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Teatro Due, all’Arena Salvatore Settis: lectio magistralis su architettura e democrazia

di Francesco Gallina

 

Un Giuramento di Vitruvio, ecco quello che ci vorrebbe. Come il medico ha il dovere e l’obbligo di rispettare i principi del Giuramento di Ippocrate, l’architetto dovrebbe prestare giuramento ai principi fondanti di un Giuramento di Vitruvio ancora ipotetico, ma quanto mai necessario in uno Stato come quello italiano in cui, nell’indifferenza e impotenza generale, si assiste quotidianamente allo stupro legalizzato del paesaggio.

Questo è solo uno dei punti focali rischiarati da Salvatore Settis, storico dell’arte e archeologo di fama internazionale che ieri, con le sue idee e prese di posizione, ha illuminato l’Arena Shakespeare nell’ambito della rassegna RIFLESSIONI- Incontri sull’attualità promossa dal Comune di Parma e dalla Fondazione Teatro Due.

Accanto a lui, un gigante della cultura parmigiana, Arturo Carlo Quintavalle, che ha moderato la lectio magistralis intorno all’ultima opera letteraria di Settis, una “vela” Einaudi di recentissima uscita, dal titolo Architettura e paesaggio.

 

Architettura e paesaggio nasce dal prolifico incontro fra Settis e gli studenti del corso di Architettura a Mendrisio, dove lo storico è stato invitato dall’architetto Mario Butta a tenere un ciclo di lezioni volutamente in qualità di non archietetto, “outsider”, i cui studi intrattengono però da sempre vivi legami con la cultura della progettazione e con la sua etica. Etica che, nel caso italiano, poggia le sua basi nella Costituzione e nella democrazia. Democrazia che articola il rapporto fra cittadini e professionisti di ogni ambito lavorativo, compresi gli architetti. Solo da una civile e pragmatica corresponsabilità fra cittadino e architetto, sostiene Settis, potrà rinascere una città che non è solo veduta, non pura estetica contemplazione, ma è cuore popolato e pulsante della polis.

Il fine che Settis si è posto è stato quello di disincagliare la nozione di paesaggio dalle secche disciplinari, per guardare alla morfologia del paesaggio in relazione alle aspirazioni e ai diritti del cittadino. E se i paesaggi sono l’incarnazione dei diritti civili, la legislazione italiana del paesaggio non guarda certo a quello che nel suo Trattato di legislazione Montesquieu definiva l’interesse del genere umano. Farraginosa e lacunosa, la legislazione italiana protegge solo apparentemente il paesaggio, ma cova in sé il germe della sua presente e futura devastazione.

Il peccato originale sta in una mancata reductio ad unum. Esistono difatti quattro Italie: l’Italia del paesaggio, l’Italia del territorio, l’Italia dell’ambiente, l’Italia dell’agricoltura e l’Italia del suolo, ognuna delle quali sottostà a distinte sfere giuridiche e responsabilità ministeriali. Un labirinto dal quale non si riesce ad uscire finché non si concilia città e paesaggio.

Settis non ha dubbi: pensare la città senza paesaggio e il paesaggio senza città non solo è un errore gravissimo, ma sintomo di patologiche perversioni topografiche, una fra tutte l’adorazione incondizionata dei feticci globalistici, che comportano un’omogeneizzazione criminosa delle città storiche. Città che sacrificano la loro storia, andando incontro a un impietoso suicidio.

È la passività e l’indifferenza radicale che sono alla radice di fenomeni abnormi la cui anomalia rischia di diventare norma, giorno dopo giorno, non solo in Italia, ma in ogni angolo del mondo. Le favelas e le gated communities, sono solo due dei più impressionanti concentrati urbani vissuti dalle nuove povertà. Si assiste così non solo a una progressiva sparizione dei confini storici della città, ma a un preoccupante proliferare di nuove barriere interne da un lato, e una continua verticalizzazione dall’altro. Verticalizzazione che ha in sé i marci frutti della speculazione finanziaria, ma anche una malsana retorica dell’altezza di matrice platonica. Più sei in alto, più sei ricco. Più sei ricco, più sei in alto. Puoi toccare il cielo, ma hai dimenticato la terra.

Ecco dunque diffondersi a macchia d’olio le nuove croniche topografie del disagio spaziale. Perché il paesaggio non è astrazione, ma corpo vivo e umano, e come ogni corpo è soggetto alla malattia. E se oggi molti sottovalutano gli effetti disastrosi della patologia, Settis offre con coraggio e chiarezza una diagnosi illuminata, un vaccino di cui servirsi prima di procedere a un trattamento sanitario obbligatorio. O all’estrema unzione del paesaggio.

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