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Linger on you – Lorenzo Melegari ci racconta “Dentro il Collettivo”: la musica e l’impegno politico nel film all’Astra stasera


di Nicolas de Francesco

Realizzare un film come “Dentro il collettivo” ha un significato importante per il contesto sociale in cui ci troviamo, una presa di posizione in netto contrasto con le derive qualunquiste che presentano il mondo della politica come tutta uguale, incapace di corrispondere alle aspettative della vita delle persone e lasciata a contestabili professionisti del mestiere.

E’ un operazione, come dice lo stesso Lorenzo Melegari (autore e regista del film), inedita e originale, che racconta l’esperienza politica di Art Lab, spazio sociale radicato nel cuore dell’Oltretorrente che mostra anche ciò che normalmente è proibito alle telecamere: azioni, occupazioni, manifestazioni, assemblee, dove il principio superiore di giustizia sposta il confine del concetto di legalità.

Con Lorenzo, che presenterà a Parma il film stasera 3 settembre presso il cinema Astra alle ore 21.15,  abbiamo voluto però concentrarci maggiormente sul tema e la scelta musicale presente nel docu-film, sul significato di libertà espressiva, di fruibilità della cultura e come gli spazi sociali siano luoghi importanti per veicolare non solo pratiche di democrazia diretta ma anche per sviluppare e sperimentare nuove forme creative e artistiche:

Come è nata l’idea di realizzare un film su uno spazio sociale, di parlare delle sue dinamiche e come è avvenuta la sua produzione?

L’idea è nata semplicemente provando a varcare la soglia di questo spazio sociale e incontrando alcuni giovani pieni di entusiasmo e di voglia di cambiare il mondo. Questo è bastato per far sorgere in me il desiderio immediatamente a loro comunicato di raccontare questa splendida realtà che stava nascendo e di volerla raccontare dall’interno seguendo passo a passo ogni dinamica e avanzamento. Si parla di una produzione totalmente indipendente al di fuori delle correnti logiche produttive e il cui valore principale è stato proprio il tempo così lungo dedicato a questo progetto, parliamo di circa 8 anni.

Potremmo dire che una fase della mia vita è stata spesa per fare questo film e chi lo vede lo riconosce subito. Ma credo che soprattutto sia importante il messaggio che questo film vuole lanciare, e cioè che la politica può essere davvero entusiasmante se la si interpreta nel modo più genuino. La politica non sono necessariamente i partiti o i litigi per le poltrone, la politica è soprattutto agire dal basso concretamente per modificare il proprio intorno e quando necessario essere disposti a mettersi in gioco realmente, in primo luogo destinando all’impegno civile e politico parte del proprio tempo e poi magari, come fanno i protagonisti del film, mettendoci, quando necessario, il proprio corpo.

I grandi avanzamenti politici nel corso della storia hanno sempre avuto un prezzo, per questo non possiamo abbassare mai la guardia proprio per non dover arrivare a pagare nuovamente prezzi altissimi per riconquistare diritti e libertà che altri prima di noi ci hanno regalato e trasmesso.

Qual è il tuo approccio tecnico all’utilizzo delle musiche e che ruolo narrativo hanno all’interno del film?

Per me la musica in un qualsiasi prodotto artistico visivo è molto importante, tuttavia parlerei in generale dell’importanza di un corredo sonoro. Un film tra l’altro “si sente” con le orecchie spesso di più di quanto “si veda” con gli occhi. Tutto deve essere, comunque, in funzione del messaggio che si vuole lanciare e della forma che si è scelta per veicolare questo messaggio.
Nel mio film c’è un utilizzo della musica e dei suoni molto ragionato e con molta attenzione a non appesantire il corredo sonoro inutilmente. Credo in fondo che sapere togliere spesso sia più importante che aggiungere. Oppure mi verrebbe da dire che se si aggiunge troppo o si ha poco da dire oppure si sta caricando lo spettatore di troppe informazioni.

