di Marco Rossi
Il premio nobel argentino Daniel Mantovani ha dichiarato che “la realtà non esiste, non ci sono parti ci sono interpretazioni. La realtà, o ciò che noi definiamo verità, è un’interpretazione che ha prevalso su tutte le altre”, sottolineando così come le costruzioni letterarie non siano così divergenti dal racconto della quotidianità compiuto dai media ogni giorno. Questo non solo dà estrema dignità alla finzione letteraria, ma la rende altrettanto degna di essere uno strumento perfetto per la decodificazione della realtà stessa. Dello stesso pensiero del maestro Mantovani, autore reso celebre soprattutto da Il gigante di sabbia, è sicuramente Omar Di Monopoli, il quale, alla stessa maniera di Mantovani, presentando il suo ultimo lavoro Nella perfida terra di Dio presso la enolibreria Chourmo venerdì 15 dicembre, ha sottolineato come attraverso i suoi romanzi cerchi di comporre un quadro a tinte noir della realtà torbida e piena di sfaccettature della sua Puglia, utilizzando le tonalità di un linguaggio innovativo, con una struttura degna di un western di Leone. Con l’estrema padronanza che l’ha contraddistinta nei precedenti incontri della rassegna, Silvia Pellizzari, collaboratrice della rivista Finzione Magazine, ha presentato e dialogato con Omar cercando di introdurre il pubblico nel suo meraviglioso mondo, immergendolo grazie alla passionale lettura di Serena Varrucciu.
“Sono circa dieci anni che faccio, attraverso i miei romanzi, una rivisitazione della mia terra, la Puglia, che passa per essere bonificata dai mali che attanagliano il Sud, proposta dai media per l’incanto e la magia dell’estate – racconta Omar – Io descrivo la polvere sotto il tappeto: i lacerti della sacra corona unita, i drammi del più grande impianto siderurgico, l’Ilva, che avvelena i destini dei personaggi che sono un po’ la metafora di chi vive la Puglia tutto l’anno. C’è poi naturalmente la volontà e la sfida di rendere questa mia terra come il simbolo di una periferia più generale, parlando di ultimi.” Ma non siamo di fronte alla versione pugliese di Roberto Saviano, non essendoci una volontà prettamente documentaristica nella sua scrittura, ma, al contrario, una volontà compositiva e costruttiva che prende spunto direttamente dal suo tentativo iniziale di emulare Andrea Pazienza e spazia dalla pittura al cinema.
“Non appartengo a quella schiera di scrittori che Francesco Pacifico una volta definì scrittori psichici, che fanno entrare nell’animo dei personaggi, dato che i miei urlano, bestemmiano, sparano, scopano, piangono, fanno delle cose, e questo è un processo eminentemente cinematografico, lasciando al lettore la responsabilità di dare un giudizio morale su quanto accaduto. Allo stesso tempo è un procedimento molto pittorico perché descrivo tutto minuziosamente attraverso questa lingua particolare, che è barocca, espressionista e anche iperbolica. Come un fumettista, cerco di calcare i neri e i bianchi, con la differenza che, nei miei romanzi, prevalgono i neri”.
I grandi artisti che hanno influenzato Omar sono molteplici: dal già citato Sergio Leone a Sam Peckinpah, per quanto riguarda l’impostazione visiva, anche se alcuni vi hanno visto anche Quentin Tarantino o Martin Scorsese. Dal punto di vista linguistico, invece, il più grosso debito lo ha nei confronti delle sperimentalismo linguistico di William Faulkner, mediato, però, dalle traduzioni di Pavese. La lingua impiegata nel romanzo, in particolare, è costruita su una commistione di dialetto e italiano arcaico, rendendola così di difficile comprensione, ma senza essere necessariamente un limite, poiché il lettore, prendendo il ritmo del racconto, riesce a capirne il senso e anche ad essere così catapultato dentro a questo mondo. “Un libro deve stupire e cosa c’è di più bello che trovare una lingua finalmente nuova dopo che tutto è stato detto? Questo è un procedimento artistico, infatti l’intenzione è di fare di questi volumi delle opere d’arte”.
Se la realtà è solo interpretazione, come sostiene Mantovani, queste meravigliose costruzioni di Omar possono veramente lasciare qualcosa sulla Puglia, al di là delle stimolazione artistico – visive? Non si rischia forse di entrare in un mondo meravigliosamente cupo ma di confondere realtà e finzione e discapito della realtà, almeno per chi non ne è in diretto contatto? O forse invece sono proprio le particolarità artistiche modellate da Omar, dalle immagini al linguaggio, ad essere un veicolo perfetto per far conoscere una realtà spesso dimenticata. Dopotutto, anche Daniel Mantovani non esiste, se non nel film Il cittadino illustre, ma le sue parole non hanno di certo meno valore, veicolando un’importante messaggio, nello stesso modo di Nella perfida terra di Dio.