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Letteratura- Le “Vitae” di Maria Pia Quintavalla

di Francesco Gallina 

 

«Il lavoro diventano i lavori, tanti, a milioni, a te piace moltiplicare le responsabilità, organizzare creare: eventi, soprattutto, relazioni, farli parlare con te, ad alta voce, fra di loro, i poeti, gli intellettuali; farsi e farli amare, scontrarsi, pensare, contraddirsi.». La vita di Maria Pia Quintavalla potrebbe sintetizzarsi in queste righe tratte dalla sua ultima fatica letteraria, Vitae. Racconti, edita dalla casa editrice La Vita Felice. Escludendo le opere saggistiche, si tratta della sua prima raccolta di prose (dopo le prose poetiche), di narrazioni che, come affreschi, offrono uno spaccato di vita i cui protagonisti non si riducono alla sola autrice, ma ne popolano lo sfondo. Un libro di memorie, dietro le cui pagine percepiamo il fluire di una contemplazione furiosa, di un’esistenza vissuta con forza, determinazione, ma anche voluttuosa sensualità.

Dopo il ciclo di romanzi familiari in versi Album feriale, China e Compianti la poetessa parmigiana ci offre la storia della sua molteplice persona, attraverso il tanto delicato quanto spinoso snodo di narrazioni, che rifuggono dal puro autobiografismo in prima persona. L’io si fa tu ed egli, si scompone; spesso si guarda scorrere esteriormente, prende le distanze da se stesso per dare di sé un ritratto più veritiero, che non rifugge però da visioni oniriche e visionarie rielaborazioni.

Romanzo di formazione in bilico fra classico e avanguardistico: Vitae racconta di famiglie, biologiche e letterarie, ma anche di un costante vagare fra Nord e Sud Italia («il corpo tirava verso l’insondato Sud del cuore, ma la sua testa era infallibilmente nordica»), alla ricerca di un amore e di una patria poetica che, alla fine, sarà identificata in Milano. Trent’anni di vita milanese che hanno dato respiro nazionale a una scrittrice che si è battuta fra insegnamento, impegno civile e sul pensiero delle libertà femminili.

Una poetessa i cui versi nascono nutriti dal terreno del cubofuturismo e dell’orfismo, per poi prendere altre strade, tutte accomunate da una viva e presente commistione di vita-idee-intelletto, fatta di una concretezza che non conosce ancora i tentacoli seducenti – ma atrofici – della virtualità contemporanea. Sono gli anni in cui, a mo’ di una New York italiana, Milano è costante pluralità di talenti. La Milano che, scemando gli anni di piombo, ritrova nella sua euforia il preludio al declino inesorabile che gli anni di Tangentopoli avrebbe trascinato con sé. La nevrotica Milano da bere alienata e allo stesso tempo vissuta da spiriti che, come la Quintavalla, spendono le proprie energie in solitaria, ma con la sempre accesa speranza di intrecciare e coltivare rapporti umani. In uno dei racconti più originali sul piano stilistico (anche per questo apprezzato da Elio Pagliarani), Mi piace lavorare, scrive: «ti butti nella disperata ricerca di inventare, di trovare, allora; e per tre anni si moltiplicano, fioriscono scuole, corsi, seminari dove insegni, dove torni e insegni ancora, poi rilanci: sempre a leggere e scrivere».

La scrittura salva dalla «fibrillazione della cronaca» e insegna ad affrontare le perdite e le assenze di una vita contrastata da amori rovinosi, ma altresì illuminata da incontri indimenticabili, raccontati nella sezione forse più schiettamente autobiografica, Ritratti, che ci mette in contatto con il volto di Giovanna Sicari, con la cordialità di Andrea Zanzotto, con la tragedia di Nadia Campana, con il «sorriso caldo» di Antonio Porta. Intelligenze attive, che hanno fatto di Milano, e in generale dell’Italia, terra di confronto e laboratorio poetico. Poetico nel senso di poesia, ma anche, etimologicamente, di fare artistico di cui la Parma e la Milano odierne si sono, forse, allontanate.

Il libro, con prefazione di Giuseppe Marchetti e copertina illustrata da Giosetta Fioroni, sarà presentato il 7 marzo 2017, alle ore 18, alla Libreria Feltrinelli di Parma.

 

 

 

 

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