La musica deve sapere fare volare un’emozione, sottolineare dei momenti, aiutare lo spettatore ad entrare nel giusto umore che le immagini stanno comunicando. Si tratta a mio parere di un ruolo non secondario, anzi spesso parliamo di un’importanza pari a quella delle immagini.
Nel caso di “Dentro il collettivo” le musiche sono state in gran parte scelte da brani già editi. In parte parliamo di generi musicali che hanno attraversato la storia dei centri sociali quindi generi assolutamente coerenti con la materia trattata, in altri casi la scelta è ricaduta su artisti di altro genere ma la cui musica era perfetta per esaltare o accompagnare le immagini del film.

Solo in pochi casi è stato necessario intervenire con musiche realizzate ad hoc che ho curato personalmente avendo un lungo background musicale che ha preceduto i miei primi approcci al cinema. Ci terrei a citare tutti gli artisti che hanno partecipato alla colonna sonora, ovvero Assalti Frontali, 99 Posse, SignA, Beeside, Atarassia Groep.

“Dentro il collettivo” è un film militante, che racconta e si riconosce nelle pratiche di autogestione degli spazi sociali; anche le colonne sonore del film sono state prese da gruppi e artisti che fanno della militanza il loro motivo espressivo, i loro testi, il loro stile e l’ambiente musicale prevalentemente underground.

Cosa significa per te musica “impegnata” e cosa pensi del binomio politica/musica? Quali sono le band che partecipano al fim e come le hai scelte o sei entrato in relazione? Pensi che avresti potuto raccontare ugualmente il fim senza utilizzare musica “militante”?

Non so quanto definirei “Dentro il collettivo” un film militante. Per quanto lo sia da un certo punto di vista, il principale sforzo che è stato fatto in termini di racconto è stato quello di cercare di parlare alla più vasta platea possibile.
Nel film tutto quanto può sembrare astratto viene ridotto nei termini più semplici possibili: per capirci quando vedi una persona che è disperata perché gli hanno tagliato la luce o l’acqua oppure è lì lì per essere sfrattata capisci in maniera repentina di cosa stiamo parlando, in quel momento gli aspetti più teorici assumono un ruolo secondario e la politica deve farsi concreta cioè dare risposte vere.

Quindi è si un film militante perché nel suo piccolo cerca di portare un contributo al cambiamento, ma lo fa con un linguaggio comprensibile a tutti, cosa che non si riscontra spesso in opere militanti. Più che un documentario inoltre lo definirei un film d’azione. È attraverso l’agire che il messaggio politico del film passa, non attraverso quelli che molti definiscono “pipponi”. E c’è una sorta di disvelamento per lo spettatore, che scopre da un’angolazione diversa aspetti del proprio presente, della vita, della politica che prima non aveva considerato.

Per la scelta delle musiche ovviamente ho privilegiato artisti provenienti da un ambiente musicale e politico underground ciononostante abbia sempre pensato che questo non dovesse essere necessariamente un mantra, se avessi reperito musica di altro genere ma funzionale al racconto l’avrei potuta utilizzarla ugualmente.

La musica che scegli per accompagnare le immagini diventa un tutt’uno con esse, e quindi un messaggio nuovo.

Io ho un concetto molto alto di musica in testa. La musica può essere impegnata, complessa oppure leggera, fatta semplicemente per divertirsi. In generale apprezzo ogni tipo di musica che sappia però sempre stupirmi, comunicarmi un messaggio uno stato d’animo in maniera il più possibile intelligente ed elegante ma che può essere anche brutale o delicata. Mi deve in qualche modo attraversare.

Per quanto riguarda il binomio musica e politica penso che la musica abbia saputo veicolare tantissimi valori politici positivi e nel senso più vasto del termine ci può essere l’artista che fa della politica il suo linguaggio quotidiano ma ci può essere l’artista anche che comunica un messaggio che non è direttamente politico ma che in fondo risulta a volte molto più politico ed efficace di altri.

Io amo entrambi gli stili, probabilmente il secondo riesce ad arrivare più a tutti.

