di Claudio Carlo Tanzarella
Il titolo potrebbe indurvi a pensarlo, ma questa che sto per raccontarvi non è una favola. Passeggiando per le strade di Bari, larghe come boulevards, e perdendovi tra i vicoli medievali della città vecchia lo sentireste ripetere come un mantra, finireste addirittura per respirarlo insieme alla brezza che accarezza il lungomare. Infine, vi convincereste della sua veridicità, ammirando i palazzi, così imponenti ed eleganti, dell’ottocentesco quartiere murattiano: “Se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari!”. Così recita un detto popolare, tanto amato dai baresi, denotando le mal celate aspirazioni di grandezza, di cosmopolitismo e, perché no, d’intraprendenza di una comunità tutta stretta attorno al suo santo taumaturgo, Nicola, il vescovo di Myra. Eccolo il mantra rivelatore del geniusloci che tutto pervade! Da questo luogo di frontiera, incrocio di rotte, di cammini, di pellegrinaggi, di invasioni, di mescolati popoli, dominati e dominatori, sono scaturite importanti tradizioni culinarie di terra, come le orecchiette e cime di rape, la mitica focaccia barese e il panzerotto, miste, mare e monti, come riso patate e cozze, e soprattutto solo di mare, come il pesce e i molluschi mangiati crudi(ricci, cozze, polpi e alici), appena sbarcati a terra.
Già!… Il pesce crudo dei baresi, delizia del palato per gli autoctoni e poco salutare abitudine alimentare per gli schizzinosi e gli allogeni, non normanno-svevi, ma dovrei dire anche non illiri, non peucezi, non greci, non romani, non ostrogoti, non bizantini, non longobardi, non saraceni, non angioini, non aragonesi, non spagnoli, non asburgici, non borbonici e non francesi…tutti i popoli cioè che hanno lasciato una traccia nel capoluogo pugliese. Sarà forse per questo che si dice che a Bari nessuno è straniero?
Bene, questo sushi ante litteram si consuma al mercato del pesce di “n’ derr’ a la lanz”, situato sul Molo di San Nicola, da tempo immemore, prima di tutte le mode e di tutte le tendenze. Il mercato prende il nome, secondo quanto riferiscono i pescatori locali, dall’usanza dei baresi di andare a comprare il pesce appena scaricato a terra dal gozzo, la tipica barca da pesca in legno, in dialetto la “lanz” appunto (ed io, come un milanese qualunque, che pensavo fosse il nome baresizzato del Lungomare Araldo Di Crollalanza, che si percorre per accedere al mercato!).
Ma se fosse Bari a non avere il mare, cosi’ come non ce l’ha Parigi? Cosa ne sarebbe di Bari e della baresità? Senza il mare e il lungomare che abbracciano la città per chilometri e chilometri, dal quartiere di Fesca-San Girolamo a nord alla frazione di Torre a Mare a sud? Senza l’amico maestrale che con aerosol di iodio e salsedine ossigena e rischiara il cielo, spinge a partire e a conquistar l’orizzonte? E senza il greco-levante che odora di oriente e di ritorni, di incontri e di commerci, di naufragi e di tracolli finanziari, di fede e di religione, di guerre e di migrazioni?
Beh non so proprio cosa ne sarebbe. Non so se Bari, orfana del suo “serenissimo mar”, assomiglierebbe ancor di più ad “una Torino adolescente”, come la descrisse, l’allora giovanissimo Pier Paolo Pasolini, non ancora scrittore affermato, nel suo breve racconto “Le due Bari”. Era l’inverno del 1951 e Pasolini, di passaggio da queste parti per quello che avrebbe dovuto essere un più ampio reportage sul Sud, da Caserta al Salento, scriveva: “Senti il mare, il mare, in fondo agli incroci delle strade perpendicolari di questa Torino adolescente: un mare generoso, un dono, non sai se di bellezza o di ricchezza. Davanti al lungomare (splendido), sotto l’orizzonte purissimo, una folla di piccole barche (n.d.r.i gozzi, le lanz) piene di ragazzi […] si lascia dondolare nel tepore della maretta. […] I baresi si divertono a vivere […]. C’è aria di festa. Nelle grandi strade, che sembrano boulevards o avenidas, senti sospesa l’euforia del progresso di questa città […]. E l’allegria dei baresi è seria, sicura e salubre […]. Qui tutto è chiaro: anche la città vecchia,dalla Chiesa di San Nicola al Castello Svevo, pare perennemente pulita e purificata, se non sempre dall’acqua, dalla luce stupenda.”
