La Rocca Meli Lupi di Soragna è la splendida e fastosa residenza dei Principi Meli Lupi che ancor oggi la abitano. E’ arricchita da stupende sale impreziosite da mobili e arredi del primo Barocco, e conserva tutt’ora decorazioni a fresco e cicli pittorici di Nicola dell’Abate, Cesare Baglione, Ferdinando e Francesco Galli Bibiena.
La Rocca Meli Lupi circondata da un grande parco romantico all’inglese con laghetto, serra, café haus.
La Rocca, voluta dai feudatari di Soragna, i marchesi Bonifacio ed Antonio Lupi, nel 1385, viene trasformata nel secolo XVII in splendida e fastosa residenza dei Principi Meli Lupi, che ancor oggi ne sono proprietari e la abitano. Le sale della Rocca sono impreziosite da mobili ed arredi secenteschi, non mancano pure testimonianze di epoche precedenti.
LA STORIA – La Rocca fu edificata nel 1385 dai marchesi Bonifacio ed Antonio Lupi che nel 1347 avevano avuto da Carlo IV l’investitura feudale sul territorio, potere che esercitarono fino alle soppressioni napoleoniche.
E’ probabile che il primo fortilizio, a pianta quadra e con le quattro torri ai lati, sorgesse già in capo ad un anno, mentre nel 1392 fu completato il muro esterno. A quei tempi l’edificio si presentava come una poderosa rocca munita di ogni difesa contro gli attacchi esterni.
Con il passare del tempo e il consolidarsi delle Signorie, le lotte fra i feudatari si fecero però via via più rare e il castello poté quindi ingentilire le sue strutture e diventare un piacevole e comodo palazzo, pur conservando anche le sue strutture antiche. Il castello subì, infatti, dei consistenti rifacimenti strutturali soprattutto nel Cinquecento ma fu solo nel secolo successivo che divenne una sfarzosa residenza principesca, aspetto che conserva tutt’oggi.
Successive modifiche sono state portate dal parmigiano Angelo Rasori e dal piacentino Antonio Tomba rispettivamente nel ‘700 e nell’800.
La Rocca, arricchita nel tempo di innumerevoli opere d’arte e di inestimabili testimonianze del passato, è sempre rimasta di proprietà della famiglia Meli Lupi.
Il castello di Soragna è a pianta quadra, con quattro torri ai lati ed una quinta al centro della facciata principale rivolta a sud, dalla torre di nord-ovest si snoda la Galleria dei Poeti che mette in comunicazione l’edificio principale con l’oratorio di S. Croce.
La Rocca è citata come un esempio prezioso del primo Barocco: le sue sale, infatti, conservano inalterati gli originari mobili e arredi, realizzati e dorati in buona parte a Venezia, che spiccano per sontuosità ed eleganza. Non mancano, tuttavia, testimonianze da altri stili, debitori delle scuole parmense e lombarda. Pregevoli si rivelano le decorazioni a fresco ed a stucco che ornano le pareti della Rocca, dovute al talento da artisti come i fratelli Ferdinando e Francesco Galli “ Bibiena” che raffigurarono scene mitologiche ed episodi legati alla storia della famiglia, si ricordano poi le scene bibliche di Giovanni Bolla, i suggestivi paesaggi e le nature morte di Giacomo Facchini, le figure allegoriche di Giacomo Mercoli e le rappresentazioni classiche di Giovanni Motta. All’interno del castello è possibile ammirare inoltre l’opera dei celebri artisti che qui si sono succeduti per oltre 600 anni: si tratta di pittori come Felice Boselli, il Brescianino e G.B. Lazzaroni, di scultori come Luigi da Co e Alberto Oliva, ed intagliatori come Lorenzo Aili.
