di Marco Rossi
“Per me un intellettuale dovrebbe saper prendere la complessità del mondo per darla alla massa e sono contenta quando scrive un libro complesso ma accessibile a tutti”. Queste sono le parole di Silvia Pelizzari, collaboratrice presso la rivista online Finzioni Magazine, che ha dialogato con quelli che potrebbero essere, appunto, due promettenti intellettuali dei prossimi anni. Durante il mese di ottobre, infatti, si sono svolti i primi incontri della rassegna Giovedì D’autore presso la enolibreria Chourmo. Si sono presentati, rispettivamente, due giovani autori, Francesco D’Isa, classe 1980 e Francesca Manfredi, classe 1988. Come tutti i giovani sono dotati di una buona dose di coraggio e intraprendenza, necessarie per provare a farsi strada nel duro campo della letteratura, avendo entrambi deciso di portare avanti forme letterarie inconsuete. La particolarità dei loro libri, infatti, è quella di adattarsi perfettamente, in maniere diverse, alla nostra contemporaneità, utilizzando forme e linguaggi più accessibili e pratici per una generazione assuefatta dalla contaminazione di linguaggi e dalla velocità. A far entrare il pubblico nell’atmosfera dei romanzi ci ha pensato Serena Varrucciu, leggendo con enfasi alcuni brani dai loro libri.
”Ho contemplato il panorama di questa stanza fino allo sfinimento e ho ripetutamente imposto posizioni, ruoli e confini agli oggetti che mi circondano. I libri, soprattutto. Ne ho acquistati a sufficienza da creare tre ziggurat sulla scrivania (li impilo dal più grande al più piccolo) e due sui comodini, mentre il rimanente dorme nei cassetti”
Tratto da La Stanza di Therese
Francesco D’Isa è uno scrittore ed illustratore, direttore editoriale della rivista Indiscreto. Il romanzo La Stanza di Therese, che ha presentato il 5 ottobre, è stampato da Tunué, che nasce come casa editrice di graphic novel, ma che, da qualche anno, ha iniziato a pubblicare una collana di romanzi. “Il romanzo di Francesco è molto particolare – ha affermato la Pelizzari – perché unisce una serie di linguaggi in un momento storico editoriale in cui non è facile trovare diverse commistioni di narrazione. Il libro può essere tante cose: è un romanzo epistolare, filosofico ed è quello che dovrebbe fare la letteratura dal mio punto di vista, un romanzo che non dà risposte ma genera molte domande”.
Una ragazza di nome Therese, dopo un incidente, si chiude in un una stanza per occuparsi di una sua grande ossessione: riflettere su questioni metafisiche. Nel farlo, scrive lettere alla sorella, alla quale confida il suo grande segreto. La sorella, invece di risponderle, le rispedisce le lettere ricevute con delle note a margine. Tutto il libro, infatti, è cosparso di commenti scritti a mano e anche dalle illustrazioni fatte dallo stesso autore.
“La mia formazione è stata quella di artista illustratore e in parte di scrittore, quindi, come succede a tutti, si cerca di mescolare le cose che si sanno fare meglio e trovare una via di mezzo – spiega Francesco durante la serata-. La commistione di linguaggi, in questo caso visivo e testuale, ma anche di rimandi calligrafici su un testo stampato, è un modo per forzare il limite del linguaggio”. La protagonista, infatti, si trova in difficoltà per cercare di spiegare a parole i suoi ragionamenti filosofici, per questo utilizza anche il disegno. “Quando un linguaggio non funziona più se ne utilizza un altro e quando non funziona si ritorna al precedente, creando un circolo virtuoso o vizioso”.
Il mix si inserisce bene nella collana che tendenzialmente sperimenta molto ed è un testo molto leggibile da un contemporaneo, dato che tutti, oggi, siamo abituati a una fruizione del testo che ha al suo interno video e immagini. “Siamo già abituati a mescolare le cose, che non ci si accorge nemmeno. Come anche io. Culturalmente si è creata una forma mentis adatta al mescolamento. La forma del romanzo ha dei limiti adesso, perché è aggredito da nuovi format, per questo investirei più sui mix. Questa forma di ibridazione è proficua e interessante”.
