”Sedendo e mirando…infiniti spazi …e sovrumani silenzi” (L’infinto-Giacomo Leopardi)
Inaugura sabato 11 alle ore 18 alla Chaos Art Gallery di Vicolo al Leon d’oro 8 la mostra “Cieli quotidiani” di Paolo Basevi a cura di Manuela Bartolotti.
Le parole del mondo trovano traduzione nell’immensità che le sovrasta, mentre il tempo dell’oggi, del qui e ora trova risposta nell’eterno. Come scrive l’artista: “Ho raccolto quotidiani di lingue a me sconosciute e per ognuno di essi ho dipinto un cielo che li potesse leggere”. 30 opere per perdersi leopardianamente in “infiniti spazi”. Fino al 30 maggio.
I cieli non sono tutti uguali. Hanno espressioni, forme, evoluzioni, persino lingue diverse.
A volte si sciolgono in blu senza fine, altre volte in onde di nuvole, in giravolte di luci e rincorse di ombre, oppure sono sconvolti dal vento, confusi col mare, abbracciati alla terra.
I cieli raccolgono i drammi degli uomini, i fumi venefici delle guerre, turbini e tramonti incendiati di dolore oppure vaghe incertezze di nebbie, albe variegate di grazia, quiete di contemplazioni, poesia e pace nell’armonia della natura.
Paolo Basevi omaggia sempre il cielo nelle sue opere. Non è però come nel celebre romanzo “E le stelle stanno a guardare” di Cronin, dove dall’alto s’osserva impassibili l’umana miseria, ma piuttosto il cielo pascoliano piangente di stelle, quello che individua il misterioso legame tra alto e basso, il tacito, consolatorio accordo tra sopra e sotto.
Questa sensibilissima intuizione gli consente persino d’interpretare le notizie, le parole in lingue sconosciute rileggendole nelle evoluzioni del cielo e conseguentemente di tradurre il quotidiano attraverso l’eterno, il finito attraverso l’infinito.
Se infatti quanto sta sulla terra è fatto di cose, rese da lui con sovrapposizioni di materiali (carta, stoffa, ritagli di giornale, sabbia, vetro) oppure di riflessi, apparenze, vanità, tanto concrete quanto effimere nella loro temporaneità, quello che sta in cielo, pur parendo ben più evanescente, fuggevole, volubile, non ha in realtà mai fine.
C’è indubbiamente una forte componente romantica in Basevi, che ha rivisto la sua passione per le marine tempestose del fiammingo Pieter Mulier, portandola verso la tensione appassionata alla William Turner e alla Caspar Friedrich fino ad un abbandono “nell’immensità” di leopardiana memoria.
Ecco dunque un Romanticismo che guarda in avanti, Crepuscolarismo che cede al ricordo mentre, nelle opere più essenziali, più spinte all’informale, si va verso un ossimorico presente assente, pieno di vuoto e di sgomento, tale da ricordarci il desolato silenzio di certi paesaggi di Anselm Kiefer.
Tuttavia, la terra cede spazio al cielo e Basevi sfugge all’oppressione dell’hic et nunc con orizzonti bassi e cieli altissimi, sotto i quali, le cose, le opere, i giorni e soprattutto le parole, in tutte le lingue, galleggiano, sedimenti di quotidiana esistenza, stralci che trovano risposta, scampo e soluzione nel sopra infinito.
Il cielo è da sempre anche manifestazione di Dio. Ed è la lingua dell’eterno, dell’anima.
Quello che non possono le lettere, gli oggetti, le azioni, può l’arte, andando oltre la storia nei suoi orrori ed errori, oltre attimi relitti a inseguire sogni, a sfogliare i cieli. Quotidiani.