Esempio rigorosamente originale del Barocco trionfante nell’ultimo ‘600, perfettamente conservato senza contaminazioni da altri stili o epoche, è l’”appartamento nobile”, nell’ala est del primo piano, notevole per il pregio degli arredamenti e per gli sfarzosi intagli rivestiti d’oro zecchino. L’arredamento risale al 1681 e fu approntato in occasione delle nozze di Ottavia Rossi di S. Secondo con Giampaolo Meli Lupi Primo Principe del Sacro Romano Impero e di Soragna.
La Rocca è composta da Ala destra, Ala Centrale, Ala sinistra e giardino.
L’Ala destra si compone di Sala del Baglione e Sala Gialla.
La sala del Baglione, o “delle grottesche” , è detta così perché fu affrescata dal pittore cremonese Cesare Baglione (sec. XVI), che trovò la sua espressione artistica più efficace nella rappresentazione delle cosiddette “grottesche”, un particolare genere di ornati ispirato alle decorazioni pompeiane. Gli affreschi sono perfettamente conservati e sono molto interessanti soprattutto per l’estrema originalità dell’espressione pittorica. Al centro della volta lo stemma dei Farnese e dei Duchi di Parma e Piacenza; nelle lunette si possono osservare invece dei paesaggi di buona fattura. Oltre alle belle cassapanche di varie epoche, si nota anche la nicchia, con due sportelli di legno decorati esternamente a grottesche e all’interno da motivi religiosi, che probabilmente serviva da altare per la celebrazione di funzioni religiose.
La Sala Gialla, detta anche Sala di Nicolò dell’Abate, reca al suo interno quattro affreschi riportati su tela, raffiguranti scene mitologiche tratte dalla vita di Ercole: da sinistra sono rappresentati “Ercole fanciullo che strozza i serpenti”, “Ercole che abbatte il Toro Cretese”, “Ercole che uccide Caco” ed “Ercole che uccide Anteo”. Pregevole anche il dipinto “Amore che incocca la freccia nell’arco”, opera attribuita in un primo tempo al Parmigianino e quindi a Nicolò dell’ Abate.
L’Ala centrale si compone di Sala del Bocchirale, Sala Rossa, Sala Biliardo, Sala Stucchi, Galleria dei Poeti, Cappella di Santa Croce, Sala da Pranzo, Sala d’Armi, Galleria delle Monache.
La Sala del Bocchirale, che mette in comunicazione il cortile col giardino, reca al suo interno uno splendido arazzo francese del ‘600 trapuntato con perline e raffigurante animali esotici, proveniente, per eredità, dal castello di Lux in Borgogna. Pregevole anche il busto maschile classico databile ai primi del ‘500 probabilmente opera di Antonio Lombardo. Notevole anche il bel cancello di ferro battuto di Giulio Pellegrinelli e il busto del Cristo, opera di Alvise da Cà e risalente ai primi del ‘700.
Ornano la Sala anche quattro vasi a tromba di terracotta dipinta in cineseria del secondo Settecento.
Nella Sala Rossa, insieme a sei paesaggi ovali del Brescianino, sono appesi i ritratti di Giampaolo Meli Lupi e della moglie Ottavia Rossi. Nota di indubbio pregio nel mobilio della Sala sono il divano e le poltrone, tappezzati personalmente, al piccolo punto, dalla Principessa Anna Meli Lupi di Soragna, nata Grillo dei duchi di Mondragone e vissuta nel XIX secolo. Un basamento intagliato e dorato sostiene una serie di grandi vasi giapponesi settecenteschi di Himara.
Proseguendo, si accede alla Sala del Biliardo Antico, detta anche Galleria degli Antenati, con la settecentesca tavola da biliardo, impreziosita da una cinquecentesca coperta di cuoio di Cordova, mentre alle pareti è possibile ammirare i ritratti di famiglia, tra i quali merita indubbiamente menzione il dipinto che raffigura l’enigmatica Donna Cenerina. Semplice e pregevole, all’interno della Sala, il camino opera di Alberto Oliva.
