Dopo la presentazione ufficiale del progetto del Nuovo Tardini e gli apprezzamenti pubblici da più parti, c’è anche chi, come voce fuori dal coro, lo critica.
È Roberta Roberti, insegnante e consigliera comunale che da sempre propone una visione più sostenibile della città, e in questo caso, con una nota stampa definisce il progetto dell’opera ‘un gigantesco corpo estraneo’ al contesto urbano che la dovrebbe ospitare.
Testo
“Dispiace e preoccupa dover essere una voce fuori dal coro trionfale che si è levato sulla proposta di ristrutturazione dello stadio Ennio Tardini.
Credo però sia dovuto a quei “pochi”cittadini di Parma – tre, direbbe il sindaco Pizzarotti – che come me sono rimasti sgomenti di fronte all’ipotesi che possa essere veramente realizzato un progetto come quello che è apparso sulla stampa e sul web.
Non so che cosa ne pensino la Sovrintendenza o la Commissione Paesaggio, nonché gli esperti di urbanistica o rigenerazione urbana, ma a mio parere dovrebbe risultare evidente a chiunque lo osservasse con lucidità e raziocinio che questo progetto è totalmente inadeguato: un gigantesco corpo estraneo, inscatolato e compresso fra le case, incapace di esprimere qualsiasi genere di “bellezza” o di restituirla a un contesto assai poco conosciuto dal progettista (dispiace dirlo, ma quando lo si sente parlare del quartiere Cittadella come di una “periferia senza servizi” o dire che il palazzo della Pilotta è fatto di “pietra”, il dubbio diviene certezza), ma, cosa ben più preoccupante, non tenuto per nulla in considerazione dai decisori politici di questa città.
Finora avevo ritenuto fuori luogo interrogarsi sulla delocalizzazione dello stadio in una fase già evidentemente compromessa da una convenzione quarantennale sottoscritta dal Comune con la società calcistica per l’utilizzo e la gestione dello stadio, concentrandomi piuttosto sull’impatto della riqualificazione sul quartiere ed in primis sulla scuola. Ora, alla luce del progetto che si intende spingere avanti trionfalisticamente, un’osservazione sorge spontanea: se volete realizzare una cosa del genere, fatela altrove.
L’amministrazione si fa vanto della rapidità con cui sta procedendo il progetto: malattia dei tempi ritenere la rapidità sinonimo di efficienza e di efficacia. Altre città hanno riflettuto in modo responsabile e avveduto sull’impatto e sulla sostenibilità economica, sociale e ambientale di operazioni di questo genere. I nostri amministratori, più avventati che coraggiosi, quali valutazioni hanno fatto? Quali garanzie hanno chiesto?
Partiamo dalla sostenibilità ambientale, che tanto viene sbandierata come giustificazione per non delocalizzare lo stadio: esistono aree della cintura periurbana già destinate a opere di edilizia e urbanizzazione, che quindi non comporterebbero alcun consumo di suolo, in zone non residenziali oggi degradate, che potrebbero costituire una collocazione ideale per uno stadio di questo genere e trarre enorme beneficio dalla sua presenza.
Ed invece lo si vuole tenere lì a dispetto di ogni logica e buon senso, stravolgerne la funzione originaria, con buona pace degli ambientalisti, senza un briciolo di verde in più, non un centimetro quadrato di impermeabilizzazione in meno, nessuna possibilità reale di sfruttare l’illuminazione naturale dato che, lo ripetiamo, lo stadio è inscatolato fra le case e poca luce naturale potrà passare attraverso le strutture parietali in acciaio cor-ten, decantate come “innovative” dai sostenitori del progetto.
Dobbiamo accontentarci della copertura riflettente e fonoassorbente dalla tristissima filosofia antisportiva di favorire il tifo della squadra di casa per fare di questo oggetto un nuovo parco urbano ecosostenibile?!
In nome poi di una millantata sostenibilità sociale, si ottengono davvero “ammirevoli” risultati: la devastazione di un quartiere tranquillo, residenziale, su uno dei viali storici della nostra città, perfettamente servito ed equilibrato nelle sue funzioni (purtroppo pare essere entrato nel mirino di questa giunta, visto che oltre al progetto Tardini anche quello della Cittadella mira a stravolgerne le caratteristiche ambientali e la qualità della vita di chi abita in quel quartiere e di chi frequenta quel monumento cinquecentesco adibito a parco), e il colpo di grazia al vicinissimo centro storico.
