di Francesco Gallina
Patrizia contempla le sue scarpe tacco 12, di camoscio morbidissimo. Roberto, il marito, ha esaudito la sua richiesta e gliele ha portate, anche se sa che Patrizia non potrà indossarle, ancora per molto tempo. Eppure per la moglie, quelle scarpe sono il correlativo oggettivo di una carriera lavorativa bruscamente interrotta da un tumore che l’ha ridotta fra le mura di un ospedale, dove a farla da padroni sono sapori di pastina in brodo, disinfettante e solitudine. Un calvario come tanti ne avvengono, lontano dai riflettori, ma che Patrizia Vallavanti, docente e agente di viaggi piacentina, ha raccontato nel romanzo autobiografico Anche agli angeli ricrescono le ali (Youcanprint, 2017).
Una narrazione che si mantiene a debita distanza dalle trappole del facile patetismo, evitando curiosità morbose e forme di autocompatimento. Ne emerge uno spaccato di vita autentico, doloroso senz’altro, ma diretto al lettore con sguardo trasparente e senza fronzoli retorici. Una storia di vita vissuta, in cui l’autrice, con disarmante sincerità,dona al lettore la propria esperienza di donna a cui una necrosi ischemica porta via la sua normale quotidianità e la sua femminilità: niente collant, niente abiti seducenti, niente lingerie, ma pesanti calze antitrombo. «Antitrombo (in tutti i sensi)», scrive Patrizia, regalandoci, nel cuore del dramma, sprazzi di ironia; ironia che non funge da artificio libresco, ma da arma buona con cui vincere il male, insieme a una grande dose di umanità.
A 48 anni, Patrizia si trova costretta a trascorrere diversi mesi in ospedale. Non un ospedale normale, ma un’eccellenza medica a livello nazionale ed europeo: il Centro di recupero e rieducazione “Giuseppe Verdi” di Villanova sull’Arda, microcosmo popolato da vite spezzate che, giorno dopo giorno, cercano a fatica, ma con coraggio, di riassemblare i cocci di un passato dal quale non si può prescindere. Ecco allora l’incontro con Davide, le cui braccia sono state lesionate da un incidente stradale, incidente che ha paralizzato anche Gabriele. E poi Cesare, Rosario, Davide soprannominato “Il conte” e Federica, colpita da un’ischemia midollare fulminante quasi impossibile da recuperare, che ha ripreso a camminare grazie alla competenza e alla cura del personale ospedaliero, fatto di professionisti, ma prima di tutto di persone che svolgono il loro lavoro con passione e dignità, come la fisioterapista Gabriella, la Dott.ssa Orsi, la Dott.ssa Di Lollo e l’infermiera Sabrina.
Un reparto che accudisce il paziente portandolo per mano e che Patrizia, quasi, non vorrebbe abbandonare, quando giunge per lei l’agognato giorno delle dimissioni, lasciandosi alle spalle i bei momenti passati insieme ai compagni di malattia, fra spaghettate offerte dal marito ai pazienti, le brioches del fratello Davide e le partite notturne a carte.
Questa struttura, che ha rappresentato una seconda madre per Patrizia e per tanti pazienti prima e dopo di lei, rischia di chiudere per ragioni politiche. L’ospedale voluto dal Cigno di Busseto ha, molto probabilmente, le ore contate. E sarebbe un grave peccato, perché il nostro territorio perderebbe una casa in cui, ancora oggi, si tenta di aggiustare le ali agli angeli caduti. «Salgo in macchina e penso che anche agli angeli ricrescono le ali. Ad alcuni ricrescono grandi e belle e volano via, ad altri ricrescono piccole, perché possano restare ancorati a terra, ad insegnare agli altri a volare».
E brava Patrizia Vallovanti, una storia che nonostante tutto profuma di azzurro come i suoi occhi … cangianti a volte li ho percepiti verdi. Vola alta tu puoi le esperienze di vita anche quelle ai limiti del pensabili se superate a volte sono un trampolino per migliorarsi. Auguri, sei una bella persona e anche scrittrice, sì scrittrice e non aggiungo brava nella parola scrittrice è gia incluso il brava, poi alcuni ne abusano ma vengono facilmente smascherati.