di Maria Antonietta Sorrentino
“Felix coeli porta Anno Domini MCDDXXIII” recita perentorio il suo cartiglio di pietra. Un biglietto da visita che vale quanto un “pay off” aziendale quello della Certosa più imponente del Mezzogiorno d’Italia: la certosa di Padula, in provincia di Salerno. Opera monumentale, la più monumentale della Lucania occidentale, il cenobio di Padula nasce nel 1306 da una grancia (1) di proprietà dell’abbazia di Montevergine, e cresce forte di donazioni e acquisizioni nei secoli seguenti.
Fondata in funzione politica filoangioina per contrastare il potere degli aragonesi, la Certosa di S.Lorenzo domina fisicamente e idealmente tutto il Vallo di Diano, ex lago pleistocenico che si scruta quasi completamente scendendo dal Passo della Sentinella in direzione S.Rufo. I suoi numeri da maggiorata renderebbero fiero persino Tommaso Sanseverino, conte di Marsico, che la volle nel suo feudo: cinquantaduemila metri quadri dei quali ben trentamila abitabili e coperti con trecentoventi stanze riscaldate da cento camini, cinquecento porte, cinquecentocinquanta finestre, tredici cortili, cinquantadue scale e quarantuno fontane senza contare le ottantaquattro colonne, le seicentosettantadue metope.
Ridare splendore all’antico monastero è stata una sfida in piena regola. Fatto oggetto di una accurata operazione di restauro e di consolidamento dal 1960 in avanti, il cenobio ha visto il concorso del Ministero dei Beni Culturali e della Soprintendenza di Salerno ed Avellino.
L’opera monumentale è tornata alla fioritura dopo un degrado plurisecolare seguito alla cacciata dei certosini, voluta dalla politica dei napoleonidi. Costruita per arginare gli aragonesi e difendere il potere dei Re Francesi, paradossalmente la Certosa di S.Lorenzo a Padula conobbe la fine proprio per mano degli stessi con l’ascesa di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, al Regno di Napoli.
La trama antica, interrotta dagli eventi e ripetutamente, è stata a fatica ricostruita, e, prima ancora, conosciuta e riconosciuta in un’operazione di “maquillage” e di “restyling” alla quale ha giovato non poco la mole di dati forniti dal ciclopico lavoro di Monsignor Antonio Sacco. La riproduzione degli ambienti originari è stata un atto di giustizia e di riappropriazione culturale, la stessa che si impone ad ogni territorio che tenga a cuore la propria identità e si interroghi sulla sua vocazione e sul proprio passato.
Rivelatasi indispensabile in sede operativa, l’opera di Sacco ha parzialmente colmato i vuoti lasciati da una depauperazione sistematica della quale si sono salvati, per ovvi motivi, gli affreschi e i dipinti ad olio rimasti, testimonianza superstite di un cenobio dove convenne la crema degli artisti, come tramandano attestati di pagamento e affini.
Una parabola, quella della Certosa, che nasce da una permuta di beni immobili tra il convento di Montevergine e il potente Tommaso Sanseverino che acquisisce il “locum sanctii laurenti de padula” con i diritti e i privilegi fino a quel momento acquisiti in cambio di quattro poderi nei pressi di Mercato San Severino.
Pochi mesi dopo il trasferimento di beni diviene esecutivo con la formula di rito “ad onnipotentis Dei gloriam et honorem ac pro rimedio et salute anime nostre et parentum ac successorum nostrum”. La permuta include una condizione: l’ erezione nel luogo di un convento intitolato a S.Lorenzo.
Già agli inizi del 1300 viene dotata di rendite e da allora, fino allavvento di Napoleone, è cresciuta esponenzialmente. Nel 1451 il Priore di S.Lorenzo aveva raggiunto la dignità di feudatario con l’acquisizione di S.Maria di Pisticci e del feudo di S.Basilio.
A metà del ‘400 la floridezza del cenobio a Padula era invidiabile, assicurata anche dal monopolio della pesca dei golfi di Taranto e Policastro, una solidità che non temette nemmeno l’avvento degli aragonesi e la costituzione del vicereame spagnolo del 1503.
Nella metà del 1700 la Certosa possiede numeri da maggiorata come ci informa l’ opera di Monsignor Sacco: l’area del podere comune vanta duecentocinquantamila metri quadri, diciannovemila e duecento i metri quadri distribuiti tra logge, gallerie, portici e disimpegni, un chiostro grande lungo centoquarantanove metri e largo centroquattro, senza contare la scala elicoidale e lo scalone ellittico, un colpo di scena finale che si apre al verde del parco circostante e si stima costato circa due miliardi delle vecchie lire.
“Leitmotiv” dell’antico monastero, la graticola di S.Lorenzo (2) celebra nel suo significato l’apologia di una fede indomita ed esemplare.
Motivo ricorrente nella sua splendida architettura, il simbolo traspare un po’ ovunque, per esempio nel disegno dei viali del grande giardino e agli angoli del balcone del priore.
L’imponente luogo sacro si apre con un arioso spazio dall’intatto selciato in pietra che il restauro recente ha liberato dai depositi alluvionali, figli di un territorio paludoso come ci rammenta la stessa toponomastica. Ancora nella seconda metà del XIX sec. il torrente Fabbricato, che scorreva proprio davanti alla Certosa, straripò, tracimando nella Corte esterna con una enorme quantità di detriti.
Quello spazio era la “casa bassa”, un cortile esterno che fungeva da anello di congiunzione tra il mondo e la clausura della “casa alta”. Di giorno si affollava di fornitori e pellegrini divenendo, di fatto, luogo di scambio come nessun altro nel Vallo di Diano. Di notte, poi, l’imponente portone si chiudeva insieme alle attività produttive. Di queste sono testimonianza palese gli ambienti di servizio , in parte ristrutturati, che, posti ai lati della corte rettangolare, fungevano da depositi e granai, fienili, stalle e lavanderie, forni e cantine, taverna, spezieria e perfino fonderia per le campane.
