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18 maggio-Giornata Internazionale dei Musei: ‘Che venga il tuo museo, dunque!’una riflessione di Silvia Settimj

 

La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le contempla  – David Hume

“Da sempre numerose creazioni performative di Lenz instaurano un denso dialogo artistico con questi luoghi d’arte, mirando a una ridefinizione antropologica profonda del linguaggio teatrale contemporaneo-spiega Francesco Pititto di Lenz Fondazione-E per celebrare la Giornata Internazionale dei Musei abbiamo chiesto a quattro persone vicine al nostro lavoro alcune parole sul rapporto tra spazio museale e performatività.”

 

‘ADVENIAT MUSEUM TUUM’

di Silvia Settimj

“muṡèo s. m. [dal lat. Musēum, gr. Μουσεον der. di Μοσα «musa2» (propr. «luogo sacro alle Muse»), nome di un istituto culturale dell’antica Alessandria d’Egitto]. – 1. a. Raccolta di opere d’arte, o di oggetti aventi interesse storico-scientifico, etno-antropologico e culturale; anche, l’edificio destinato a ospitarli, a conservarli e a valorizzarli per la fruizione pubblica, spesso dotato di apposito corredo didattico… (omissis)”

Questo il significato letterale di museo nel dizionario Treccani.

Storicamente il primo Museo, con la M maiuscola, fu eretto ad Alessandria d’Egitto per iniziativa di Tolomeo I. Era la casa delle Muse, figlie di Zeus, la massima istituzione culturale del mondo ellenistico per molti secoli, luogo di insegnamento scientifico e letterario, di scambio culturale fra persone colte e d’ingegno che alle Muse consacravano la propria attività speculativa.

E oggi? Oggi il museo è ancora così ed è molto di più,  un entità più che uno spazio, difficile da delimitare concettualmente e da confinare in usi predefiniti.

Il concetto di spazio museale diventa sfuggente, quasi un pensiero platonico. Cogliere, ad esempio, la differenza fra museo, come  tradizionalmente inteso (teca/raccoglitore/archivio di oggetti artistici) e contenitore architettonico di mostre ed eventi temporanei, appare difficoltoso.

Giulio Carlo Argan in “Intervista sulla fabbrica dell’arte” scriveva: «I musei non debbono servire solo a ricoverare le opere sfrattate o costrette a battere il marciapiede del mercato[…] Dovrebbero essere istituti scientifici o di ricerca, con una funzione aggiunta, ed essere i grandi e piccoli nodi della rete disciplinare dell’archeologia e della storia dell’arte[…] il museo non dovrebbe essere il ritiro e il collocamento a riposo delle opere d’arte, ma il loro passaggio allo stato laicale, cioè allo stato di bene della comunità: il luogo in cui davanti alle opere non si prende una posizione di estasi ammirativa, ma di critica e di attribuzione di valore».

Il museo come luogo esclusivo della conservazione e dell’accumulo di oggetti artistici rivolto ad un pubblico passivo e acritico è in effetti un concetto superato. La funzione didattica formativa resta, ma il pubblico si è trasformato e chiede che gli spazi d’arte siano prima di tutto spazi di relazione e di confronto, chiede di interagire emotivamente con il patrimonio artistico in modo critico e partecipativo. Anche virtualmente, certo, (mai come oggi) ma con meno emozioni.  “L’internet of things rende più facile salvare a futura memoria i tracciati della nostra interazione col mondo. Mondo che da read-only si trasforma in read-write (l’espressione è di Lessig).“ (cit. Giuliana Bruno – ‘Pubbliche Intimità’)

Un museo che diventa luogo di scrittura delle esperienze, non più solo di lettura, non statico ma dinamico, come un film che racconta le storie generate dalle interazioni che al suo interno  si creano.

In una ‘chiacchiera’ telefonica  di qualche giorno fa con un amico, ideatore di fabbriche d’arte in spazi industriali dismessi,  si parlava proprio di questo, dell’importanza di considerare lo spazio del museo uno spazio liquido e dinamico, da poter ‘utilizzare’ in modo flessibile e multiforme, anche in un’ottica di sostenibilità gestionale ed economica: il museo come luogo per gli incontri di lavoro, molto più piacevole ed esteticamente appagante di una fredda sala riunioni  (museo-ufficio), come spazio domestico della quotidianità in cui rifugiarsi, perché ci entri e ci stai bene per il senso di familiarità  che trasmette (museo-casa), come luogo di narrazione e di innesto di nuovi linguaggi teatrali (LENZ docet), “spazi storici e monumentali utilizzati per momentanee installazioni e azioni performative teatrali, musicali o di danza che subiscono provvisorie metamorfosi esaltando sia il proprio status di edifici rappresentativi della storia di una comunità sia la propria intrinseca disponibilità a farsi contenitori prestigiosi della contemporaneità” (cit. Francesco Pititto, 2008), dove lo spettacolo si fa strumento di comunicazione, sia intrinseco dell’opera teatrale rappresentata,  sia estrinseco del contenuto culturale del patrimonio artistico esposto, in grado di creare così un ponte tra l’opera e il pubblico in un contesto di senso ancor più significativo perché arricchito dalla contaminazione fra i diversi linguaggi artistici (museo-teatro) .

