di Sara Valente
Sabato scorso 9 marzo al Teatro del Cerchio c’è stato l’ennesimo sold out della stagione, questa volta per lo spettacolo “La merda”, basato sul testo di Cristian Ceresoli ed interpretato da una bravissima Silvia Gallerano.
Una rappresentazione, un dialogo interiore più che altro, che ha fatto il giro del mondo in sette anni e che continua ancora a far pensare, ad impressionare e a lasciare un po’ di amaro in bocca perchè tutto quello che viene detto è tremendamente vero e reale.
La sua potenza si fonda sulla sua verità ed è impossibile non lasciarsi coinvolgere dalle parole della Gallerano che come un fiume in piena interpreta uno ad uno i vissuti del nostro tempo, i sentimenti della donna comune, costretta a portare il peso di una società che ama dirottare a suo piacimento le menti senza dare spazio all’unicità.
Sola, completamente nuda e sotto i riflettori, la protagonista parla alla sua identità distrutta e labile e si lascia andare in un impetuso flusso di coscienza facendo scorrere i pensieri e soffermandosi sul suo aspetto fisico, sulla sua condizione di “piccola con le cosce grosse” in un momento storico in cui conta solo rispecchiare fedelmente i modelli imposti dai media.
Riflette, convinta di aver fatto la cosa giusta, sugli estenuanti trattamenti con gli elettrodi fatti nel centro estetico di periferia o sulle diete ferree che la costringono a mangiarsi le unghie, ridotta come “il calamaro femmina che quando ha fame si mangia i tentacoli”, come le raccontava anche suo padre da piccola prima di suicidarsi e lasciarla sola.
Indotta a credere alle dicerie comuni sul sesso e sui portatori di handicap, ricorda il suo primo incontro ravvicinato con un compagno di classe con problemi fisici e, nel farlo, incarna perfettamente la forma mentis dominante in una società che ci vuole perfetti e omologati e che prova avversione e pena nei confronti del diverso, considerandolo non adatto a svolgere una vita normale.
Per quanto scorretta e dissacrante, non fa che esprimere con disinvoltura e quasi incoscienza il suo punto di vista sul compagno, discriminando, lei stessa, piccola ed umiliata, chi è ancora più fragile di lei.
Ciecamente convinta del fatto che per diventare una persona che conta sia necessario chinare la testa e che adattarsi al compromesso sia uno stile di vita, strizza l’occhio a chi riesce a raggiungere i suoi obiettivi e a salire in alto nella scala sociale, perchè quello che conta è “arrivare”, apparire in tv, sposare un uomo con un buon conto in banca, avere una parte in un film.
In tutto questo la “merda” a cui allude il titolo della rappresentazione e che la stessa Gallerano cita, non è che la “società”che ci circonda, una realtà che a centocinquant’ anni dall’unità d’Italia (più volte rievocata dalla protagonista facendo riferimento alle camicie rosse) non cambia e ci avvolge nel suo fetido involucro, fagocitando ogni cosa, identità di tutti comprese.
La protagonista tenta di liberarsi di tutta questa “merda” in un decisivo atto finale liberatorio, esasperata da riflessioni che la riducono quasi al delirio ma poi comincia a rimangiarla e rivomitarla in un climax ascendente di rabbia, arrivando infine alla conclusione che l’Italia e la società sono questo, è impossibile liberarsene, saremo condannati a vivere in una dimensione pessima senza via di fuga.
A monologo concluso si spengono le luci e l’attrice si ritrova coperta dal tricolore, dal simbolo di quella stessa Italia che la fa sentire sempre nuda, cioè indifesa.
A questo punto sorge spontanea la domanda: come mai uno spettacolo del genere continua ad avere successo nonostante siano passati molti anni dalla sua prima rappresentazione?
Non si tratta di un tema nuovo in fondo, sono temi già ampiamente trattati da anni e nei modi più disparati ma merita di essere visto perchè senza filtri ti scaraventa addosso con prepotenza la verità sul tempo in cui viviamo, riproduce fedelmente la realtà senza nemmeno troppo esasperarla ma semplicemente partendo dall’osservazione e dal racconto di essa come solo un bravo scrittore ed un’ attrice dalla forte carica espressiva riescono a fare.