di Sara Valente
Venerdì scorso al Teatro del Cerchio è andata in scena una lettura alquanto originale delle tragedie di Verdi: con lo spettacolo “Trilogia verdiana (non la solita opera)” è avvenuto una specie di “miracolo”. Chi avrebbe mai detto che si potevano accostare opere come il Macbeth di Shakespeare alla musica anni 80? Il Trovatore di Gutiérrez alle musiche zigane e l’Attila di Werner ai manga giapponesi?
Ebbene, Mario Mascitelli, art director del Teatro del Cerchio, insieme alla voce di Gabriella Carrozza, al videomaker Giacomo Volpi e al Dj Marco Pipitone ci sono riusciti. Leggendo la presentazione non poteva che essere enorme la curiosità: siamo sempre stati abituati a vivere ed interpretare la tragedia come qualcosa di solenne ed“impegnativo”, nel senso positivo del termine.
Invece lo spettacolo ha trasmesso proprio l’idea dell’arte come dialogo perenne. La contaminazione su più livelli: immagine, suono e voce narrante portano ad un arricchimento e a nuove forme di trasposizione delle opere stesse, senza discostarsi troppo dalla loro forza primigenia.
Ad aprire lo spettacolo è stato il Macbeth, tradotto e letto in prosa ed accompagnato dalle musiche punk degli anni 80: al centro del palco, l’attenzione era rivolta sui due lettori che hanno interpretato a voci alterne i protagonisti con un linguaggio contemporaneo, rendendo l’opera fruibile in modo immediato. Sullo sfondo, in slow motion, con un ritmo volutamente più lento rispetto all’impeto incalzante delle battute dei due interpreti, sono state proiettate le immagini evocative di due giovanissimi ragazzi.
In particolare, uno dei due protagonisti del video, la ragazza, era ritratta mentre fumando era in preda ad una specie di delirio onirico, ricordando le stesse emozioni provate da Lady Macbeth dopo aver coadiuvato il suo consorte a compiere gli atti sanguinari che ne hanno causato la rovina. Il tutto intervallato con maestria da brani pop-punk che hanno smorzato i toni solenni della tragedia raccontata con le immagini e con le parole, conferendo alla storia una vivacità tutta nuova.
Subito dopo è stata la volta del Trovatore: qui la lettura si è arricchita per la presenza di excursus storici, liberamente inseriti da Mascitelli e non presenti nel testo originale, sulle origini degli zingari, popolo dalla storia millenaria e proveniente da realtà eterogenee come la Grecia, l’India e l’Egitto.
Nel secondo tempo si pone invece l’accento sulla storia di questo popolo, sulle cui origini hanno aleggiato le leggende più disparate. Sullo sfondo l’immagine di una donna e di un bambino che preparavano una pira, con riferimenti alle vicende inerenti ai protagonisti della storia, il Conte di Luna, Manrico, Leonora e Azucena, zingara della Biscaglia, e le musiche zigane con tutta la loro magia.
Dulcis in fundo, una divertentissima rivisitazione dell’Attila: a prestare la voce al re degli Unni e ai protagonistidella tragedia sono stati i personaggi dei manga e le colonne sonore dei relativi cartoni che hanno fatto la storia della tv, sia ascoltate che inserite e lette nella trama come se fossero state pronunciate dai protagonisti.
Chi meglio di Jeeg Robot o di altri super eroi dall’armatura d’acciaio potevano calarsi nella parte degli attori di una guerra dei mondi?E per non farsi mancare nulla, visto che si parlava di invasori e popoli occupati, anche una azzeccatissima “Bella ciao”.
Un esperimento interessante quello proposto al Teatro del Cerchio, che ha fatto riflettere e divertire nello stesso tempo, riuscendo a mettere in atto una contaminazione difficilissima ma narrata con fluidità sorprendente.