di Arianna Belloli
Curiosità, gusti, sapori e usanze della cucina degli antichi romani. Anche Parma ne ha subito l’influsso e gli antichi segni del loro passaggio sono ancora osservabili grazie alla mostra “Archeologia e alimentazione nell’eredità di Parma romana” presso la Galleria San Ludovico dal 2 giugno al 16 luglio e dal 9 settembre al 22 ottobre.
Ad accompagnarci alla riscoperta di antichi menù è Francesco Gallina, docente e critico letterario, in occasione del primo di quattro incontri collaterali alla mostra e aperti a tutta la cittadinanza.
Ed ecco che attraverso Apicio, nobile romano dal palato sopraffino vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C, autore di uno dei più completi manoscritti di cucina antica, scopriamo numerose curiosità e antichissime tradizioni. Col De re coquinaria, Apicio riporta accurate ricette, che a leggerle ora sembrano un po’ visionarie e un po’ fatture di antichi stregoni, ma, invece, cibi prelibati che soddisfacevano gli ingordi palati dei nobili e delle loro matrone.
A insaporire le pietanze c’è quasi sempre il garum, la salsa romana per eccellenza. Una sorta di colatura di interiora di pesci lasciata fermentare per mesi, poi filtrata per estrarne il liquido. Il garum più prelibato, classificato come garumflosfloris, era commercializzato in anforette, mentre la feccia che restava sul fondo fungeva da pasto per gli schiavi.
Insieme al garum, molto usati erano anche i sali aromatizzati alle erbe e spezie, che favorivano il palato e avevano anche proprietà farmaceutiche, come il nardo di origini orientali, l’aneto, lo zafferano e l’ammonio (quando il peperoncino non era ancora stato importato). Quasi tutti i preparati avevano anche una attenzione per ciò che era propedeutico alla salute.
I romani erano anche risaputi amanti del vino. Numerose sono le ricette di questo liquido color rubino impreziosito dagli aromi come rose e viole, ma anche zafferano, pepe, mastice o polvere di noci di dattero. Polvere usata per le sue proprietà medicamentose, sia per la gola che come collirio per gli occhi. A purificare la miscela, poi, i carboni ardenti che cancellavano gli sgradevoli odori conservando le proprietà nutritive delle spezie.
Tipico degli antichi romani era anche usare piccoli trucchetti e “inganni” per mascherare il sapore e la forma degli ingredienti, come nella ricetta del “finto pesce” fatto di carne di uccellagione e selvaggina, o la “torta di acciughe senza acciughe”: frattaglie di pesci unite a ruta, uova e ortiche di mare, cosicché, scrive Apicio, “a tavola nessuno riconoscerà ciò che mangia”.
Le carni venivano insaporite spesso con garum, vino e spezie e accostate alla dolcezza di fichi, uva passa, mandorle o pinoli. E il prosciutto non era come lo immaginiamo oggi, ma in crosta di pasta, dopo essere stato conservato sotto sale e addolcito con fichi e miele.
Molte altre sono le curiosità di questa antica cucina. Tra i trucchi culinari descritti da Apicio c’è quello per rendere di un verde brillante gli ortaggi grazie al carbonato di soda. E la zucca? Non si usava quella gialla, importata solo molti secoli dopo dalla lontana America, ma la calabaza indiana, il che dimostra gli stretti rapporti commerciali dei Romani con l’estremo Oriente. Leggendo Apicio, tante sono le antiche materie ormai in disuso, come il polpodio, felce selvatica che veniva bollita e condita con il cumino, o il laser, una specie di finocchio selvatico gigante.
Pregiate poi le carni di beccafichi, gru, colombacci e pappagalli; ricercatissima la lingua del fenicottero, la carne di murena e i ghiri, chiusi in orcioli di argilla, ingrassati con mandorle, noci e castagne e cucinati con un ripieno di carne di maiale. Le lumache? Pasturate nel latte e nel sale per un giorno, poi fritte.
Il prossimo appuntamento per nuove curiosità culinarie dell’antica Roma è sabato 1 luglio alle ore 17 presso la Galleria San Ludovico: “Aragoste, ceci cornuti e tuorli pepati: alla scoperta della cena Trimalchionis”, per scoprire la spettacolare cena che Trimalcione offre ai suoi ospiti nel Satyricon di Petronio.
Dedicati alle straordinarie qualità medicinali della vite e dell’olivo sono gli ultimi due appuntamenti 15 luglio alle ore 11 e il 16 luglio alle ore 17.
Scopriamo qualcosa in più sulla mostra “Archeologia e alimentazione nell’eredità di Parma romana”:
La mostra, curata da Filippo Fontana e Francesco Garbasi con la supervisione e la consulenza scientifica di Alessia Morigi è promossa e organizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Parma, in collaborazione con l’Università di Parma, il Complesso monumentale della Pilotta, il gruppo archeologico VEA, e sottolinea quanto le radici della cultura alimentare del territorio siano in continuità con un passato lontano ma straordinariamente vicino e più che mai attuale nelle motivazioni che hanno fatto di Parma una Città Creativa della Gastronomia UNESCO, titolo riservato a sole diciotto città nel mondo. L’iniziativa fa parte del progetto “2200 anni lungo la Via Emilia”.
Il cibo come filo conduttore dell’esposizione rafforza la consapevolezza del radicamento delle produzioni di qualità, mostrandone il valore culturale e sociale che si traduce in un arricchimento economico e qualitativo della comunità cittadina.
Il percorso espositivo è arricchito anche dalla ricostruzione in 3D della forma urbis romana di Parma, a cura dell’Associazione culturale 3D Lab, e prosegue anche al di fuori della Galleria San Ludovico con l’itinerario Parma Sotterranea dove si potranno visitare i luoghi più significativi della città antica.