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Animali Fantastici: la capra e il caprone del Battistero di Parma

 

Benvenuti al sedicesimo appuntamento della rubrica Animali fantastici e dove trovarli nella mia Drogheria dell’Arte. Oggi, da bravi profani quali siamo, degustiamo il… violino di capra.

Con la capra, dunque, proseguiamo lungo le pareti esterne del Battistero, fra i bassorilievi di questa curiosa creazione scultorea che è lo Zooforo.

Il violino di capra, infine, è un prodotto presidio Slow Food della Valchiavenna e della Valtellina. Una leccornia, la cui preparazione consiste nel mettere in infusione per una decina di giorni una coscia di capra, opportunamente pelata e sgrassata, condita con sale, pepe, ginepro, timo, rosmarino, cannella alloro e vino bianco.

E questa è solo una delle più golose ricette che la carne di capra offre. Nel Medioevo, la capricultura, forniva una fonte di reddito a base di carne, latte e formaggi. Ma il Medioevo è anche spiritualità e allegoria. E allora, osservando la capra e il caprone scolpiti da Benedetto Antelami, non possiamo non notare l’antitesi che sussiste fra i due animali. La capra, dotata di un’ottima vista, è stata spesso posta in relazione all’onniveggenza del Signore. Nel Phisiologus, piccola opera redatta ad Alessandria d’Egitto nei primi secoli d. C, probabilmente in ambiente gnostico, i monti diventano metafora dei profeti, dei patriarchi e degli apostoli, mentre le valli pratoserappresentano l’ecclesia nella quale e per mezzo della quale Cristo nutre e si nutre.

Tuttavia, la capra e – soprattutto – il caprone celano in sé il germe della libidine. Il caprone, con il suo sguardo obliquo, cioè non retto (ricordate la “retta via” di Dante?), simboleggia la devianza dal Bene. Non solo. Il caprone è animale dal sangue caldo, il che si connette alla sua sfrenata lussuria. Il caprone è anche il capro espiatorio che gli israeliti lanciavano vivo ogni anno nel giorno in cui si espiano i peccati di Azazel, demone di origini israelite sceso sulla terra per offrire alle donne ornamenti e vesti colorate per sedurre gli uomini.  Insomma, il caprone è alter ego del Demonio, con le sue corna, la sua fame di piacerem, la sua peluria puzzolente e la sua bestiale vampa erotica.

Calza a pennello la poesia di Cesare Pavese che vi propongo oggi, Il dio caprone, che insieme ad altre quattro poesie fu censurata“per motivi morali” da Lavorare stanca. Versi in cui il rapporto sessuale si traduce in un rito misterico e misterioso cui partecipa la natura nella sua interezza. Capre e caproni sono i grandi protagonisti.

 

 

Il dio caprone

 

La campagna è un paese di verdi misteri

al ragazzo, che viene d’estate. La capra, che morde

certi fiori, le gonfia la pancia e bisogna che corra.

Quando l’uomo ha goduto con qualche ragazza

hanno peli là sotto il bambino le gonfia la pancia.

Pascolando le capre, si fanno bravate e sogghigni,

ma al crepuscolo ognuno comincia a guardarsi alle spalle.

I ragazzi conoscono quando è passata la biscia

dalla striscia sinuosa che resta per terra.

Ma nessuno conosce se passa la biscia

dentro l’erba. Ci sono le capre che vanno a fermarsi

sulla biscia, nell’erba, e che godono a farsi succhiare.

Le ragazze anche godono, a farsi toccare.

 

Al levar della luna le capre non stanno più chete,

ma bisogna raccoglierle e spingerle a casa,

altrimenti si drizza il caprone. Saltando nel prato

sventra tutte le capre e scompare. Ragazze in calore

dentro i boschi ci vengono sole, di notte,

e il caprone, se belano stese nell’erba, le corre a trovare.

Ma, che spunti la luna: si drizza e le sventra.

E le cagne, che abbaiano sotto la luna,

è perché hanno sentito il caprone che salta

sulle cime dei colli e annusato l’odore del sangue.

E le bestie si scuotano dentro le stalle.

Solamente i cagnacci più forti dàn morsi alla corda

e qualcuno si libera e corre a seguire il caprone,

che li spruzza e ubriaca di un sangue più rosso del fuoco,

e poi ballano tutti, tenendosi ritti e ululando alla luna.

 

Quando, a giorno, il cagnaccio ritorna spelato e ringhioso,

i villani gli dànno la cagna a pedate di dietro.

E alla figlia, che gira di sera, e ai figli, che tornano

quand’è buio, smarrita una capra, gli fiaccano il collo.

Riempion donne, i villani, e faticano senza rispetto.

Vanno in giro di giorno e di notte e non hanno paura

di zappare anche sotto la luna o di accendere un fuoco

di gramigne nel buio. Per questo, la terra

ècosi bella verde e, zappata, ha il colore,

sotto l’alba, dei volti bruciati. Si va alla vendemmia

e si mangia e si canta; si va a spannocchiare

e si balla e si beve. Si sente ragazze che ridono,

ché qualcuno ricorda il caprone. Su, in cima, nei boschi,

tra le ripe sassose, i villani l’han visto

che cercava la capra e picchiava zuccate nei tronchi.

Perché, quando una bestia non sa lavorare

e si tiene soltanto da monta, gli piace distruggere.

 

FRANCESCO GALLINA ha 24 anni ed è pramzän dal säss.

Laureato in Lettere Classiche e Moderne, è critico letterario, docente, blogger, narratore e autore di articoli e saggi accademici su letteratura, poesia, filosofia e arti dello spettacolo.

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