Per decenni, molti italiani hanno creduto al mito di essere “brava gente”, di avere sì alle spalle un passato coloniale ma buono, umano, lontano dalle crudeltà delle grandi potenze europee. Hanno creduto che, in Africa, i nostri antenati avessere portato strade e civiltà in terre dominate dalla “barbarie negra”. E così facendo hanno ignorato le stragi, i massacri di massa, la sopraffazione economica e culturale con cui essi soggiogarono invece popoli liberi.
Questa grande rimozione è stata possibile grazie a un racconto complesso e articolato che, negli anni, ha trasformato un’invasione in un’azione umanitaria. Un racconto fatto di epopee, monumenti, lapidi, cerimonie, martiri, commemorazioni. Un racconto che in ogni città o piccolo paese d’Italia ha preso forma, ad esempio, nelle stele a ricordo dei caduti nelle guerre d’Africa.
Anche a Parma questo racconto ha avuto un suo spazio e un suo seguito, con pubblicazioni esaltanti i martiri di Adua o Dogali, lapidi e monumenti come quello a Vittorio Bottego.
Con questa visita guidata, in questi mesi difficili in cui sempre più si parla di invasioni, il Centro studi movimenti vuole raccontare non solo di quando gli invasori ‒ in quel caso reali ‒ erano i nostri avi, ma anche come può essere facile dimenticare, o rimuovere, responsabilità tutte italiane che hanno ancora molto a che fare con i drammi del nostro tempo.