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Parma (post) Capitale della Cultura: ‘è mancata una visione di città, una suggestione da vendere’

di Titti Duimio


Si è tenuto martedì sera al Parco Bizzozero l’ultimo appuntamento del Talk organizzato da Parma 22 32, Chiara Bertogalli e Caterina Bonetti che ospita le voci di “chi non va in tv” come sottolinea il moderatore e giornalista Francesco Dradi in chiusura di serata ricordando l’importanza di un’informazione pluralista che dia spazio anche a chi spesso spazio non ne ha ma opinioni sì.

“Quale progetto di città per quale candidato?” è il titolo scelto da Parma 22 32 per questa iniziativa e “La cultura, post capitale” è stato il tema di questo terzo dibattito pubblico con interventi di Davide Zanichelli (Movimento 5 Stelle), Michela Canova (funzionaria P.A.), Stefano Cantoni (Confesercenti), Fabrizio Pezzuto (Parma Unita), Enrico Ottolini (Europa Verde), Manuel Marsico (laboratorio Parma 22 32).

Quali sono dunque le valutazioni su questo biennio di Parma Capitale della Cultura anche se falcidiato dalla pandemia e quale eredità lascia sul territorio?

“Avrei voluto vedere un progetto con protagonista un evento identificativo della città che proseguisse nel tempo- dice l’on. Zanichelli dei 5 stelle-al netto delle chiusure imposte, un’idea forte e riconoscibile di Parma da declinare negli eventi ma anche nello sviluppo futuro”

“Non siamo Matera- gli fa eco Michela Canova funzionaria della Pilotta e candidata a eventuali primarie (fortemente richieste dal compagno di partito Lorenzo Lavagetto) del centro sinistra per le amministrative ‘22- facilmente ‘raccontabile’ per la sua peculiarità architettonica. Parma ha cose bellissime da visitare ma aveva bisogno di un tema identitario forte che comprendesse la provincia creando una suggestione da vendere all’esterno e da sviluppare negli anni successivi”

Riconoscibilità e riconducibilità ad un racconto unico ed esclusivo che parla del territorio, come Rimini, ad esempio, che per celebrare Fellini propone eventi, anche di cibo ma non solo, e spettacoli che ruotino attorno al mondo felliniano in tante lingue diverse. Parma non è riuscita a trovarsi un’identità culturale da declinare e proporre anche in anni successivi”

Anche Stefano Cantoni di Confesercenti lamenta carenze organizzative a livello di proposte turistiche, “una miriade di eventi isolati senza un fil rouge definito e fruibile. Poi la pandemia ha fermato tutta la filiera e negli ultimi mesi possiamo ringraziare l’Ente Fiera che ha presentato proposte attrattive di rilievo nazionale e internazionale”

“Un anno indubbiamente eccezionale che ci impedisce di dare un giudizio complessivo sul percorso culturale di Parma 2020, ma sicuramente il segno identificativo tracciato nel dossier è andato perduto nel tempo. Dove è finito il claim ‘La cultura batte il tempo?’ vero fil rouge iniziale. Forse un’occasione per la città disattesa al di là del covid”

Enrico Ottolini “tanti eventi ma mi sarei aspettato qualcosa in più sui nostri teatri, veri laboratori culturali, lo sforzo c’è stato ma ho percepito una mancanza di capacità di far sentire le persone protagoniste, forse vero atto culturale di una città.

Anche la cultura scientifica è stata poco raccontata, ad esempio a Parma abbiamo la sede dell’EFSA e noi raccontiamo ancora il cibo come se non fosse qui e non ci fosse una grande produzione di letteratura scientifica dietro. Forse Parma ha perso anche l’occasione di una certificazione di sostenibilità per tutti gli eventi in programma”

Manuel Marsico chiude gli interventi chiedendosi cosa sia in realtà la cultura se non un racconto delle esperienze, tradizioni e conoscenze di persone che abitano lo stesso luogo, e se davvero questo sia stato messo sul palcoscenico di Parma 2020.

“Il primo giorno con 10.000 persone ho creduto di si poi andando avanti mi sono ricreduto. Questo secondo me è mancato: l’assenza di partecipazione della cittadinanza nello spettacolo messo in atto. Oggi si cerca la verità in un racconto culturale e non prodotti preconfezionati per le occasioni, e nel percorso seppur difficoltoso causa pandemia questa sensazione di autenticità del racconto non c’è stata come non c’è stato il coinvolgimento di realtà culturali che operano quotidianamente sul territorio come la Diocesi, o l’Arci con 50.000 iscritti sul territorio e anche tutti gli altri circoli che tentano di fare cultura in questa città o anche l’enorme patrimonio all’interno dell’Università che non è stato inserito nel ‘sistema’ negando spicchi di produzione culturale indispensabile. Gli eventi in sè possono anche essere apprezzabili, ma diventano qualificanti quando costruiscono qualcosa di duraturo che possiamo definire ‘infrastruttura’. È stata costruita un’infrastruttura fisica o sociale in questi due anni?”

Per rivedere il Talk qui

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