Si è tenuta il 31 ottobre l’attesa conferenza dell’architetto e designer Michele De Lucchi nell’ambito della rassegna ‘Il Rumore del Lutto’ a cura di Maria Angela Gelati e Marco Pipitone che fino al 4 novembre porta in città eventi, incontri e riflessioni sul tema della morte e del tabù che la circonda.
Approfondimenti culturali di grande consapevolezza su un argomento evitato eppure inevitabile che non appartiene alla cultura contemporanea incentrata prevalentemente sulla prestanza fisica di un’apparenza che ostenti presenza piuttosto che sull’essenza della vita.
Morte come anti-vita e non come ciclo naturale che comprende ed esalta la vita stessa, morte che quindi sparisce dal racconto quotidiano collettivo quasi fosse una mera questione personale da non condividere e da consumare in solitudine.
In questo contesto l’architetto Michele De Lucchi ha parlato nel suo intervento al Palazzo del Governatore dal titolo ‘Il rumore del lutto è il rombo del futuro’ sottolineando il contrasto vitale tra morte e futuro, tra solitudini e condivisioni in una visione di società proiettata al domani e obbligatoriamente in connessione con la natura che ci appartiene e ci dirige.
La conferenza, promossa dall’Ordine degli Architetti di Parma, si inserisce in un programma di divulgazione, come la recente rassegna ‘Cinema in Abbazia’, volto a far conoscere l’architettura anche ai non addetti ai lavori per dimostrare che coinvolge tutti, la gente, il pianeta, la società, non è qualcosa di vincolato ai confini di una professione e figure come De Lucchi parlano di architettura ma anche di salvaguardia della vita di fronte all’estinzione della specie e di responsabilità coinvolgendo l’intera collettività.
“Davanti solo l’ignoto, non è certo rassicurante ma pensate che bello avere ancora l’ignoto davanti-dice l’architetto in apertura-Il rumore del lutto è il rombo del futuro e tutti siamo, chi in un modo chi nell’altro, chi tanto chi poco, impegnati a immaginare il futuro e soprattutto a costruirlo, perché la gratificazione più importante di un individuo risiede nel sapere di avere contribuito a rendere il futuro migliore”
“Noi ci preoccupiamo tanto della natura: diciamo che dobbiamo salvarla, integrarla nel nostro mondo, ma poi, lottiamo spasmodicamente contro la naturalizzazione. Le cose diventano vecchie, si sporcano, si ossidano con il sole, marciscono con la pioggia e facciamo di tutto perché non succeda. Come possiamo abbracciare la natura se rifiutiamo tutto questo? Se non accettiamo che dentro la vita è contenuta la morte?”
Diversi i campi nei quali Michele De Lucchi ha operato come ‘costruttore di futuro’ passando dallo studio Sottssass al design dell’Olivetti sempre con la stessa vocazione artistica tratta dall’esperienza dell’architettura radicale “che si sarebbe potuta chiamare anche architettura concettuale avendo perso il lato tecnico, burocratico e recuperato,invece, il lato umanistico e anche provocatorio” da lui stesso confermato in una recente intervista in cui dice anche che “gli architetti, più che progettare spazi, progettano modi di viverli. Tutto il mio percorso mi ha portato sempre più lontano dall’idea di fare architettura e design costruendo muri, tetti, uffici, residenze, musei, scuole, sedie, tavoli o lampade, ma sempre più vicino all’indagine antropologica.”
Indagine che ha portato De Lucchi al progetto delle Earth Station, luoghi di lavoro dove ci si incontra e ci si mette in connessione, ipotizzate anche in posti impervi: “stazioni, luoghi dove si va per partire, non sono destinazioni; ci si va perché con la mente, le emozioni e l’istinto si vuole andare avanti e dare un contributo all’evoluzione del mondo. Racchiudono in una idea architettonica il massimo di entusiasmo ed immaginazione per un futuro migliore”.
“Edifici di grandi dimensioni, costruiti da tante mani e destinati all’incontro e allo scambio culturale, pensati per favorire relazioni umane produttive.
Sono monumenti vivi, creati nel mondo per celebrare il significato di umanità e, come le cattedrali gotiche, sono luoghi dove l’umanità si riconosce, si manifesta e esprime il significato della propria esistenza.”
“Le Earth Stations sono arrivate all’inizio del 2018, come concetto e come progetto ampliando ed evolvendo l’esperienza dei Templi per la Natura a seguito anche della necessità di realizzare immagini visionarie con cui alimentare la statica fantasia dell’architettura. Il nome è stato costruito mettendo insieme un tipico luogo di destinazione dal quale partire. Nelle stazioni si va per partire e la destinazione più importante oggi è sicuramente il pianeta Terra, inteso sia come luogo di conoscenza che come bene da proteggere.”
“Il bisogno di ripensare il senso sociale degli edifici nasce anche da considerazioni molto attuali sull’evoluzione degli stili di vita a seguito dell’introduzione di tecnologie digitali, informatiche e dall’arrivo di piattaforme di intelligenza artificiale che, una volta capito come controllare e superata la paura, ci eviteranno tanto lavoro burocratico e ripetitivo e ci consegneranno molto tempo libero da dedicare ai rapporti umani, alla cura della persona, della mente e della creatività individuale”.
“Uomo, natura, società e relazioni al centro della produzione artistica di De Lucchi, quindi, danno una lettura ottimista del futuro mettendo l’individuo al centro: l’architetto pensa ad ambienti in cui la tecnologia non lo sovrasta, bensì sottolinea l’importanza del suo sapere per incapsularlo in strutture che ne alimentano il potenziale espressivo.“
Michele De Lucchi (Ferrara 1951) si è formato nel clima dell’architettura radicale fiorentina a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta. Stabilitosi in seguito a Milano ha aderito al gruppo Memphis fondato da Ettore Sottsass jr. e allo Studio Alchimia. Ha progettato oggetti celeberrimi come la lampada Tolomeo, ambienti di lavoro e corporate identity per Deutsche Bank, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Enel, Piaggio, Olivetti, Telecom Italia, Novartis, Intesa Sanpaolo, UniCredit. Ha realizzato progetti architettonici in Italia e all’estero, tra cui edifici residenziali, industriali, direzionali e culturali.
Ha curato allestimenti espositivi per musei come la Triennale di Milano, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, il Neues Museum di Berlino, Gallerie d’Italia Piazza Scala, il Castello Sforzesco e il Museo della Pietà Rondanini a Milano. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo 12 racconti con casette (2005) e Gli attributi dell’architetto (2014), entrambi per Corraini.