di Marco Rossi
“Mimmo è il punto di snodo tra la lunga e importante tradizione e il futuro dell’arte dei pupi che giorno per giorno costruisce con i suoi laboratori e porta in giro”, esordisce così l’assessore Michele Guerra durante l’inaugurazione della bottega del maestro Mimmo Cuticchio, domenica 18 marzo. Il celebre puparo siciliano è approdato a Parma per il progetto “The artist is present” che prevede, ogni anno per una settimana, la permanenza di un artista a lavorare in uno spazio pubblico, per poi donare alla città una sua creazione. In questo caso, Mimmo ha prodotto un pupo dalle fattezze di Ranuccio I Farnese. La nobile arte dei pupi, patrimonio dell’Unesco dal 2008, sembra forse troppo lontana e antica rispetto alle nostre abitudini culturali, ma questo non le impedisce certo di continuare a trasmettere emozioni e affascinare spettatori di tutte le età.
Secondo le testimonianze, si è diffusa in Italia durante la prima metà del XIX secolo. Attraverso marionette giganti, dal peso che varia dai quindici ai trentacinque chili e alti circa 1,30 cm, mosse grazie a sottili aste di metallo, sono spesso state narrate le vicende di Carlo Magno e dei suoi paladini, intenti a combattere i saraceni: uno scontro tra la cultura cristiana e quella islamica, tema più che mai attuale. Non è difficile, quindi, capire perché si sia radicata in Sicilia, essendo stata per occupata durante il IX secolo proprio dagli islamici. I protagonisti delle opere recitate, spesso improvvisate, sono i paladini, nobili per titolo ma anche d’animo, poiché non si battono mai per se stessi ma per difendere alti valori. Ranuccio, pur non essendo un paladino, ha il pieno diritto di diventare un pupo, avendo difeso il valore della cultura: ha trasformato, durante la sua vita, Parma in una splendida città, grazie alla creazione di opere immortali, come la cittadella, la Pilotta con il teatro Farnese e diversi edifici dell’università.
“Se c’è una cosa che mi ha colpito subito, la prima volta che ho incontrato Mimmo, – prosegue l’assessore, affascinato dagli spazi di via Melloni che hanno ospitato il celebre puparo – è come lavoro e la poesia che si trovano qui intorno, nei fondali, nei pupi e nel modo stesso di raccontare queste storie, siano la stessa cosa. Questa bottega prova a riprodurre quello splendido antro che c’è a Palermo in cui Mimmo non solo lavora ma soprattutto dialoga con le persone: questo credo sia il segreto”.
Mimmo Cuticchio, dal canto suo, non si fa certo attende a parlare.“Mamma è vera la nostra storia o l’abbiamo letta in qualche romanzo?” Subito catapulta il pubblico in un passato ricco di fascino e nostalgia, tra rappresentazioni fatte durante il dopoguerra, in una Sicilia rurale. “Io e mio fratello siamo nati e cresciuti dentro la casa teatro. I nostri genitori, dopo i bombardamenti del secondo dopoguerra, hanno messo i pupi sul carretto e sono emigrati per andare all’interno della Sicilia, che possedeva tutta una serie di caratteristiche da racconto: le donne vestite di nero, le strade piene di asini, muli, pecore, capre e galline, l’estratto, le mandorle, i fichi secchi e un grande silenzio. Nel ’69 ci siamo trasferiti a Palermo, ed è stato schioccante, nonostante fossimo adulti: passare da una vita all’altra è stato come viaggiare con una macchina del tempo”.
Entrare nella bottega di Mimmo, infatti, è come fare un viaggio nel tempo, poiché si ha la possibilità di poterlo osservare mentre pratica un mestiere nobile e antico. Le sue spiegazioni sono affascinanti e coinvolgenti, ma niente può essere paragonabile alla meraviglia suscitata dal vederlo all’opera. “Mio fratello ha trovato un legno stagionato, l’unico che non tarla, cioè il cipresso: è andato a cercarne uno vivo”. Da questo legno si ricava poi il busto di Ranuccio, al quale sono uniti gli arti tramite anelli di ferro. Per quanto riguarda l’armatura, non si tratta di pezzi singoli, ma di tuta una serie di parti saldate assieme. Basta solo contare quelle dell’elmo per averne un’idea: sottogola, due visiere che si uniscono, parti della nuca che poi sono saldate e il cimiero per la piuma, per elencarne alcuni. Queste sono prima sagomate con uno strumento chiamato pinna di martello, che sembra uscire direttamente dal secolo scorso, che però Mimmo non rinuncia a usare. “Anche se noi abbiamo mezzi più moderni, preferiamo farlo all’antica. I nostri allievi non devono imparare che si puoi fare tutto facilmente”. Il materiale dell’armatura è alpacca, un metallo bianco ricco di stagno e zinco, utilizzato solitamente per quelle dei paladini, al quale mimmo aggiunge delle parti di rame, per richiamare al rosso del ritratto di Ranuccio realizzato da Cesare Aretusi. Le armature dei saraceni, invece, sono realizzate in ottone, per richiamare al sole dell’oriente, usato in quelle dei pupi più antichi. Nonostante tutto, però le armature di tutti i pupi hanno dovuto sempre essere lucide per ragioni precise. “Prima pupi, entrando in scena, brillavano grazie anche alla particolare luce delle candele e poi bisogna ricordarsi che erano attori, dovevano essere puliti e lucido, non potevano entrare in scena sporchi. Oggi ai turisti piacciono le armature che sembrano antiche, prima non esisteva questo tipo di gusto”. I pupi, infatti, sembrano quasi attori in carne ed ossa, grazie all’abilità timbrica dei pupari nel dal loro voce, ai trucchi, che portano anche il sangue sulla scena, e ai raffinati costumi, sia per paladini che per i saraceni.
“Per insegnare ai giovani questo mestiere dobbiamo prima non dimenticarlo noi, per questo continuiamo a lavorare all’antica. Tutti oggi vogliono sbrigarsi, ma i risultati poi sembrano fatti con lo stampino. I mestieri si devono difendere. Detto questo, vorrei cominciare lavorare”. Parole migliori non potevano essere usate per esprimere la passione e la dedizione che Mimmo Cuticchio continua a mettere nella sua arte.