Sabato 12 gennaio alle ore 17 inaugura alla Chaos Art Gallery di Vicolo Al Leon d’oro 8, la mostra di Paolo Manganelli “Mappa dei voli”,con opere prevalentemente ispirate alla poesia di Pier Luigi Bacchini. L’inaugurazione vedrà la partecipazione di Lenz Fondazione; l’attrice Sandra Soncini interpreterà teatralmente alcune liriche di Bacchini. Sarà un’immersione totale nella poesia tradotta in gesto oltre che nel colore e nelle astrazioni pittoriche fortemente evocative e sensoriali di Paolo Manganelli. A seguire degustazione proposta dallo chef Andrea Nizzi del Ristorante 12 Monaci in collaborazione con Delta del Vino.
Dal 12 al 24 gennaio 2019.
Orari: da martedì a sabato: 10-12,30/ 16-19
domenica: 16-19
lunedì chiuso
Una conflagrazione pittorica
Con Paolo Manganelli non si entra in una mostra, ma in un territorio interiore dove ragione, emozione, visione si connettono a formare un tessuto di geometrie di luce e colore, realtà oltre la realtà, quanto va oltre la fenomenologia delle cose, per farsi respiro dell’esistente, spazio che si schiude in una progressione infinita, in sfumature che rimandano l’una all’altra con casualità solo apparente, in realtà logica, determinata e naturalissima. Allora come si combina questa astrazione al sensismo e all’empirismo lirico di Pierluigi Bacchini? L’incontro è nell’eco tra i versi, nei riflessi tra piante e cielo, negli effetti di rifrazione che restituiscono percorsi inspiegabili ma seducenti, magici, grondanti vita. Sono respiri e canti, evoluzioni celesti che lui riformula e dimensiona in atmosfere prismatiche, in note cromatiche, parole reincise col pennello.
Sono il verbo celato del mondo, quello intuito dai Simbolisti, da Verlaine e Baudelaire, ma anche da Paul Serusier, Odilon Redon e in musica da Debussy. Da lì in poi le arti si sono fuse e confuse, fino all’astrazione, dove i versi esplodono in ritmi di forme geometriche e colori. Ed è un progressivo schiudersi, rigenerarsi, un loop vitale, dove nulla è distinguibile, ma tutto percepibile. Come scrive Umberto Eco in “La definizione dell’arte”: “L’ineffabile non appare nel tessuto dell’opera analizzata, ma l’opera analizzata ci fornisce l’intelaiatura di una macchina generatrice d’ineffabile”. Non si descrive più, si restituisce lo schema, la struttura del reale, la mappa per l’inesprimibile, la mappa dei voli.
Il suono si fa parola in Pierluigi Bacchini, il suono si fa pittura in Paolo Manganelli.
Ed è il suono della natura, sa di vento e di ali, di gorgheggi e richiami, dell’intimo invisibile crepitare di linfe e radici, fruscii, silenzi fradici d’attesa, note sospese tra terra e cielo, come le foglie, come la vita.
Allora la scienza si fa poesia e la poesia si dispiega nel canto e nel colore. Manganelli la traduce sulla tela, come fece Kandinskji con la musica di Schonberg o Constantinas Ciurlionis con le sue composizioni esoteriche, piene d’incanto.
Lui dichiara d’ispirarsi anche alla musica aleatoria (casuale come il lancio di dadi – da alea in latino che significa dado) e in particolare alle notazioni musicali di Cornelius Cardew che riprende sulle tele attraverso segni grafici, ma anche idealmente con l’aspirazione a riprodurre in pittura l’andamento d’ispirazione-improvvisazione imprevedibile di questa musica che tocca dimensioni sconosciute.
Così come in Bacchini (sorta di medium per questa scoperta dello spazio non più e non solo esteriore) la ricerca linguistica, l’elaborazione del verso, in Manganelli la sua astrazione “aleatoria” va all’essenza delle cose per farsi sensazione del molteplice, restituendo infine la percezione dell’arcano dell’esistenza.
Quasi inevitabile lo scorgere dinamiche futuriste nelle composizioni caleidoscopiche e articolate di linee che si slanciano danzando in multipli crescendo sonori di tinte. Ma non è la velocità, la modernità, la corsa, la macchina, la meccanica, la forza centrifuga di Sironi o di Delaunay. Piuttosto le linee di fuga si raccordano dentro, in un flusso entropico, s’incanalano nei percorsi insondabili della memoria e d’una memoria ancestrale; le note e i cromatismi, solo apparentemente casuali, sono propaggini sonore senza tempo, echi originari, così come le vibrazioni dei colori. E’ qualcosa di tanto concreto quanto impalpabile, tanto in trascorrere quanto quieto, senza sforzo come l’acqua del ruscello, lo stormire delle fronde, l’alternanza di sussurri e gridi. E si fa geometria quest’universo, propagarsi di onde musicali dipinte affioranti dalle suggestioni dei versi di Bacchini a loro volta scaturiti da un’osservazione attenta, quasi entomologica, dove l’empatia è proprio nel compenetrarsi di suono e colore, divenendo essenza intimissima delle cose: “un gracidio di luna,/ verde marcio” oppure “dopo la pioggia/ cielo a pezzi, vetri/ sul terrazzo, anche alberi/ come nero di blenda”.
Si tratta per entrambi di poesia e pittura non facili all’analisi, all’approccio razionale, ma semplice alla percezione finale se vi s’accosta ingenui, ricettivi, pronti allo stupore, come in una continua apparizione e rivelazione. Nel grande è il piccolo e nel piccolo il grande, intersecarsi di macrocosmo e microcosmo, di dentro e di fuori. Bisogna ascoltare per vedere questi voli (Mappe dei voli). E vedere per sentire questi canti (Canti territoriali). Come scrive il poeta: “Le parole del mondo: una conflagrazione pittorica”.