Diversamente dalla premessa del progettista, il quartiere non ha alcun bisogno di essere riqualificato.
Il suo unico problema attualmente è la presenza dello stadio con tutti i problemi e disagi che crea nei giorni di partita e l’unica riqualificazione sensata sarebbe quella volta a risolverli: mancano i servizi per una mobilità sostenibile (di cui non si è sentita parola dal Comune), mancano i parcheggi, l’intera area continuerà ad essere blindata nelle giornate di partita con gravi disagi per tutti i residenti e per l’intera viabilità urbana. Nulla di tutto ciò viene risolto da questo progetto, anzi: perché questo non sarà più uno stadio, sarà soprattutto altro, sette giorni su sette.
La zona “praticabile” attorno allo stadio, definita in modo mistificatorio “spazio pubblico”, rischia solo di diventare un ricettacolo di pericolose frequentazioni e di creare problemi di sicurezza da non sottovalutare. Per gli abitanti del quartiere, gli eventi, i servizi, le convention, il traffico aggiuntivo sette giorni su sette, si aggiungeranno alle partite di calcio come altre cause di stress urbano, inquinamento e restrizioni.
Il plesso scolastico di via Puccini è ben lungi dall’essere salvo. La conferma che quell’edificio è solo un inciampo (un “tappo”) alla realizzazione del nuovo stadio è data anche dal fatto che, al prossimo Consiglio di Istituto, il Comune interverrà presentando il trasferimento della media Puccini in altra sede come cosa già stabilita e programmata. Tutto pare preludere a un solo esito: di quella scuola si prepara il sacrificio, già trapelato dalle parole dell’assessore Alinovi e ora reso evidente dalle azioni del Comune e dalla presentazione del nuovo stadio.
E passiamo alla sostenibilità economica: un investimento di questo genere (oltre 70 milioni di euro) non può rientrare solo con i proventi dello stadio, ecco il perché delle funzioni commerciali e ricreative continuative, impossibili da controllare una volta concesse.
Eppure, sappiamo quale destino spetti ormai ai centri commerciali, anche centralissimi, basti guardare a tale proposito La Galleria (ex Barilla Center): la quasi totalità degli spazi commerciali ha cambiato gestione molte volte negli ultimi dieci anni a dimostrazione del fatto che questa formula è superata e non funziona più.
Questo nuovo galattico “centro servizi” dentro allo stadio, ben lungi dall’innescare qualsivoglia beneficio come si vorrebbe far credere, eroderà un’ulteriore fetta di utenti ed inciderà dunque negativamente sul commercio e sulla ristorazione dell’area circostante e del centro storico già agonizzante, creando solo ulteriore degrado.
Mi pare di fare un salto nel passato, a una Parma “Città Cantiere”, una Parma da bere che speravo di non vedere mai più. E invece, ecco qui gli effetti della parte conclusiva dei secondi mandati amministrativi. C’è solo da chiedersi chi sarà il prossimo sindaco “simpa”.
Non è affatto sbagliato paragonare questa alle opere che tanto abbiamo contestato e che ci hanno rubato intere porzioni di città, deturpandone la storia e peggiorando enormemente la qualità della vita dei residenti e in generale dei cittadini.
Penso in particolare alla piazza della Ghiaia, che rischia di diventare un precedente assai pericoloso dello stadio. Un progetto faraonico, con una concessione d’uso trentennale ad una società privata: valutiamone oggi il degrado, la desolazione e la bruttezza e ricordiamoci che ci eravamo detti che non lo avremmo permesso mai più.
Inclusività, trasparenza, sostenibilità e connettività per “un’opera strategica per la città”, “lo stadio più bello del mondo”, “un oggetto unico”, che vorrebbe stuzzicare la vanità dei parmigiani e convincerli a rinunciare al loro senso critico ed estetico. Speriamo lo riacquistino, e sappiano resistere al canto ammaliatore anche dei più abili mistificatori e parolai, facendo sentire forte e chiaro il loro dissenso.
“Le pietre e il popolo” di Parma – secondo la definizione di Tomaso Montanari – non hanno mai dovuto ricorrere al glamour, ai lustrini e a immagini di sfacciata opulenza per presentare la città stessa e il suo valore. All’opposto, Parma ha sempre ricercato le vere qualità d’espressione, etica e formale, le quali, è risaputo, per noi cittadini risiedono in ben altri principi, significati e segni”.
Roberta Roberti