Quattro le unità fondamentali che non potevano mancare nelle certose e ne formavano il cuore: la chiesa, il chiostro grande, il chiostro piccolo e le celle per i monaci. Il complesso di questi edifici, poi, recitava la sua perfezione con la sala capitolare, la sacrestia, il dormitorio dei conversi, la cucina, il refettorio e la biblioteca.
Caratteristica immancabile dell’architettura certosina è la presenza di due chiostri dove uno, di dimensioni ridotte, era allocato spesso a ridosso della chiesa o lungo uno dei muri longitudinali della stessa o lungo il muro esterno dell’abside e l’altro, denominato chiostro grande, si apriva sulle celle dei monaci.
L’insieme degli ambienti si componeva armoniosamente in una planimetria generale il cui asse è rappresentato dalla chiesa. Un muro di cinta abbracciava sempre il monastero certosino e fungeva sia a proteggere la solitudine dei monaci sia ad impedire l’accesso ad animali selvatici.
E se la storia di un convento è costruita su giorni tutti uguali scanditi dal lavoro e della preghiera un’ attività di rilievo era svolta in Biblioteca : ivi la regola prescriveva un tempo riservato allo studio. Ai copisti dobbiamo la conservazione e la trascrizione dei testi antichi che, altrimenti, sarebbero andati perduti.
La cura dedicata ai libri ha permesso, ai secoli successivi, di avvalersi di un patrimonio accumulato, con pazienza, come un tesoro.
Per regola i monaci erano orientati maggiormente verso queste attività rispetto alla ricerca vera e propria anche perché non veniva certo incoraggiato un tentativo di raggiungere verità differenti da quelle accettate canonicamente.
“Da sapienti occasionem et addetur ei sapientam” si legge ancora sul portale della biblioteca con riferimento evidente alla ‘sapienza’ come conoscenza acritica dei testi consigliati.
Nella biblioteca certosina migliaia di volumi alimentavano la meditazione e la conoscenza dei monaci. Tra i diversi cartigli posti in cima agli antichi scaffali si legge la dicitura ‘libri prohibiti’. (3)
Va detto che nel 1542 tali erano le opere di Erasmo nonché lo studio del greco e dell’ebraico. La cultura, evidentemente, non veniva considerata secondo la nostra accezione, cioè quale messa in relazione di testi diversi e differenti concezioni.
Dall’aspetto la biblioteca potrebbe essere scambiata per una sala adibita alle feste, viste la settecentesca tela del soffitto, con scene allegoriche firmate da Giovanni Oliviero, e la vivacità cromatica delle maioliche del pavimento, una esplosione di calore per tonalità e decorazioni luminose.
Con buona probabilità l’ambiente ha subito trasformazioni nel tempo come sembra alludere anche la scala elicoidale di trentotto gradini che consente l’accesso alla biblioteca, creata tutta in pietra e realizzata nella seconda metà del ‘400.
L’opera struttura nasconde un significato preciso come, d’altro canto, ogni scelta operata nella costruzione del cenobio: avvolgendosi su se stessa la chiocciola tende all’ infinito e, perciò, lo rappresenta in modo mirabile.
Inoltre il processo di appropriazione della conoscenza non si conclude mai : un testo rimanda all’altro e, partendo da un punto, si riesce a “guardare” attorno per 360 gradi.
La cultura, insomma, si costruisce per gradi o per cerchi che dir si voglia: ad un cerchio se ne aggiunge un altro fino all’ infinito.
L’elicoidale della scala chiocciola, nella sua mirabile architettura, rappresenta tutto questo con una struttura che si dipana dalla base spingendosi in alto, fino alla biblioteca, e raggiungendola senza sostegni che ne assicurino la staticità.
Nell’architettura della Certosa di Padula lo scalone a doppia rampa che conclude, con una affascinante scenografia, l’architettura del monastero è un “unicum”: quando venne costruito , alla fine del ‘700, il cenobio era all’apice della fortuna.
“…La comunità certosina , che in teoria doveva costituire una piccola società autonoma, finiva con l’incidere fortemente sul territorio e sulla sua economia….Nel Vallo di Diano, zona prevalentemente agricola , la Certosa fu un punto di raccolta di manodopera qualificata e di lavoratori salariati…”
Divenuta centro polifunzionale , l’ex struttura monastica di Padula , conserva molti altri monili quali il “parvulum claustrum ante ecclesiam” , ribattezzato chiostro della foresteria, la facciata della cappella di S.Lorenzo, due cori cinquecenteschi intarsiati mirabilmente, la porta della chiesa in cedro del Libano cesellata di figure e lettere gotiche, la porta di S.Anna, quattro cappelle e ancora la cucina con il camino mastodontico, le cantine con gli imponenti torchi di quercia, la sala del tesoro, la sala capitolare, la cappella del fondatore. Incastonati l’uno accanto all’altro essi compongono un diadema, offrendo al visitatore uno spaccato di storia e uno spazio vissuto all’ombra del silenzio e della preghiera.
NOTE
1 – la grancia è un granaio. Ma gli ordini monastici chiamano grance le loro fattorie.
2- al martire è dedicato il cenobio
3- nel ‘400 fu proibito lo studio approfondito del diritto, dell’astrologia e dell’alchimia
4- Un esempio su tutti è costituito dal maestro di medicina e di filosofia naturale all’università di Padova Pietro d’Abano (1257/1315) che fu processato e accusato dall’Inquisizione per eresia .In Italia fu tra i primi a far conoscere le dottrine del medico arabo Averroè