 Per quanto riguarda le band ho scelto di utilizzare alcuni brani di Assalti frontali e 99 Posse, due istituzioni del rap italiano, perché sostanzialmente entrambi sono la colonna sonora di tutte le manifestazioni portate avanti dai centri sociali negli ultimi vent’anni, non potevo fare una scelta diversa. Il film inizia con la canzone degli Assalti Frontali “Cattivi maestri” che veniva mandata in continuazione dagli altoparlanti per dare la carica ai partecipanti durante le manifestazioni.
Chi vedrà il film noterà che c’è una sorta di mixaggio alternato tra musica originale e musica mandata dagli altoparlanti e cori delle persone presenti alla manifestazione.
La stessa cosa avviene verso la fine del film per un altro brano piuttosto celebre nel giro dei centri sociali ovvero “L’Oltretorrente” degli Atarassia Grop.
Qui non si tratta più di rap ma parliamo di punk, un altro genere musicale che è cresciuto dentro i centri sociali. In questo caso il pezzo era particolarmente coerente in quanto racconta una vicenda relativa alle barricate antifasciste di Parma del 1922 il cui ricordo costituisce uno dei valori fondanti per il collettivo di Art Lab, il centro sociale di Parma di cui si parla nel film e che ha sede nel quartiere Oltretorrente.

Mi sono servito poi in particolare di altri due artisti (un solista e una band) che ho avuto la fortuna di conoscere in un locale di Parma che organizzava concerti di  qualità che si chiamava Materia Off.
Il locale gestito da Guido Maria Grillo purtroppo oggi non c’è più eppure per tanti anni è stato un importante presidio di cultura musicale, ed è quindi anche grazie a questa veicolazione di cultura che ho potuto conoscere questi musicisti. Mi riferisco a Federico Pazzona in arte Beeside, delicato ed ispiratissimo cantautore sardo che si aggira dalle parti di Nick Drake ma con un tocco certamente originale e tutto suo.
Dal fingerpicking a tratti sognante a tratti impetuoso lo ritengo una delle tante gemme nascoste che aspettano solo che qualcuno le scopra. Spero che anche il mio film contribuisca a questo. Credo molto nei cortocircuiti virtuosi, ed è necessario che tra indipendenti ci si sostenga, in un sistema che privilegia le majors se ci riferiamo alla musica piuttosto che le case di produzione o distribuzione più note per quanto riguarda il cinema.

Un altra band che nel film ha un ruolo di primaria importanza sono i SignA, un gruppo che purtroppo non esiste più ma per alcuni anni tra Milano e Dublino ha dato vita ad un progetto interessantissimo che metteva insieme elettronica e cantautorato con grande finezza ed eleganza.
Tutti i brani del loro “Waltzes for lilliputian”, scorrono via con grande godimento dell’ascoltatore.

In particolare ho utilizzato la loro energia in due parti fondamentali del film, l’azione all’inceneritore e all’ospedale vecchio. I loro pezzi prediligono incroci vocali e parti strumentali. Utilizzano la reiterazione ma senza mai essere ripetitivi. Grazie ai magnifici Massimiliano Galli e Stefano Schiavocampo questi momenti pieni di adrenalina arrivano senza filtri allo spettatore.

Ci tengo infine a sottolineare, e questo è un valore aggiunto, che tutti i musicisti indistintamente hanno messo a disposizione del film la loro musica liberamente.

Gli spazi sociali sono sempre stati luoghi di sviluppo culturale, di creatività e sperimentazione. Molti generi sono nati e maturati sui palchi di tutta Italia e hanno lanciato numerose band e artisti. Secondo te qual è il motivo principale di questa relazione tra musica, espressione creativa e spazi sociali? Quanto sono importanti secondo te i luoghi per l’espressività, la creatività e la loro libera fruizione?

Si tratta di una questione importantissima: l’esistenza di spazi per la cultura la creatività e la sperimentazione sono un presidio di libertà e di democrazia. Molti gruppi musicali o artistici in generale hanno potuto crescere, svilupparsi e affermarsi solo grazie alla presenza di questi spazi e alla libertà che questi spazi consentono. Moltissime band che calcano i palchi dei centri sociali non cantano necessariamente canzoni politiche ma il solo fatto di essere in uno spazio sociale a esibirsi ha un suo contenuto politico, ed è linfa per la cosiddetta controcultura. Senza questi spazi dove spesso si esercita un dissenso costruttivo non c’è vera cultura, non c’è vera democrazia.

