di Francesca Devincenzi
Se fosse nato in un’altra epoca, o avesse fatto uno sport meno nazional e più popolare, o fosse stato un idolo del Dallara, Guccini e De Gregori gli avrebbero dedicato una canzone. Se avesse vissuto abbastanza a lungo, De Andrè ne avrebbe fatto il Re Nudo di uno dei propri capolavori. Sicuramente, della “Vita Spericolata” di Vasco lui ne ha fatto un modello.
Cassano non sarebbe Cassano se non ci fossero le sue cassanate. Il neologismo, coniato da Fabio Capello quando lo allenava a Roma, e certificato dalla Treccani, contiene una sfilza di colpi di testa, scherzi, cavolate più o meno gravi, fesserie e gestacci che hanno reso FantAntonio un esempio da…non seguire.
Se non ci fossero state le cassanate, avrebbe vinto, probabilmente, almeno almeno tutto. Dal Pallone d’Oro al Mondiale, passando per ogni altro trofeo, perchè pennella il pallone come pochi e manda poesie a Eupalla degne di un Nobel.
Cassano è Cassano: impossibile in campo, geniale, sregolato, follemente bravo, quanto ingestibile fuori. L’ultima follia, Verona. Grazie a Dio, non Parma, dove voleva tornare, ma nessuno ha osato avvicinarlo tra i veti di Capitan Lucarelli e quelli dei tifosi.
Verona, dicevamo. “Ho stimoli sto benissimo. Sono in formissima. Smetto. Anzi no. Anzi si, ma col Verona, non col calcio. No con tutto”.
Il ritiro annunciato e sconfessato. “Sarebbe stata una cazzata”. Ma alla fine la cazzata l’ha fatta. Addio al calcio. Chissà per quanto, chissà se è l’ultima cassanata di una lunga trafila.
La prima, a Bari- Nella sua città debutta, ancora minorenne, l’11 dicembre 1999 (è del luglio 1982) in una gara pazzesca contro l’Inter al San Nicola. Ma con la gloria arrivano le grane, pizzicato dalla polizia prima a guidare senza patente poi in motorino senza casco.
La fuga dal ritiro – Nel marzo 2001, impegnato con l’Under 21 di Claudio Gentile viene lasciato in panchina per la gara contro la Romania. Contrariato, fugge dal ritiro.
Le corna a Rosetti – Nel 2001 Cassano sceglie la Roma, ambito da mezza Europa. Finisce sotto l’egida di Francesco Totti, ma a Madrid, in trasferta di Champions fa imbestialire Capello, portandosi a cena un cellulare nonostante il divieto del tecnico. A Udine insulta l’arbitro Pieri, venti giorni dopo, tocca a Meier, poi le corna a Rosetti che lo aveva appena espulso nella finale di ritorno di Coppa Italia, a San Siro.
Ed ecco gli insulti al presidente Franco Sensi, e quando Bruno Conti gli intimò di chiedere scusa, lui rispose che lo avrebbe fatto soltanto se glielo avesse chiesto in ginocchio. Totti fu informato dell’accaduto, e tra i due qualcosa si spezzò. E allora via al Real, senza un saluto, senza un congedo
L’imitazione di Fabio Capello – Al Real Madrid ritrova Capello, ma quando viene beccato dalle telecamere mentre gli fa l’imitazione, tra le risate dei compagni, don Fabio non la prende bene. Cassano finisce in panchina, ingrassa, diventa El Gordito (il cicciottello).
Sampdoria – Nel 2010, porta la Samp in Champions, ma rompe con il presidente Garrone che voleva portarlo a ritirare un premio, ma Cassano non ne aveva voglia. Con tanto di insulti davanti a compagni e tifosi.
Poi Parma, l’occasione, le giocate, i sogni, la fuga ai primi scricchioli. Verona, l’ultimo treno. L’ennesimo binario da cui uscire. Questa volta, senza ritorno. Almeno, sembra. Ci mancheranno i suoi piedi, i colpi di tacco e quelli di genio. Meno, quelli di testa, diciamocelo.