Nell’ambito, infine, di una riflessione più strettamente connessa alla mia formazione, comunque non avulsa da quanto fin qui asserito, penso al ruolo strategico che il museo può rappresentare nella rigenerazione di spazi periferici degradati,  come prezioso presidio di formazione e di crescita in contesti sociali critici. Museo come luogo inclusivo e di contrasto all’esclusione  sociale, atto a rivestire un ruolo nevralgico di ‘medium’ culturale tra società e territorio: sono spesso così i musei di paese e di quartiere. Ciò che Simona Bodo, ricercatrice e consulente in problematiche di diversità culturale, intende quando parla di “museo relazionale per indicare la rete di relazioni che uniscono il museo al territorio, ai comunicatori sociali, alla societa’ in senso lato’”.

E’ necessario riprogettare il museo? Sì, non nel senso di favorire interventi di costruzione  di nuovi contenitori fisici, ma nel ripensare la fruizione di quelli esistenti secondo nuovi usi flessibili e promiscui, rendendoli disponibili ad attività diverse, non luoghi esclusivi specializzati, ma inclusivi e contaminati, in cui sviluppare nuove relazioni tra un pubblico sempre più eterogeneo e l’opera d’arte, tra i visitatori e gli artisti, tra gli artisti e i curatori ….Un museo come narrazione di questa nuova reciprocità, in cui il visitatore, emozionato spettatore e attore insieme, si ritrova ad essere l’interprete protagonista.

Cito due musei che, più di altri, mi sembrano incarnare abbastanza bene l’idea del museo contemporaneo, solo due per necessità di sintesi: il Museo del 900 in piazza Duomo a Milano, aperto e trasparente, permeabile alla città e permeato dall’energia cittadina e il Maxxi di Roma, che si snoda come un nastro ripiegato su se stesso e nello stesso tempo proteso verso la città attraverso l’ultima propaggine della grande parete-finestra posta all’ultimo piano.

In futuro sempre di più ci rapporteremo all’idea di uno spazio generatore di nuove esperienze, un “unicum” mobile, flessibile, un po’ inafferrabile anche,  che concentri in sé, e al tempo stesso dissemini, stimoli ed esperienze emotive, in una tensione energetica continua fra interno ed esterno, interiore ed esteriore, grazia e disarmonia, purezza e contaminazione .

Un “unicum” che non esiste forse, che non può esistere, non come modello spaziale/architettonico per lo meno. Ma che si sostanzia tuttavia nella sola capacità di immaginarlo, nel momento stesso in cui se ne percepisce la necessità: immaginare il museo contemporaneo non in senso fisico, ma come nuovo modello culturale cui tendere, non sempre e solo uno spazio specialistico, un ‘museo di specie’, non un luogo, ma più luoghi, non un oggetto architettonico rigido e concluso, ma uno spazio duttile ed articolato, aperto a nuove funzionalità, pronto ad accogliere ed ispirare un pubblico trasversale e non specializzato, ovvero la comunità umana.

“CHE VENGA IL TUO MUSEO” dunque!.. che ognuno abbia il suo, sia esso ufficio, bar, casa, teatro, cinema, centro sociale, che sia rispondente alle diverse esigenze di un pubblico, il più trasversale possibile, che sia fatto di interazione e partecipazione, da inventare e riscrivere ogni giorno. Il Museo totale!, pensato e progettato per chi lo fruisce, contenitore di storia, spazio di conservazione, teca/archivio di oggetti artistici e insieme motore dinamico di nuove esperienze conoscitive, artistiche, formative, partecipative ed emotive. Ma soprattutto, sempre, sia luogo di educazione alla bellezza.

P.S.: se quanto scritto dovesse apparire a qualcuno anacronistico per non aver mai accennato ai restringimenti e limitazioni di questo periodo di contingentazione relazionale, io rispondo, da ottimista quale sono, che torneremo a veder le stelle.

 

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