“Qui ci basta la distanza, guardiamo straziare i fiori come non fosse cosa nostra”
Inaugura il 30 gennaio a LaZona Cinema Lino Ventura la mostra di Deda Artusi dal titolo ‘Madre, patria, figlie’ un ciclo di dipinti intorno alla figura della donna e in particolare delle donne Curde.
L’autrice Maddalena (Deda) Artusi parla del suo percorso espositivo:
“Sui muri del Centro cinema Lino Ventura porto più di una serie pittorica, suggerendo un percorso tra lo stato naturale, storico e culturale del femminile e aprendo con esso all’immaginifico, al mito fino alla cronaca odierna.
NUBE (pittura su tavola, pittura su tela, disegni su carta) tema su cui lavoro in continuità dal 2010 a oggi.
Nube, nube + civetta, nuvola, rugiada, alluvione, sono alcuni dei titoli esposti.
CASSANDRA (quattro tavole ad acrilico e olio)
IL DONO, LA SALIVA, L’ACCESSO, IL TAGLIO, un ciclo del 2006 ispirato e accompagnato dalla lettura dei testi di Christa Wolf, Premesse su cassandra e Cassandra.
La sua figura di veggente e voce femminile si incunea nel meccanismo inarrestabile della guerra, in un tempo che vede nella strutturazione della società patriarcale e gerarchica l’alba della nostra cultura.
Una figura ponte tra linguaggi umani e divini, tra presente e futuro, in grado di introdurre nel contesto espositivo il tema delle odierne amazzoni: le combattenti curde impegnate nel conflitto siriano.
MADRE, PATRIA, FIGLIE (pittura su tavola, e disegni su carta) è il percorso più recente, avviato nel 2016 con le prime tavole, proseguito nel 2018 con una serie su carta e ripreso ora nel 2020 di nuovo su tavola. Una rielaborazione di immagini fotografiche portate dai fronti siriani: donne, ragazze, la loro terra come tappeto, il loro sangue come sacrificio alla rinascita.
“I quadri sono per me la voglia di disegnare un po’ più in grande, su di una superficie più pesante, ma restano pur sempre un pensiero, un disegno. A volte mi concedo pochi giorni per realizzarli, pochi elementi e pochi tratti per far affiorare un’unica cosa. A volte sono logorroica, vorrei dire tanto e lascio tracimare i colori e le linee come fossi un bacino che ha raccolto troppa pioggia, e non trattiene le sbavature, gli accumuli di segni. Non costruisco, non ho forme logiche e stabili, quindi tengo solo le tracce che galleggiano, una pittura di zattere e isole, di guizzi in superficie.
Terra fertile, fiorita
Fili d’erba annodati al suolo.
Terra madre, abitata
come un giardino, come un tappeto.
E le figlie non dovrebbero forse crescere, sbocciare e maturare preoccuparsi del vento, sanguinare alla luna.
Eppure le vedi rispondere alla bufera, a capo scoperto
con la morte pronta in tasca.
Di fronte alle fotografie di ragazze curde inghiottite dal conflitto siriano, mi rimangono in bocca frasi incompiute, senza peso.
Loro, in braccio un fucile, visi sorridenti, fiori tra i capelli, in altri scatti sguardi muti e polverosi. Provo a chiamarle coi nomi delle nostre partigiane, trovo la miseria degli animali braccati, immagino l’orgoglio ma sento lo spreco del sangue di ogni soldato.
Rimango a guardare e disegno per addomesticare il disagio, per restituire qualcosa della loro bellezza.
Ho iniziato questo piccolo progetto pittorico confusa dalla crudeltà della cronaca. Ho voluto tracciare il potenziale della rinascita, la forza sovversiva dei semi capaci di volare da una pianta abbattuta.
Radici e rami in un campo bianco ancora da disegnare, fiumi d’acqua che escono come fiotti di sangue, sangue versato ma sempre fertile e vitale, corpi come sorgenti.
Le sagome dei fucili sono rimaste vuote e bianche: strumenti necessari, ma non per questo da celebrare.
In questi anni di guerra abbiamo visto le truppe curde combattere per liberare città e villaggi. Tra il sangue e la polvere di quella terra è germinato il progetto politico e sociale del Rojava.
Dall’ottobre del 2019 guardiamo ad una nuova fase del conflitto, altra violenza: l’offensiva della Turchia nel nordest della Siria che fa scempio di quella terra e di quei corpi a cui, come potenze internazionali, avevamo promesso alleanza e sostegno.
Provo di nuovo a chiamare quelle donne schierate coi nomi delle nostre partigiane ma non posso più perché la loro resistenza è stata tradita, loro muoiono ancora.
Ricomincio a dipingere i fiori, i semi sovversivi, le radici, i rami, le sorgenti, il sangue, i funerali, le martiri.
Qui ci basta la distanza, guardiamo straziare i fiori come non fosse cosa nostra.
Dipingere o guardare quadri ci permette una comoda distanza dalle immagini e dagli eventi. La comodità non va scambiata con l’ignoranza. Chiedo ora con le parole, perché l’intenzione non possa essere fraintesa, che da qui ogni persona si adoperi in azioni concrete per rimediare al sacrificio e al tradimento che questo popolo sta subendo: molte cose si possono fare oltre alla comunicazione artistica.
Chiedere alle istituzioni italiane, in ogni loro grado di rappresentanza, di condannare l’azione militare dello stato turco sul territorio siriano controllato dai curdi, e inoltre imporre sanzioni contro ministri e funzionari del governo turco.
Impedire la vendita di armi alla Turchia.
Donare il cinque per mille alla mezza luna curda (Mezza luna Kurdistan onlus Italia), per aiutare il soccorso medico.
E ogni altra cosa che sia utile a queste madri e sorelle e alle loro famiglie.”