di Fabrizia Dalcò
Bisogna, dal principio, sgomberare il campo da un equivoco: l’8 marzo non è la Festa della donna. L’8 marzo è la Giornata internazionale della Donna, istituita per ricordare le battaglie portate avanti dalle donne per l’autodeterminazione e la libertà.
È difficile ricostruire la storia che ha portato a fissare la data della Giornata internazionale della Donna proprio l’8 marzo di ogni anno. L’iniziativa fu presa nel febbraio del 1909, negli Stati Uniti, su decisione del Partito socialista americano. Ma sarà Clara Zektin, l’anno seguente a Copenaghen durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste, a consacrare l’iniziativa.
E sarà nel corso della Seconda conferenza delle donne comuniste a Mosca, nel 1921, a venire confermata come unica data per le celebrazioni l’8 marzo, in ricordo della manifestazione contro lo zarismo delle donne di San Pietroburgo avvenuta nel 1917.
Del tutto inventata l’attribuzione della ricorrenza alla tragica morte di un gruppo di operaie costrette dal datore di lavoro a rimanere al loro posto perché non partecipassero a uno sciopero durante un incendio della fabbrica a New York: sono molte le versioni che collocano la fabbrica nella città di Philadelphia, con contorni della vicenda ancora più tragici.
È su questo spostamento che voglio soffermarmi: dalla Conferenza delle donne comuniste di Mosca al rogo della fabbrica di New York. Un’attribuzione di significato completamente diverso e che suffraga l’idea (continua nel nostro immaginario contemporaneo) delle donne vittime. E che oscura il significato originario, che rammenta una decisione presa in un consesso di donne forti, determinate, indipendenti che stavano decidendo del loro futuro e della libertà di autodeterminazione di tutte le donne.
Sul senso di questo spostamento di significato è necessario soffermarsi. Sofferenti, indifese, annichilite, bisognose di sostegno: una delle immagini femminili da cui non riusciamo ad affrancarci è questa. La vittima, tragicamente invischiata in un destino di sofferenza, lascito anche di tanta narrativa ‘al femminile’. Gli esempi di donne forti e determinate, capaci di decidere del loro destino fanno fatica ad affermarsi in un mondo che guarda al femminile in maniera stereotipa e lo relega (più volentieri) in una sfera privata (dove si può essere protette) piuttosto che in quella pubblica (dove spesso si è in balìa di avvenimenti e di meccanismi meno ponderabili).
Compito dell’8 marzo deve essere questo (così come lo è stato per lunghi anni). Una giornata di riflessione su ciò che accade, su che orizzonte hanno davanti le donne, su quali sono i problemi (sempre moltissimi) che devono affrontare.
Che l’8 marzo 2020 non sia una festa è evidente (anche se qualcuno si ostina a chiamare così la giornata).
Questo marzo in cui gli eventi sono annullati, rimandati, realizzati a porte chiuse (solo se possibile) ci deve riportare a pensare, studiare, riflettere. Nei periodi di crisi (e questa causata dal coronavirus è crisi di grande portata) le donne rischiano di rimetterci di più: si parla di misure straordinarie, di congedi parentali per l’emergenza di scuole chiuse, ma il pensiero è che siano le madri a dover stare a casa per occuparsi del lavoro di cura.
Ecco questo marzo d’emergenza ci deve dire che tutti, donne e uomini, dobbiamo rallentare e che, comunque, donne e uomini devono essere messi nella condizione di scegliere. Bello un mondo in cui poter scegliere senza ruoli predeterminati e già assegnati.
Senza dimenticare che l’8 marzo (e gli altri giorni tutti) è tempo di lotte, è tempo di rivendicazione di diritti, è tempo di libertà.
Fabrizia Dalcò– Giornalista ed esperta in politiche di genere. Appassionata di storia delle donne si occupa di progetti dedicati alla valorizzazione del pensiero femminile e alla promozione delle pari