 In questo periodo di crisi, esasperata certamente dal pericolo sanitario e dal lockdown, ma che ha la sua matrice nella precarietà strutturale di questi settori, la fruibilità e l’accessibilità a spettacoli di musica, cinema e teatro, vivono un momento di difficoltà enorme. Come vedi il futuro di queste arti? Ci può essere un destino comune tra musica e cinema? La tecnologia potrà darci strumenti innovativi per poter superare questa crisi? Uno spettacolo di musica dal vivo o la proiezione dentro una sala cinematografica con pubblico, potranno mai diventare modalità superate?

La domanda è molto interessante ovviamente viviamo questa situazione giorno per giorno sperando che abbia presto una sua conclusione eppure certo dobbiamo cogliere degli stimoli che ci possono essere utili anche in maniera creativa sia per la composizione di un’opera d’arte che per la fruizione della stessa. Certamente l’incrocio tra presenza fisica e multimedialità potrebbe in questa fase avere un sviluppo maggiore che in passato.

Ovvio il problema ora è fare sì che questo settore che soffre non debba pagare un prezzo altissimo. Essere artista significa quasi sempre essere un lavoratore precario tra i più precari eppure la musica, il cinema, il teatro, la danza e ogni forma d’arte è quello che ci rende la vita più degna di essere vissuta, un settore quindi che non va lasciato agonizzare, ma promosso e sostenuto, a maggior ragione ora.

Il film sta avendo buonissimi feedback e sta girando per molte presentazioni e festival sia in Italia che in Europa. Come stai vivendo questo momento e quali sono le percezioni che hai avuto durante le presentazioni? Quali sono i prossimi passi di “Dentro il collettivo” e le sue prossime proiezioni? Stai già maturando qualche stimolo per progetti futuri?

Si è un momento molto felice per me e per il film che è stato selezionato ad alcuni festival nazionali ed internazionali, ha vinto due premi uno come miglior documentario italiano al “Retro Avant Garde Film Festival” l’altro come premio del pubblico al “Torino Underground Cinefest”. ci sono state proiezioni in diversi paesi.
Il 12 settembre verrà proiettato in Grecia mentre il 15 ottobre parteciperà al “Movieactivism festival” a Rijeka in Croazia.

Il film è già stato presentato anche in due importanti centri sociali come il Forte Prenestino a Roma e l’Asilo di Napoli e certamente proseguiremo una sorta di tour nella modalità che la pandemia ci renderà possibile. Giovedì 3 settembre finalmente lo presenteremo al Cinema Astra a Parma in una cornice d’eccezione alla presenza di alcuni dei protagonisti. Sarà certamente una serata da non perdere e abbiamo già tantissime prenotazioni.

Non sarà facile riproporlo nelle sale cinematografiche perché spesso il cinema indipendente, soprattutto documentario, non viene percepito come redditizio dai gestori, ma è anche tutto il sistema distributivo e produttivo ad essere regolato da logiche di mero profitto. Questo film va controcorrente non solo col suo tema irriverente ma anche contro queste logiche che lo escludono. Eppure il tempo siamo sicuri darà ragione a questo piccolo film, fatto con il cuore e con il sangue, ma che andrà a riempire un tassello di conoscenza storica, politica e sociale importantissima con un linguaggio semplice e diretto. Venite a vederlo, a cominciare dalla serata di Parma, vi aspettiamo anche per parlarne insieme.

Idee ne ho tante, alcune già anche abbastanza definite, tuttavia la postproduzione e la promozione del film mi hanno impedito di partire in concreto con progetti grandi. Al di là del tema in concreto che sceglierò rimarrà questo filo comune, cioè di cercare di raccontare una storia che ambisca a produrre non solo un’emozione in chi guarda, ma anche un cambiamento. E in fondo anche questo, tornando a quanto si diceva prima, è politica. E’ un ambizione grande lo so, ma bisogna provarci.

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