Inaugura sabato 25 alle ore 17 alla Chaos Art Gallery di Vicolo Al Leon d’oro 8 la mostra “Goliardo Padova. Eterno ritorno” (fino al 6 febbraio).
E’ davvero un grande ritorno con un’esposizione di più di 40 opere dell’artista casalasco naturalizzato parmigiano.
Ma eterno ritorno è anche il tema della sua pittura che parla della vita, della sua continua trasformazione e del mistero insito nella natura, del ciclico destino che accomuna tutti indistintamente. Padova ha tradotto tutto questo con la sua pittura fortemente espressiva, ricca di sfumature profonde, d’affioramenti di luce, di paesaggi racchiusi e voli abbraccianti terra e cielo.
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, questa frase del filosofo Lavoisier, poi ripresa da Einstein, racconta il grande mistero della vita e delle sue trasformazioni, proprio come fa Goliardo Padova con la sua pittura.
Nelle sue opere è celebrata la natura e il destino degli esseri viventi, animali, vegetali e uomini, accomunati da un percorso di crescita, sviluppo e inevitabile declino. Nel piccolo come nel grande, direbbe l’antico saggio Ermete Trismegisto, avviene la metamorfosi: gli insetti si divorano, le piante avviluppano e poi marciscono, il volo si ripiega in abbraccio, il cielo e la terra si confondono, il sole pare sciogliersi nel fango per poi vibrare tra i filari, scaldare grembi oscuri dove va formandosi nuova esistenza.
Padova afferra l’intima essenza della natura, restituendone persino la linfa, gli umori, gli odori. Spesso accostato a Morlotti, lui di fatto sfugge al compiacimento della bellezza, per rendere col colore la sostanza delle cose.
Non un tratto, un segno, una pennellata è a caso, superfluo; tutto ha un senso, un valore profondo e freme di vita silenziosa. I temi sono quelli della terra, ma di una terra umida di fiume, del grande Po sul quale Padova è nato a Casalmaggiore e di cui, proprio come Ungaretti nella sua celebre poesia “I fiumi”, egli pare riconoscersi “docile fibra/dell’universo”.
Ecco allora i voraci insetti che si divorano per poi morire e mutarsi in quelle stesse erbe di cui si sono nutriti, ecco gli uccelli migratori nel loro ritornante “passo” stagionale che colmano il cielo con le ali e lo chiudono in un spazio che si fa infinito. E in questi “paesaggi racchiusi” o microcosmi, come nelle lanche solitarie, c’è l’universo e si svolge il mistero dell’esistenza.
Il cerchio è l’elemento topico di Goliardo Padova, simbolo di rigenerazione, di continuum del tutto nel tutto. Le contadine sono curve sui campi, in circolo a lavorare, raccolte in una sorte comune di fatica e speranza, sono curve le grandi ali degli uccelli, curvi gli steli, tondi sono lo spazio della lanca, il guscio della lumaca, il nido e persino le sagome delle gatte raggomitolate nell’ombra. E la pittura, specialmente negli oli, è avvolgente e increspata, come l’acqua dei fiume, con i suoi gorghi e i suoi ristagni fecondi.
Dentro al bruno fangoso o al verde marcio, s’agitano venature azzurre, rossi sanguigni d’autunnali congedi, spasmi gialli di sole, bolle di luce imprigionate tra gli intrichi. Le cose e gli esseri si mescolano per poi affiorare in un effimero, talvolta impercettibile splendore.
Questa capacità di rendere il colore sostanza perennemente viva è stupefacente in alcuni dipintii; il nero su nero della gatta, il rosso su rosso di una lanca al crepuscolo o di un nido vuoto, dove è la materia palpitante, innervata di élan vital – come direbbe il filosofo Henri Bergson – a dare evidenza ad una creatura, ad uno stelo, ad un minimo dettaglio nella vastità circostante, evocandone il breve transito, la fugace bellezza.
Padova coglie l’anima invisibile delle cose, il mistero profondo della vita nello spazio confuso e perfetto della natura, nello scorrere del tempo. Dove tutto ha lo stesso destino, tutto è vano ma inesorabile, tutto si trasforma continuamente. In un eterno ritorno.