“Tornammo indietro, le ombre sempre più lunghe e la luce bassa e scura, che rendeva più difficile proseguire a ogni passo. Ma trovammo l’auto e la raggiungemmo, accelerando man mano che si faceva più vicina, senza dire una parola. Solo quando fummo sul punto di salire, mio padre disse: “Puoi sederti davanti, se vuoi” e io più che sulle parole mi concentrai sulla sua voce, che sembrava vecchia di secoli, come una registrazione consumata, come se non la sentissi da una vita. Salii davanti, al posto del passeggero, e solo dopo un po’, quando la campagna era già alle spalle e la nostra casa vicina, mi resi conto che era il momento che avevo aspettato da tanto, e ora mi ci trovavano nel mezzo, e non riuscivo a pensare a nulla tranne che avrei voluto essere a casa al più presto.”
Tratto da Un buon posto dove stare
Francesca Manfredi, originaria di Reggio Emilia, ha pubblicato alcuni racconti sulla rivista “Linus” ed è tra gli autori di “6Bianca”, serie teatrale in sei episodi ideata da Stephen Amidon e realizzata dal Teatro Stabile di Torino nel 2015. Nel 2017 ha vinto il Premio Campiello Opera Prima con una raccolta di racconti Un buon posto dove stare, presentato il 26 ottobre ed edito da La nave di Teseo. La cosa è stupefacente, considerando che in Italia le raccolte di racconti sono molto difficili da pubblicare. “Credo si sia instaurato un circolo vizioso – spiega Francesca -. Le case editrici non pubblicano raccolte di racconti, gli autori ne scrivono pochi e quando lo fanno gli viene chiesto di aspettare e scrivere un romanzo. Il lettore, così, si disabitua a questa forma”.
Francesca racconta i protagonisti di undici storie, avvolti nella normalità delle loro vita, ma sempre colti nel momento in cui guardano alle loro fragilità e inquietudini da una soglia da cui non è necessario fuggire, che è invece un buon posto dove stare. “Non tutti trovano un buon posto dove stare o si adattano, magari si capisce qual è quando ce ne allontaniamo. Probabilmente un buon posto dove stare è quello che già si conosce”.
“Questa raccolta è nata perché è la mia forma preferita, poiché, da lettrice, preferisco i racconti, fin da piccola. Ho iniziato con quelli per ragazzi, poi con horror e in seguito sono arrivata a conoscere la letteratura americana, come Carver, Cheever e Hemingway. Proprio dalla loro lettura ho deciso di provare a fare qualcosa di mio. E’ stato qualcosa di estremamente naturale. Molte persone mi hanno sconsigliato di andare avanti perché non è una forma molto fortunata in Italia, però ho proseguito e per fortuna è stata riconosciuta, prima dalla casa editrice, poi dal Campiello”.
Come per il mix di linguaggio di Francesco D’Ivo, il racconto è una forma che si coniuga con la velocità e modernità dei nostri tempi, grazie alla sua brevità e comodità di lettura, potendoli trovare anche gratuitamente sulle riviste online. Tutto questo non li rende però meno complessi. “Il lettore è chiamato in causa molto di più che nel romanzo. Il racconto è fatto di vuoti, di non detti, di spazi da riempiere ed è il lettore a doverli riempire con la sua memoria e il suo vissuto. Ci sono tanti racconti che vengono letti in modo diverso in base a chi li recepisce. Anche io, rileggendoli a distanza di anni, ne do un’interpretazione diversa. Un buon racconto dovrebbe avere un tempo quasi pari a romanzo: la lettura si conclude prima ma poi dovrebbe perdurare nel tempo”.
Se le loro scelte sono destinate ad essere emulate ancora non si sa. Ma forse, come spesso accade con gli intellettuali, questi due ragazzi potrebbero aver veramente capito e anticipato il loro tempo. Ascoltandoli e leggendoli, dunque, si potrebbe avere uno scorcio del panorama letterario dei prossimi anni.