Si può procedere poi alla volta della Sala degli Stucchi, un grande Salone quadrato la cui fastosa decorazione, perfetta testimonianza del più caratteristico barocco di fine ‘600, è dovuta all’opera di Ferdinando e Francesco Galli, detti i ‘Bibiena’, che hanno dipinto il soffitto con scene della gloriosa storia della famiglia Meli Lupi e delle loro vittorie contro gli ottomani, sia al servizio dell’Impero, sia della Repubblica Veneta (ai quattro angoli della Sala sono presenti, alternati, i simboli dell’Aquila imperiale e del Leone di San Marco sopra una testa di turco). Pregevoli le pitture contornate da stucchi, sempre opera dei Bibiena, nonché le scene di gusto classico che ornano le pareti dello stesso salone.
La Galleria dei Poeti è divisa in tre parti: la prima, affrescata dai Bibiena, riprende i motivi decorativi della Sala degli Stucchi, la seconda, affrescata con soggetti letterari e classici per opera del pittore cremonese Giovanni Motta, è la più ampia e misura ben 62 metri, mentre la terza parte è dedicata al tempietto d’Apollo, dio della poesia, cui si accede mediante quattro gradini. Le decorazioni di quest’ultimo ambiente sono ispirate principalmente al motivo del cigno, la figura che simbolicamente rappresenta il dio Apollo. La Galleria dei Poeti reca poi le erme di dodici fra i maggiori vati della storia. Intorno sono raffigurati i motivi principali della poesia di ciascuno e riportati alcuni dei versi più significativi: l’Italia è rappresentata da Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, il mondo latino da Orazio, Virgilio, Ovidio e Lucrezio, mentre la Grecia classica trova i suoi testimoni in Omero, Sofocle, Pindaro ed Anacreonte. L’ambiente è notevole anche per la perfetta acustica. Da qui un tempo si accedeva al teatro, opera del Bibiena, oggi scomparso.
Sicuramente da visitare è poi la Cappella di Santa Croce, fatta erigere nel primo Seicento come oratorio e tomba di famiglia. Giacciono qui Ugolotto Lupi (m. 1351) e Francesco Meli Lupi (m. 1669) di cui si può ancora leggere il curioso epitaffio che dettò per se stesso:
Quivi giace a marcir entro l’avello nudo senza vigor, vile, fetente, un lupo per venir celeste agnello
L’oratorio fu costruito da Vigilante Petardi di Cremona per il Marchese Giampaolo di Soragna nel primo ‘600 e fu utilizzato per due secoli come tomba di famiglia.
La costruzione sacra, di stile barocco, è ornata da un altare composto di marmi vari, opera di Pietro Oliva di Parma, mentre la Pala, rappresentante la crocifissione, è di Giovanni Bolla.
Sul lato destro, murati nella parete, i resti del sarcofago in pietra di Ugolotto Lupi, risalente al 1351, monumento funebre qui ricomposto dal Tomba nel 1821 e proveniente dalla chiesa gotica parmense di San Francesco al Prato. Da rilevare anche l’interessante rilievo marmoreo opera dello scultore lombardo Giovanni A. Amadeo, raffigurante un ‘Ecce Homo’ recante le scritte ‘Diophebus Lupus fecit fare 1470’ e ‘L.A. de Amadeis fecit hoc opus’.
La Sala da Pranzo, pregevole per gli intagli dorati, contiene quattro begli ovali settecenteschi di Felice Boselli, rappresentanti nature morte con figure, racchiusi in cornici settecentesche di Francesco Seracchi, cui si deve probabilmente anche il cassettone intagliato. Il soffitto è ornato da un affresco del cremonese Pietro Ferrari, con Giampaolo III ed il figlio Diofebo in veste di guerrieri romani che sovrintendono all’edificazione della chiesa di San Rocco in Soragna avvenuta nel 1661. E’ presente anche una preziosa collezione di piatti bianchi e blu della manifattura di Savona risalenti al XVIII secolo.