Goliardo Padova è nato a Casalmaggiore (Cr) nel 1909, ha studiato all’Istituto d’Arte Toschi di Parma, allievo di Guido Marussig. Si è diplomato all’Accademia di Brera, dove ha appreso, per la decorazione e la grafica, gli insegnamenti di Palanti. Nel ’31 aderì al Chiarismo seguendo le lezioni di Edoardo Persico, con gli amici Del Bon, Lilloni, De Rocchi e Spilimbergo. A Brera iniziò a insegnare a soli 25 anni come assistente di Marussig. La cattedra di composizione decorativa e grafica gli venne confermata fino al 1947. Oltre alla pittura si dedicò alla grafica, realizzando manifesti e campagne pubblicitarie (per Campari, Fratelli Branca e altre ditte famose).Verso la fine degli anni ’30 abbandonò i toni chiari rendendo la sua tavolozza più densa e avvicinandosi a Corrente.
Partecipò alla prima mostra del gruppo alla Permanente nel marzo 1939 e vi collaborò poi per diversi anni. Con lui vi erano i giovani appena usciti da Brera Cassinari e Morlotti, ma anche i meno giovani Lucio Fontana, Sassu, Birolli, Manzù, Badodi. Partecipò al Premio Bergamo dal 1939 al 1941. Nel periodo della guerra Goliardo Padova dovette subire discriminazioni a causa del suo cognome, ritenuto d’origine ebraica.
L’ 8 settembre del ’43 dalla Francia i tedeschi lo deportarono in Germania, nel campo di concentramento politico di Karlsruhe dove patì fame e lavoro pesante. Perse anche un timpano a causa di uno scoppio. Riuscì a fuggire dal Lager e tornò a piedi dalla Germania, portandosi dentro una grande desolazione che s’espresse in una pittura sempre più tormentata. Per gravi motivi di salute dovette rifiutare l’insegnamento a Brera.
Si ritirò a Casalmaggiore chiudendosi in se stesso e abbandonando la pittura, limitandosi ad insegnare nella locale scuola media. Il silenzio si protrasse per anni, fino al 1955, quando riprese a dipingere grazie anche all’amicizia disinteressata di personalità del mondo della cultura, dell’arte e della poesia accomunati da un’accesa sensibilità: Francesco Arcangeli, Attilio Bertolucci, Roberto Tassi, Pietro Bianchi, Mina Gregori, Arturo Carlo Quintavalle, Giorgio Cusatelli, Piero Del Giudice, Elda Fezzi, Giuseppe Tonna. L’artista era ormai cambiato dentro e inizialmente riprese a usare solo la tempera, ma si tenne sempre aggiornato culturalmente. Cominciò così a usare il colore in modo forte, espressivo.
Nel ’57 ricominciò a dipingere anche ad olio e ad esporre: nel ’58 a Milano alla Galleria Cairola, a Brescia, a Parma alla Galleria del Teatro, alla Galleria La Ruota e al Ridotto del Teatro Regio. Modena, Ferrara, Cremona, Torino, oltre ovviamente Parma hanno ospitato negli anni ‘60 rassegne di Goliardo Padova Nel ’68 venne invitato al Museo Civico di Bologna per la Mostra sull’ “Arte Contemporanea in Emilia”.
Le sue opere si trovano alla Pinacoteca di Parma, al Museo Civico di Cremona, allo CSAC di Parma, al Museo della Permanente e nella Raccolta Bertarelli al Castello Sforzesco a Milano, al Museo Diotti di Casalmaggiore (Cr). La sua pittura, nata sotto il segno del Chiarismo e del Naturalismo lombardo, si si spostata poi verso un espressionismo tendente all’informale. Alla fine, è giunta per lui la “stagione ricca di frutti” come definita dal poeta e amico Attilio Bertolucci.
Nel 1961 si trasferì a Parma e poco dopo acquistò una casa a Tizzano sull’Appennino.Dopo la sua morte nel 1979, sono proseguite mostre e pubblicazioni dedicate a lui, sempre apprezzato dal pubblico di numerosi collezionisti, da critici e galleristi.
Inaugurazione
A cura di Manuela Bartolotti
Sabato 25 gennaio ore 17
Orario apertura
Da martedì a sabato 10.00 – 12.30 / 16.00 – 19.00
Domenica 16.00 – 19.00
Lunedì chiuso
Ingresso libero