Ecco quindi che l’acqua e la luce hanno plasmato il carattere dei baresi, disponendoli al buon umore, alla gioia di vivere, all’accoglienza e anche alla temerarietà. Temerarietà che ebbero 62 marinaie mercanti i quali, a bordo di tre caravelle, riuscirono nell’impresa di portare a Bari, per risollevarla dalla crisi politica ed economica in cui versava, le reliquie di San Nicola o come quella di cui erano armati quei giovani baresi che il 9 settembre del 1943, opponendo una fiera resistenza, a colpi di pietre e bombe a mano, impedirono alle truppe tedesche di minare e distruggere il porto e le costrinsero, infine, alla fuga.
Di quelle imprese rimangono allora non solo la memoria, ma anche testimonianze concrete. Le reliquie di San Nicola e la sua stupenda basilica, fulgido esempio di romanico pugliese, eretta sul preesistente Palazzo del Catapano bizantino. Il porto appunto, il cuore pulsante di Bari, ponte di collegamento ideale e di traffici con il Levante,bizantino, ottomano, slavo e arabo, oggi scalo commerciale e turistico tra i piu’ importanti del Mediterraneo.
La caravella con le vele spiegate e quello che essa, quale logo stilizzato,oggi rappresenta, ossia la Fiera del Levante, quasi un secolo di storia e una mission: portare la Bari mercantile nel mondo e il mondo degli affari, soprattutto quello del Sud Est del bacino mediterraneo, a Bari.
Una fiera che,sin dalla sua prima edizione, ha sempre contribuito a sprovincializzare la città e a rafforzare il wolksgeist dei baresi, la loro apertura al mondo e alle altre culture, qualora ve ne fosse ancora bisogno.E rimangono le due Bari, di pasoliniana memoria. L’una che sogna in grande e si proietta nel futuro (quella della borghesia mercantile e marinaresca), l’altra pragmatica e fiera (quella della giovane resistenza barese) che scende in strada per difendere la propria città e le proprie case dai nazisti. Queste due Bari, separate al mattino, una sulla caravella, l’altrasul gozzo, forse s’incontrano alla sera a teatro, il Petruzzelli, in Corso “Càvur” (secondo la pronuncia locale e non Cavour),o il Piccinni, in Corso Vittorio Emanuele. Ma più probabilmente si ritrovano a cena, nei vicoli della città vecchia, sorseggiando una Peroni ghiacciata, galeotta una madiain legno, lo strumento da lavoro sul quale, dall’arte di mani sapienti, nascono non solo le mitiche orecchiette, ma anche focacce oppure panzerotti, farciti di pomodoro e mozzarella o rape stufate,da friggere in bollente olio extravergine di oliva.
Queste semplici e genuine prelibatezze della tradizione sospingono a gonfie vele la simpatica, ma agguerrita caravella della baresità nel mare tempestoso della globalizzazione. E non è un caso se,tra il 2001 e il 2002, il primo McDonald’s aperto in provincia, ad Altamura, ha dovuto soccombere, a pochi mesi dall’apertura, sotto i colpi ben assestati a suon di focaccia di un panificio locale. La storia,prima balzata agli onori della cronaca, è diventata ormai leggenda grazie al cult movie “Focaccia Blues” del 2009, docufiction del regista barese Nico Cirasola, con la partecipazione di alcuni pugliesi doc come Renzo Arbore, Lino Banfi e Michele Placido.Come non è nemmeno un caso che sua maestà il panzerotto stia conquistando prestigiose piazze di mezza Europa, da Milano a Barcellona, da Londra a Madrid, con grande soddisfazione degli artefici di queste operazioni, ancora una volta…dei temerari.
Attenti quindi. Se le reminiscenze di geometria euclidea suggeriscono che per tre punti passa un piano ed uno solo, potrebbe anche esser vero allora che per un gozzo, una madia e una caravella passi una Bari sola, ma è più verosimile però che ne passino due…e forse la seconda è Parigi! Perché a Bari nessuno è straniero, nemmeno un teorema un poco troppo avventuriero!