Nella Sala d’Armi sono raccolte le armi usate dalle guardie feudali nei sec. XVI e XVII. Tra i vari tipi di strumenti di offesa e di difesa, fra cui alabarde, fucili a pietra, caschi, spade, sciabole antiche e una bandiera spagnola del sec. XVIII, tutti rigorosamente originali, è posto anche un magnifico cannone di ferro, seicentesco, ottimamente conservato. E’ presente anche un frammento di stendardo in cuoio recante le armi della famiglia Meli Lupi.
La tradizione vuole che le celle delle monache di famiglia fossero ubicate appunto nella Galleria delle Monache. Qui sono esposti, in una specie di museo del costume, un’antica portantina (sec. XVIII), una culla con lo stemma di famiglia intarsiato (sec. XIX), un girarrosto, un curioso velocipede (sec. XIX), una carrozzina (sec. XIX), una macchina elettrostatica (sec. XVIII) e un’anfora da vino proveniente dal mar di Corsica. Una raccolta di stampe dei castelli degli Stati Parmensi adorna le pareti, il mobilio risale al ‘700. Interessanti, all’interno della Sala, la bella serie di fotografie ed autografi di personalità nonchè i ritratti di personaggi di casa Farnese. In quattro vetrine sono altresì esposti costumi e vesti del ‘700, le decorazioni conferite in passato a membri della famiglia, oggetti provenienti da ritrovamenti archeologici ed ancora armi antiche e moderne di vari Paesi.
L’Ala sinistra è composta da Scalone, Grande Galleria, Sala delle Donne Forti, sala del Trono, Camera Nuziale, Salottino Dorato.
Si sale al primo piano attraverso lo scalone d’onore realizzato dai fratelli Puignaghi di Brescia su progetto dell’architetto piacentino Carlo Virginio Draghi. La balaustra è in marmo rosso di Verona con sette putti in pietra bianca. La decorazione pittorica del soffitto, in stile Liberty, è opera di Giuseppe Riva di Bergamo ed è databile al 1927.
In continuazione dello Scalone si snoda invece la Grande Galleria le cui pareti di destra e di fondo furono affrescate, nel 1696, da Ferdinando e Francesco Galli, detti i ‘Bibiena’, che rappresentarono fatti e momenti salienti della storia della famiglia Meli Lupi. Nel secondo riquadro il Doge di Venezia investe Nicolò Meli Lupi del Provvedimento di Napoli di Morea.
Nel terzo riquadro sono presentate allo stesso le chiavi di una città greca da parte dei cittadini. Sono visibili in questa sala anche le quattro cassapanche, dalle linee molto semplici, provenienti dal palazzo di Parma e disegnate probabilmente da Angelo Rasori, mentre sulla parete di fondo appare dipinta una scena di banchetto dove si suppone sia stato raffigurato anche Carlo V in occasione di una visita al Marchese di Soragna. Sempre ad opera di Francesco Bibiena, si potranno ammirare poi anche le splendide decorazioni della piccola galleria settecentesca che si stende in fondo alla Grande Galleria. Dalla cima dello scalone si diparte a sinistra anche la bella Galleria Gonzaga, ispirata alla galleria delle Guardie del Palazzo Gonzaga di Sabbioneta e decorata nel 1942 dal pittore Tito Poloni su commissione della Principessa Giuseppina Meli Lupi di Soragna, nata principessa Gonzaga.
Nella ‘Sala delle Donne Forti’ sono posti due affreschi raffiguranti altrettanti episodi biblici in cui le donne si mostrarono più forti degli uomini: sono rappresentati Giuditta ed Oloferne e poi Giaele e Sisara.
Questa Sala, che fu adibita a Sala delle Guardie e serviva da anticamera, è stata interamente affrescata da Giovanni Bolla e Leonardo Clerici, che decorarono anche la Camera Nuziale e la Sala del Trono (1702).
