Sabato 8 dicembre alle ore 17.30 la Galleria S.Andrea avrà l’onore di ospitare circa 40 opere del pittore veneziano Gustavo Boldrini, deceduto a Salsomaggiore nel 1987. Provenienti dall’archivio privato fortemente voluto dalla moglie dell’artista, di cui oggi Roberto Ravanetti ne è l’ “erede spirituale”, attraverso questa esposizione vorrebbero tracciare una valorizzazione e storicizzazione dell’artista famoso nella seconda metà del Novecento, corteggiato dai collezionisti, generoso spirito libero e bohemien, lontano dagli interessi commerciali del mondo dell’arte e convinto assertore dell’arte per tutti. Un personaggio non comune, affascinante come la sua pittura.
Nato nel 1927 da una famiglia di umili origini ma sempre dedita alla passione per l’arte, il giovane Boldrini frequenta a Venezia prima l’Istituto d’arte e poi l’Accademia, dove troverà come insegnanti personalità del calibro di Felice Carena, Aldo Bergamini, Virgilio Guidi, Bruno Saetti. Sono di questi anni, cioè della fine degli anni ’40 e inizio anni ’50, le sue prime prove artistiche, perlopiù su carta e di matrice astrattista, memori anche del nascente espressionismo astratto e del gestualismo estremo dell’action painting, a cui affianca però anche uno studio sul ritratto e temi di matrice sociale.
La critica d’arte Maria Palladino nella prefazione del catalogo della mostra ne ha ricostruito storicamente il percorso dall’età giovanile alla maturità:
“Nel ‘55 è a Parigi, ospite, grazie ad una borsa di studio, del Governo Francese e dove aveva già esposto poco prima al IV Salon de Jeune Peinture presso la Galleria d’arte Moderna.
Dal ‘47 fino alla fine degli anni ‘50 compie numerosi viaggi in Germania, Svizzera, Olanda, Francia. Viene a contatto con i vari movimenti e personalità artistiche dei luoghi che frequenta: in Germania conosce il Blaue Reiter, la Brücke, l’espressionismo di Kokoschka. Viene a conoscenza delle opere di artisti quali Munch, Permecke, Ensor. In Olanda di van Gogh, in Francia dei Fauves, Utrillo, Soutine e Rouault. Continua sottilenando: “ il suo pregio più grande stia nell’aver saputo elaborare e mantenere vivo, fin dall’inizio, un suo personale e inconfondibile fare pittorico, che non lo abbandonerà più per tutta la vita, manifestazione di quella coerenza che egli stesso avrebbe definito quale suo programma stilistico e ideologico, una ricerca di originalità che testimonia del suo essere romantico, del suo carattere ribelle e generoso, non amante delle convenzioni, nemico di ogni servilismo e compromesso.
E’ per questo che da subito nella sua pittura possiamo individuare l’incisività del segno nero, spesso e deciso, talora più sottile e franto, ma comunque “cloison” indispensabile della sua urgenza creativa. E il colore che fortemente espressivo, naturalmente atmosferico, riempie le forme e definisce i volumi, gli spazi e le luci, pur nella misuratissima varietà tonale.
La bidimensionalità delle sue tele dimostra la grande maestria dei mezzi, esse riescono a riempire di sé i luoghi che le ospitano testimoniando del suo grandissimo senso del colore.
Il gesto si fa talora più contenuto, talora più irruento e spezzato, in una disgregazione che testimonia della sua profonda esperienza umana, del suo essere artista in tutto e per tutto, del suo fare della propria arte la vita, in una commistione estrema che porta alla dissoluzione e contemporaneamente alla piena realizzazione di sé.
Esistono temi e motivi ricorrenti in tutto l’arco della carriera di Boldrini, su cui egli tornerà più volte e che manifestano l’importanza della memoria per la sua pittura, la volontà di “ridurre la realtà in forme semplici”, realtà che egli trasfigura nel suo personale universo fiabesco, per cui il critico Rinaldo Burattin coniò la definizione di “concitato, urlante, orgiastico tumulto in chiave di fiaba”.
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