di Marco Rossi
“La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito”
(American Tabloid – James Ellroy)
Nell’epoca delle fake news, dove il presente è spesso manipolato e distorto, non stupisce che anche la storia sia l’oggetto d’invenzioni. Se è vero, come ha affermato Borges, che esistono soltanto punti di vista, è altrettanto vero, come per lo storico Momigliano, che la verità non s’inventa.
In virtù di questo principio, Alberto Grandi, storico e ricercatore presso l’Università di Parma, ha voluto scrivere il saggio Denominazione di origine inventata, presentato a Parma il 10 febbraio presso la libreria Mondadori di Piazza Ghiaia. Il libro cerca di smontare le molte storie, spesso creazioni di marketing, dei vari prodotti enogastronomici italiani, attraverso aneddoti e curiosità, con il duplice intento di far capire che legare troppo un prodotto a un territorio circoscritto e a una relativa tradizione possa essere a volte controproducente. Un libro, come afferma il giornalista Raffaele Castagno di Repubblica Parma, che ha dialogato col docente durante la presentazione, coraggioso e in controtendenza.
“Mantova e Ferrara litigano da tanto tempo per i tortelli di zucca – racconta Alberto Grandi -. Il personaggio principale intorno a questa disputa è Isabella D’Este, la quale nasce a Ferrara e muore a Mantova: quando è vissuta, però, la zucca non c’era in Europa”. Questo semplice esempio, che dimostra come spesso le tradizioni non abbiano basi storiche, serve a Grandi anche per sottolineare come sia difficile collegare un piatto o un prodotto a un’area specifica. “Molte ricette gastronomiche, per loro natura, derivano da una tradizione orale, quindi come si fa a definirne il confine? Legare un prodotto e una ricetta a un disciplinare è una forzatura inaccettabile”.
Tra i vari prodotti difficilmente circoscrivibili a un territorio, con una vicenda non proprio conosciuta, vi è anche il Parmigiano, la cui vicenda può essere riassunta col titolo del capitolo a lui dedicato: il vero Parmigiano Reggiano si fa nel Wisconsin. “La storia di questo formaggio è effettivamente millenaria, ne parla già Boccaccio nel Decameron. Il parmigiano che si produce oggi nel Wisconsin, che si chiama Parmesan, non è frutto di un’imitazione, l’hanno iniziato a fare gli immigrati italiani con la stessa ricetta della madrepatria. Nel secondo dopoguerra, tuttavia, il formaggio italiano si evoluto ed è diventato molto più buono, mentre il Parmesan è rimasto immutato. Per avvicinarsi ai gusti e ai consumi dei nostri nonni, sarebbe più opportuno, però, consumare il Parmesan e non il Parmigiano”.
Un caso dove l’eccesivo legame col territorio porta addirittura a danneggiare il prodotto è forse quello della Focaccia di Recco. “Il Consorzio di Recco e le istituzioni locali hanno legato la denominazione della focaccia a un disciplinare che impone non solo l’area di produzione ma anche quella di vendita, per costringere l’eventuale turista a recarsi proprio a Recco per consumarla. Pochi mesi dopo, però, il Consorzio è andato alla fiera dell’artigianato di Rho, producendo e vendendo la focaccia per pubblicizzarla: i carabinieri li hanno bloccati, sostenendo che, secondo il disciplinare che loro stessi avevano scritto, non potessero farlo, venendo anche denunciati per frode di commercio. In seguito, è stata tolta la dicitura Recco dalle confezioni per meglio venderla”. Anche per la focaccia, ovviamente, vi è una presunta tradizione antica, che indirettamente avrà stimolato queste procedure per tutelarla. “Hanno trovato a Recco un documento medioevale che afferma che i crociati, imbarcandosi da Genova, hanno preso del pane: questa sarebbe la dimostrazione che era presente la focaccia. Evidentemente non c’era il pane in Europa”.
“Quello che voglio dire, usando una metafora, è che Babbo Natale potrà non esistere, ma ciò non toglie che il 25 dicembre i regali arrivino lo stesso. Siamo sommersi da storie inventate, ma questo non vuol dire che i prodotti non siano buoni”.
Su questo non si può che essere d’accordo.