Il racconto di Alessandro Zarotti, fotografo, all’interno dell’ex manicomio di Colorno dove è riuscito entrare a scattare immagini di questo luogo di segregazione e di condanna della ‘diversità’ e che ha voluto pubblicare in bianco e nero per sottolinearne la mancanza di vita e di colore oggi come ieri quando anime negate lo popolavano.
di Alessandro Zarotti
L’idea dei luoghi abbandonati mi ha sempre affascinato. Se poi questo luogo rappresentava fino a pochi anni fa uno dei più importanti manicomi del nostro paese, ancora di più. Si sa che l’uomo è attratto dalle cose strane, non è vero?
Non è facile entrare nel vecchio edificio che ospitava il manicomio di Colorno, in provincia di Parma. Ogni tanto nel mondo si affiancano cose talmente diverse che ci si chiede come possa essere stato possibile: cosi, a pochi passi dalla reggia di Colorno, una delle regge più belle in Italia, il cui giardino occupa diversi ettari e pullula di ogni tipo di fiore, sorgeva un manicomio in cui venivano internate e trattate come emarginate diverse tipologie di persone affette da problemi mentali, criminali o prostitute, tossicodipendenti e perfino bambini come è avvenuto nel tempo.
Con l’entrata in vigore della Legge Basaglia, che fu anche direttore di questo istituto psichiatrico, la “casa dei matti” come veniva chiamata dai parmigiani, venne abbandonata. Da quel momento nessuno se ne curerà mai più, e tutto quello che vi era al suo interno rimane ancora oggi sepolto tra le sue mura.
L’edificio è di una grandezza stupefacente ed è contornato da un grande parco, che ad oggi rappresenta l’unico modo per entrare. Negli anni si sono formati diversi sentieri che conducono ad una finestra bucata che permette l’accesso nel vecchio istituto.
Una volta entrati si viene catapultati in un’altra dimensione: sedie a rotelle, scarpe, letti, scartoffie, perizie psichiatriche, appunti, diagnosi.
Dal 1978 questo luogo è rimasto così, impolverato e dismesso. Il cuore del manicomio si trova nella sua sede storica, il palazzo adiacente all’ALMA, la famosa scuola di cucina.
Al suo interno si trova un’enorme androne la cui unica fonte di luce è data da una grande finestra colorata. Di fronte ad essa si erigono un paio di carrozzine e le loro inseparabili ombre giusto per rendere più angosciante di quanto già non sia la scena.
Dentro alle stanze del vecchio palazzo giacciono abbandonati poi giacche, scritte, documenti medici, strumenti per la palestra e disegni. E, ovviamente, tanta polvere e tante ragnatele.
Diverse scritte “HELP” e “AIUTO” sono presenti ovunque, in particolare sulle finestre, per ricordare a chiunque lo guardi da fuori ciò di cui c’era effettivamente bisogno dentro quel posto. Molte stanze sono piene di letti e sedie, ma alcune di esse sono ancora posizionate davanti alle piccole finestre dei corridoi come se lo spirito di un qualche paziente sia ancora li seduto, a guardare ciò che un tempo era un giardino e che oggi è una foresta.
Nonostante questi lati estremamente affascinanti, come qualsiasi luogo abbandonato, esso presenta qualche insidia: vecchi solai marciti, detriti e pavimenti pericolanti sono elementi che è fondamentale tenere nel proprio retrocranio per poterne uscire “integri” e potersi ricordare di quella che era l’Italia in un passato lontano poi neanche troppo.
Fotografare in un luogo di questo tipo è talmente emozionante che le prospettive escono in automatico, la tua creatività si sbizzarrisce e potenzialmente tutto potrebbe essere un soggetto perfetto per una foto memorabile.
Per questa spedizione punitiva ho utilizzato la mia Reflex Nikon, un obiettivo grandangolare (10-24 mm) e un treppiede, fondamentale vista la scarsa presenza di luce e per poter abbassare un po’ gli ISO. Meglio comunque stare leggeri e portare giusto il minimo indispensabile.
Ho scattato un centinaio di foto, non troppe, neanche troppo poche, ma ero spesso concentrato a captare la storia di quegli spazi più che ha provare mille scatti: cercavo di pensare a quel luogo stracolmo di pazienti e di come mi sarei comportato se avessi dovuto riprenderli nel mentre della loro vita quotidiana. I pazienti fortunatamente non ci sono più, ma alcune forme pseudo umane sono state lasciate da Herbert Baglione, street artist che con il suo progetto “1000 Shadows” ha riportato qualche anima nel manicomio di Colorno.
Nel pieno rispetto di quello che è stato e di quello che hanno sofferto le persone a Colorno ho lasciato tutte le foto in bianco e nero: nella loro vita non esistevano infatti colori, ma esistevano solo il bianco delle luci provenienti dalle finestre e il nero dei diavoli che attanagliavano le loro esistenze.
Mi sembra quindi questo il modo migliore per trasmettere l’angoscia che si prova in un posto così, nella invece colorata speranza che orrori del genere siano solo un lontano ricordo per Colorno, per Parma e per l’umanità intera.”
Ph. Credits A.Zarotti
Sono bruno Pessina fotografo di manicomi abbandonati sono rimasto colpito delle tue foto di Colorno che evocano il passato come emarginazione sociale.sono su Instagram bruno Pessina(@pessinabruno).voglio sapere se si trova. Ancora una apertura x entrare al manicomio. Grazie a risentirci