di Cristoforo Bettoli nel XVIII secolo come un ampio vano rettangolare, scandito sui prospetti laterali da 10 aperture e coperto da un tetto a doppia falda con capriate.
Il Tribunale di Revisione fu adornato con una facciata neoclassica attribuita al Petitot, oggi affacciata sul giardino archeologico della cavallerizza. L’ascrizione al Petitot è stata tramandata per tradizione; è attendibile che la costruzione procedesse prima dell’inizio del 1766, quando il nuovo Tribunale di giurisdizione fu trasportato nel Palazzo della Pilotta. Le grandi statue in stucco della facciata sono state attribuite all’officina del Boudard.
Dagli elaborati grafici del 1851 risulta che si fossero aggiunti altri vani, che creavano un sistema chiuso verso l’esterno a rompere la continuità del prospetto verso la Ghiaia; l’edificio fu utilizzato per tutto il XIX secolo.
A causa del progetto in epoca fascista della realizzazione di via Roma dalla stazione ferroviaria a Piazza della Prefettura, scomparve la Cavallerizza Farnesiana.
Con i bombardamenti degli inglesi del 13 maggio 1944 riportò ingenti danni ed attualmente si presenta come un rudere, leggibile a livello planimetrico, andando a perimetrare uno spazio aperto che si delinea come un giardino.
Modalità di visita
Per le scuole ingresso gratuito dalle ore 8.30 alle 10.30 con prenotazione obbligatoria entro il giorno precedente all’indirizzo [email protected]
Visite accompagnate per gruppi costituiti da massimo 25 visitatori con cadenza oraria alle ore 10.30-11.30-12.30-13.30-14.30-15.30-16-30-17.30
Dal 4 gennaio l’ingresso alla nuova ala del Museo Archeologico avverrà dal Lungoparma.
Costo del biglietto: 5 €