Vicino al monumentale camino, in cui gli stemmi dei Meli Lupi e dei Rossi figurano uniti, si apre una porta che dà accesso alla Sala del Trono, uno splendido ambiente tappezzato da broccati e velluti di Genova. Il trono feudale, ora rappresentato da due poltrone, è sovrastato da un imponente baldacchino con ornamenti dorati e drappeggi di velluto e broccato.
Da notare i due tavoli di ebano con due stipi dell’epoca intarsiati con avorio, madreperla e corallo: l’insieme è sostenuto da eleganti figure marine a tutto tondo in legno dorato. Pregevoli anche i ritratti di Giampaolo e Ottavia Meli Lupi con cornici finemente intagliate. Sono decisamente interessanti anche le statue in legno di Lorenzo Aili, artista trentino naturalizzatosi parmense, rappresentanti la Primavera e l’Autunno, che fanno serie con quelle raffiguranti l’Inverno e l’Estate poste invece nella Camera Nuziale.
La camera nuziale è un ambiente costituito da una grande sala separata dal talamo per mezzo di un cancelletto in legno scolpito e dorato. Sono particolarmente pregevoli le due specchiere di Murano con cornici in vetro e cristallo azzurro e bianco, decorato e dipinto, una delle quali reca lo stemma della casata dei Meli Lupi. Il camino è sormontato da una caminiera con specchi ed ornamenti in legno dorato eseguita dall’intagliatore Antonio Verzieri (1739). Notevoli anche i due tavoli intagliati con stipi simili a quelli della Sala del Trono. A fianco del letto si trova il famoso inginocchiatoio, di cui si rinviene citazione già dal 1743, formato da due putti fra cuscini.
Dalla camera nuziale si accede poi al Salottino, notevole per i suoi specchi incorniciati da intagli dorati e per il pavimento di marmo intarsiato con lo stemma dei Meli Lupi ad opera del maestro Pietro Oliva da Parma. Nel Salottino sono presenti anche tre ritratti di Giampaolo di Soragna, Ottavia ed il figlio Giambattista.
Da vedere anche i lampadari in bronzo e cristallo, il divano ricoperto di stoffa ricamata a punto bandiera e piccolo scrittoio olandese laccato alla maniera cinese del XVIII sec.
Il Giardino
Dal Fossato Alla Costruzione Del Giardino
In epoca medioevale il castello era circondato su tutti e quattro i lati dal fossato e non esisteva un giardino. Le prime notizie di uno spazio verde all’interno della Rocca risalgono al 1542 quando fu recintata un’area verde di modeste dimensioni.
Nel ‘700, invece, per merito della sensibilità e del mecenatismo dei Meli Lupi, nonché per l’opera di artisti come Giovanbattista Bettoli, un ampio giardino all’italiana si estendeva già nella zona nord, terminando in un muro di cinta costellato di nicchie dove trovavano dimora le statue che attualmente ornano le varie zone del giardino.
Lo spazio dedicato al verde fu ulteriormente incrementato di quattro ettari nel 1781, mentre la trasformazione successiva in parco all’inglese avvenne nel 1833 per opera dell’architetto Luigi Voghera di Cremona.
Curiosità
Significativo, nel giardino, l’albero di noce d’America (Iuglans nigra) di dimensioni ragguardevoli.
Da visitare, poi, il ‘Cafè-haus’ ,una piccola costruzione di stile neoclassico. Ornano vari punti dello spazio verde statue di Ercole, Minerva e altre divinità mitologiche, nonché vari reperti marmorei barocchi che sono sistemati tra gli alberi.
Davanti ha una bella serra neoclassica sono poste altre statue fra cui un pastorello d’Arcadia, acquisto relativamente recente, posto tra aiuole di rose. Poco lontano si trova il bel lago artificiale, circondato dagli alberi e ornato, al centro, dall’Isola dell’Amore e da due poggi con grotte abbellite da stalattiti e stalagmiti.
