di Francesco Gallina
Benvenuti al undicesimo appuntamento della rubrica Animali fantastici e dove trovarli nella mia Drogheria dell’Arte. Oggi, seguendo le orme di Pirro e di Annibale, andiamo a sbattere dritti contro… l’elefante.
Con l’elefante, dunque, proseguiamo il nostro viaggio lungo le pareti esterne del Battistero di Parma, fra i bassorilievi di questa straordinaria creazione scultorea che è lo Zooforo.
Di primo acchito, quello scolpito dall’Antelami sembra un cane o un cavallo con proboscide e zanne. Si tratta, invece, di un elefante turrifero. Nell’iconografia medievale (e non solo), torri eburnee, castelli o howdahs (lettighe indiane) compaiono spesso sul dorso dell’elefante, per sottolinearne la stazza e la bellica forza. Ma il vigore corporeo non è la solo evidente caratteristica del pachiderma, che viene sempre più ad incarnare l’effige del buon cristiano. Buon cristiano che dovrà essere dotato, come l’elefante, di pazienza e lealtà, giustizia e obbedienza: solo così il credente potrà seguire il retto sentiero che lo conduce a Dio.
Come san Michele, l’elefante è nemico del drago. Nel momento del parto, l’elefantessa, per proteggersi dal serpente, si immerge nell’acqua fino alle mammelle, mentre l’elefante dà la caccia al serpente/drago, finché non lo scova e lo uccide. Dunque, l’elefantino nasce in uno specchio d’acqua, e l’acqua è simbolo di purezza e correlativo del battesimo. Insomma, come leggiamo nel Phisiologus, “l’elefante e la sua femmina sono dunque immagini di Adamo ed Eva: quando erano nelle delizie del paradiso prima della trasgressione, non conoscevano l’unione carnale e non pensavano all’accoppiamento. Ma quando la donna ha mangiato il frutto dell’albero, cioè della spirituale mandragola, e ne ha dato anche all’uomo, allora Adamo ha conosciuto la donna, e ha generato Caino sopra le acque malefiche”.
Tra bizzarro naturale e fascino dell’esotico, tra virtù cardinali e castità, l’elefante è simbolo del Bene (tranne quando era sfruttato come reale – e non simbolica – macchina da guerra). Burbero fuori, dolce dentro. E se per Plinio basta del succo d’orzo per acquietarlo, per Michele Zarrillo, l’elefante ha un “cuore di farfalla”. E proprio con una bella poesia-monologo di Michele Zarrillo (1996: Sanremo d’altri tempi!), vi diamo l’appuntamento alla prossima puntata!
L’ELEFANTE E LA FARFALLA
Sono l’elefante
e non ci passo
mi trascino lento
il peso addosso.
Vivo la vergogna
e mangio da solo e non sai
che dolore sognare per chi non può mai.
Sono l’elefante
e mi nascondo
ma non c’è rifugio
così profondo.
Io non so scappare
che pena mostrarmi così
al tuo sguardo che amo e che ride di me.
Una farfalla sei
leggera e libera su me
mai
non ti raggiungerò mai
mi spezzi il cuore e te ne vai
lassù.
Sono l’elefante
che posso fare
inchiodato al suolo
e a questo amore.
Provo ad inseguirti
ma cado e rimango così
non puoi neanche aiutarmi ti prego vai via.
Una farfalla tu sei
leggera e libera su me
mai
non ti raggiungerò mai
mi spezzi il cuore e te ne vai
da me.
Dentro di me dentro di me
ho un cuore di farfalla
e non potrai vedere mai
quanto lui ti assomiglia
dentro di me dentro di me
ho un cuore di farfalla
e non potrai vedere mai
quanto lui ti assomiglia
Dentro di me dentro di me
ho un cuore di farfalla.
FRANCESCO GALLINA ha 24 anni ed è pramzän dal säss.
Laureato in Lettere Classiche e Moderne, è critico letterario, docente, blogger, narratore e autore di articoli e saggi accademici su letteratura, poesia, filosofia e arti dello spettacolo.