Da Maria Callas e Giuseppe di Stefano a Wally Toscanini, da Leonardo Sciascia a Luciano Pavarotti, sono tanti i nomi della musica e della cultura che dal 1959 ad oggi hanno preso parte ad iniziative del’Istituto sulla figura di Verdi.
Era infatti il 1959 quando, per iniziativa di Mario Medici, musicologo modenese appassionato della figura di Giuseppe Verdi, nacque l’Istituto di studi verdiani che, nel giro di pochissimo tempo, si formò una propria identità istituzionale ottenendo il patrocinio dell’Unesco. Quanto all’identità culturale, tutto era già chiaro fin dall’inizio: tutelare, valorizzare e diffondere l’opera e la figura di Giuseppe Verdi, orientandone la conoscenza sia al grande pubblico sia a livello specialistico, con il contributo di studiosi non solo del mondo musicale. Oggi l’Istituto celebra i sessant’anni offrendo il volume Questione di anima. Sessant’ anni all’Istituto di studi verdiani, un’antologia di alcuni saggi usciti dal 1960 ad oggi nelle proprie pubblicazioni, alcune delle quali ormai fuori commercio. Si tratta di una scelta di testi esemplari dovuti in gran parte a firme estranee al mondo della musicologia, come del resto fu l’ispirazione del fondatore e primo direttore dell’Istituto, Mario Medici, che volle inserire la figura di Verdi e la neonata istituzione in dialogo con i più disparati territori della cultura umanistica.
Il volume è stato presentato presso il Salone Maria Luigia della Biblioteca Palatina, lo stesso dove sessant’anni fa si tenne la riunione decisiva, con l’accordo tra le istituzioni dal Quirinale al Ministero della Pubblica Istruzione, da Casa Ricordi al Comune di Parma, per la fondazione dell’Istituto. E certo non è stato secondario, per i destini dell’Istituto, che nel consiglio d’amministrazione si sia da sempre seduta anche la famiglia Carrara Verdi, fondamentale per l’arricchimento degli studi verdiani.
“Nei suoi sessant’anni di vita- ha spiegato il presidente Luigi Ferrari- un Istituto come il nostro, grazie anzitutto alle fondative e fondamentali guide di Mario Medici e Pierluigi Petrobelli, ha prodotto ricerca a profusione: sono lì a testimoniarlo – a fianco di archivi, biblioteca, fonoteca, raccolte di documenti e tante altre iniziative – molte migliaia di pagine edite. Creare da tutto ciò un’antologia significativa ed efficace era dunque sfida ardua e coraggiosa, per chi all’inizio di questo 2019 ha avuto il merito di progettare Questione di anima: parlo di Maria Luigia Pagliani, che per dodici anni, fino allo scorso settembre, ha tutelato da eccellente Segretaria generale la vita della Fondazione, e del curatore Giuseppe Martini. Entrambi spalleggiati, sin dall’estate scorsa, dal nostro nuovo Direttore scientifico, il professor Alessandro Roccatagliati e, dov’è occorso, da alcuni gentili traduttori che si sono generosamente prestati. Una sfida che mi pare vinta in pieno, in virtù di una felice idea di base: dare spazio preponderante, per una volta, alle voci dei tanti pensatori e intellettuali che negli anni hanno accolto con gioia il dialogo e il confronto coi musicologi prettamente verdiani. Ne sono scaturiti stimoli spesso fruttuosissimi per tutti loro; e ancora oggi godibili da tutti noi, ovvero da ogni genere di appassionato, ancorché non ‘scientifico’ lettore. Cosicché questo nostro “libro del sessantesimo” s’apre sul futuro inneggiando, figuratamente, a un’apertura d’orizzonti intellettuali, disciplinari e partecipativi che negli anni a venire intendiamo non solo mantenere, ma sempre più rafforzare”.
“Un onore e una gioia per me, assumere la direzione dell’Istituto durante questo 2019 del suo sessantesimo compleanno, ritrovandomi subito a fiancheggiare il lavoro a questo bel progetto di libro! – ha detto il direttore scientifico Alessandro Roccatagliati – Tra le pagine di Questione di anima ho avuto infatti modo di tornare sulle idee tanto di colleghi scomparsi cui mi legano affettuosi ricordi, quanto di intellettuali che hanno fecondato in vario modo il lavoro mio e di molti altri. Con Pierluigi Petrobelli ebbi la fortuna, mentre donava trenta e più anni di cure all’espansione dell’Istituto, di discutere e impostare i miei primissimi scritti verdiani e poi di poterci tante e tante volte confrontare sul piano scientifico, a Parma e altrove. Di Marcello Conati potei invece essere a fianco nei suoi studi d’archivio, riflettendo su Rigoletto o quando sui primi computer si armeggiava ambedue a catalogare periodici o discoteche: bei ricordi… Né si può ancor oggi prescindere, per studiare i libretti verdiani, dagli studi di Francesco Flora e Mario Lavagetto che il curatore Martini ha inserito in questa antologia. E gli spunti venuti da figure come Riccardo Bacchelli, Isaiah Berlin o Saul Bellow aprirono prospettive assai fruttuose, nel guardare a Verdi un po’ più “da lontano”. Insomma: ecco qua qualche decennio di operosità del nostro Istituto. Un gran viatico per guardare con fiducia ai prossimi”.
I saggi di Bellow, Jürgensen, Leibowitz, Matz e Rutherford, tutti pubblicati a suo tempo in lingua originale, sono qui offerti per la prima volta in traduzione italiana. Il testo di Bellow, pronunciato nel IV Congresso internazionale di studi verdiani nel 1974, era fino ad oggi inedito in Italia.
“Da questa antologia- ha concluso il curatore Giuseppe Martini- emerge come l’Istituto di studi verdiani fin dai suoi primi momenti abbia voluto tenacemente far uscire la figura di Giuseppe Verdi dai confini della cultura musicale e teatrale, per inserirla a pieno titolo nella rete del sapere umanistico, coinvolgendo i più bei nomi del sapere dell’ultimo mezzo secolo, dal mondo letterario a quello figurativo, da quello antropologico a quello storico. È stato un mezzo efficacissimo per coniugare felicemente cultura alta e divulgazione, e dimostrare che l’opera di Verdi è davvero lo specchio della nostra identità”.
Il volume è realizzato grazie al contributo di Fondazione Cariparma e Rotary Club Parma.