Il giardino è messo in comunicazione con la Sala del Bocchirale attraverso una scala a doppia rampa, ai lati delle quali si ergono sei statue raffiguranti i fiumi Nilo e Gange e le quattro stagioni. Le statue del giardino, ad eccezione del pastore d’Arcadia, furono scolpite a Venezia per conto del marchese Giuseppe Meli Lupi.
Lo stemma e il casato – La storia del casato dei Meli Lupi non può che partire dal più antico tra i signori di Soragna, il marchese Guido Lupi, che fu podestà di Parma nel 1202, svolgendo importanti azioni pacificatrici nelle terre vicine.
I Lupi anticamente, con ogni probabilità, costruirono il castello e numerosi fortilizi sul territorio: sappiamo, infatti, che nel 1318 le truppe del podestà a Parma distrussero un ‘castelletto’ di Albertazzo Lupi, reo di essersi rifiutato di pagare un’ammenda.
Un’altra tappa fondamentale nella storia della famiglia fu la trasformazione dei beni di Soragna in feudo, avvenuta nel 1347 da parte di Carlo IV di Boemia, con il riconoscimento dei titoli di Marchese per Ugolotto Lupi e i suoi discendenti, e del diritto di mero e misto impero e di podestà di spada sul feudo. Dopo lunghe traversie dovute alla contesa sull’eredità del nome e dei beni del casato, il marchese Giampaolo Meli ottenne nel 1530 il diritto di aggiungere al proprio cognome quello dell’estinto casato dei Lupi, nonché il privilegio di porre l’insegna imperiale dell’aquila nello stemma.
Tra le personalità che conferirono maggior lustro e prestigio alla casata dei Meli Lupi è sicuramente Isabella Pallavicino di Cortemaggiore, moglie di Giampaolo II, dama conosciuta soprattutto per aver ottenuto dal Duca di Ferrara il permesso di stampare un’edizione della ‘Gerusalemme liberata’, riveduta e corretta dallo stesso Tasso, ancora vivente, che le dedicò un sonetto tuttora conservato nella biblioteca del palazzo.
Nel 1709 Giampaolo Maria ottenne, dall’imperatore Giuseppe I, che il marchesato fosse innalzato a Principato del Sacro Romano Impero con diritto di battere moneta. Il titolo di Principe da allora viene portato dal primogenito della famiglia.
L’attuale Principe Diofebo, oltre alla sua attività nel settore agricolo, prosegue nell’attività di apportare migliore nell’attività turistica e nel campo musicale.
Il più antico stemma adottato dalla famiglia Meli Lupi di Soragna è “un lupo rampante d’azzurro in un campo d’oro”. Nel 1530 l’imperatore Carlo V concesse inoltre di aggiungervi l’aquila nera bicipite sormontata dalla corona imperiale. Quando poi, nel 1709, la famiglia ottenne il titolo di Principe del Sacro Romano Impero, allo stemma dei Lupi si affiancò quello dei Meli, costituiti rispettivamente da un cervo rampante e dalle bande rosso e oro della nobiltà veneta. Un’ulteriore aggiunta allo stemma fu la corona da Principe, sovrastante un manto di velluto di porpora.
La leggenda della donna cenerina – Anticamente un crudele delitto ha tinte di rosso le mura della Rocca di Soragna: si tratta dell’uccisione di Cassandra Marinoni di Milano, più nota ai soragnesi con il soprannome di Donna Cenerina, sposa del Marchese Diofebo II Meli Lupi ed assassinata dal cognato Giulio Anguissola nell’anno 1573, presumibilmente per motivi di interesse.
Si trattò di un oscuro fatto di sangue, mai vendicato, che suscitò orrore in tutta la regione e da cui ben presto sorse la leggenda del fantasma di Donna Cenerina che vagherebbe sconsolata e senza pace nelle Sale della Rocca, accompagnandosi con fenomeni inquietanti ed inspiegabili, foriera nei secoli di innumerevoli presagi per i signori del castello. Si narra infatti che Donna Cenerina appaia soprattutto quando sta per accadere qualcosa di negativo ai suoi discendenti.