Si è spento a 92 anni il filosofo della ‘società liquida’. E’ morto Zygmunt Bauman, uno degli illustri saggi del ‘900. Nato a Poznan nel 1925, di origine ebraica, teorico della ‘società liquida’, Bauman si rifugiò in Urss dopo l’invasione nazista; tornato a Varsavia, si è poi trasferito in Gran Bretagna, dove ha insegnato sociologia a Leeds (dal 1971 al 1990). Di formazione marxista, ha studiato il rapporto tra modernità e totalitarismo, con particolare riferimento alla Shoah (Modernità e Olocausto, edito dal Mulino) e al passaggio dalla cultura moderna a quella postmoderna (Modernità liquida, Laterza).
Tra le opere successive tradotte in italiano, Amore liquido – Sulla fragilità dei legami affettivi (Laterza); Vita liquida (Laterza); La solitudine del cittadino globale (Feltrinelli); La società dell’incertezza (Il Mulino); Stato di crisi (Einaudi); Per tutti i gusti – La cultura nell’età dei consumi (Laterza); Stranieri alle porte (Laterza).
L’INCONTRO CON PAPA FRANCESCO – Lo scorso mese di settembre, è stato tra gli ospiti dell’incontro interreligioso per la pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e dai frati di Assisi. E’ stato tra coloro che erano seduti a tavola con il Papa, nel corso di quell’evento, nel cosiddetto ‘pranzo di pace’.
Ad Assisi Bauman parlò della necessità del “dialogo” come la via per l’integrazione tra i popoli. Citò, nel suo intervento alla sessione inaugurale, tre consigli dello stesso Papa: “una cultura del dialogo” e “l’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro”; in terzo luogo – ricordò il sociologo – “Papa Francesco dice che questo dialogo deve esser al centro dell’educazione nelle nostre scuole, per dare strumenti per risolvere conflitti in maniera diversa da come siamo abituati a fare”.
Bauman ha partecipato a diversi incontri ispirati al cosiddetto ‘Spirito d’Assisi’ e organizzati da Sant’Egidio, tra i quali quello di Anversa nel 2014.
Discorso sulla felicità – da You Tube
BAUMAN AL FESTIVAL DELLA FILOSOFIA – “Da una parte c’è la gloria, con la sua luce eterna, all’altro estremo la celebrità, contingente e data dalla visibilità, e in mezzo potremmo mettere la serietà della fama, spiegò Zygmunt Bauman, con una lezione magistrale al secondo giorno del Festival Filosofia, intitolato proprio alla Gloria, aggiungendo come ”le celebrità oggi ci siano utili, si adattino perfettamente alle esigenze della gente e rispondano a quel bisogno di comunità che è una conseguenza della liquefazione dei legami tra le persone nell’epoca della crisi dell’individuo”.
Per il sociologo polacco, nella società dei consumi il bisogno di intrattenimento viene creato artificiosamente e tenuto in una situazione di parziale insoddisfazione permanente e il culto delle celebrità crea l’aspettativa di soddisfazione di un bisogno comunitario, attraverso appunto il suo consumo: ”Ciò consiste nel rendere divertenti i sostituti di comunità proposti, corredando e nobilitando al contempo l’intrattenimento con l’aura di un’esperienza comunitaria’.
Un tempo la gloria era staccata dalla vita quotidiana delle persone, era altro ed eccezione, oggi entra a far parte della nostra vita di tutti i giorni. Intanto le celebrità hanno comportamenti ben diversi dagli eroi di un tempo: fanno sbagli, si drogano, hanno amori sbagliati, esibiscono vestiti e oggetti, rendendosi comprensibili e più vicini alle persone a un processo di identificazione, proponendo un esempio di ciò che sia possibile fare della propria vita. Sono l’appiglio cui cercar di legare in qualche modo un’ancora date le condizioni fluide in cui viviamo. Un tempo la comunità sociale per Bauman era il luogo che dava forza, alimentava atteggiamenti autodifensivi e di controllo, ora la comunità dei social network non garantisce più nulla di tutto ciò e crea legami virtuali, sostitutivi e fragili.
Abbiamo paure delle nostre responsabilità, ci sentiamo penalizzati per ogni errore, viviamo con incertezza ogni scelta. Ed è qui che le celebrità funzionano, come loro seguaci ci sentiamo parte di un gruppo, agiamo assieme a tanti altri, che se son tanti vuol dire che si è nel giusto e quindi si può dimenticare l’idea, la paura dell’errore”.
Questo ricordandoci sempre che ”la celebrità, oggi non necessariamente legata a un successo reale (sono persone conosciute perché si riconosce che sono conosciute), è legata alla notorietà, ma senza trascendere la brevità della vita umana, è di consumo immediato, come un caffè solubile”.
E Bauman come gestisce la propria celebrità? ”Il problema è che la gente confonde popolarità con importanza. Io, per esempio, ho qualcuno che mi riconosce per strada e quindi rappresento ormai qualcosa, ma in genere per persone che non sano chi sono e non hanno mai letto un mio libro. E la cosa deve farci riflettere in generale”.
L’identità al tempo di Facebook – da You Tube
Sull’amore ai tempi di Facebook – “Mark Zuckerberg ha capitalizzato 50 miliardi di dollari puntando sulla nostra paura di essere soli, ed ecco Facebook: mai nella storia umana c’è stata così tanta comunicazione, la quale però non sfocia nel dialogo, che resta oggi la sfida culturale più importante”. Era il pensiero del filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, giunto a Lignano Sabbiadoro per ricevere il Premio Hemingway 2014, conferitogli per ”L’avventura del pensiero”.
”Usando Facebook o Twitter mi metto in una cassa di risonanza – spiegò – dove mi aspetto che tutti mi diano ragione. E’ una sorta di stanza degli specchi in cui non ci si confronta, non ci si espone realmente al dialogo che, invece – ha precisato – presuppone che io voglia espormi a qualcuno che la pensa in modo diverso, correndo anche il rischio di avere torto”. Il filosofo e sociologo che ha analizzato la post-modernità e teorizzato la ”società liquida”, ha indicato che invece “un esempio di vero dialogo lo ha dato Papa Francesco nella sua prima intervista: ha cercato il dialogo, avendo deciso di confrontarsi con Eugenio Scalfari, giornalista italiano noto per essere dichiaratamente ateo”.
Bauman: ‘Come cambia l’amore ai tempi di Facebook’ – da You Tube
Bauman era poi intervenuto sulla Grande Guerra, alla vigilia dell’anniversario. “Per evitare nuovi conflitti occorre impegnarsi per imparare l’arte del dialogo, l’unica che può aiutarci ad abbattere i nuovi muri costruiti dopo la caduta del muro di Berlino. Ma dialogare – ha ribadito – vuol dire parlare con qualcuno che ha opinioni diverse, e a volte che aborriamo. Una sfida comunque obbligatoria, visto che viviamo in un mondo interdipendente dove non possiamo evitare di confrontarci con gli altri”.
Su informazione e immigrati – ”Siamo di fronte ad una nebbia informativa, una cortina impenetrabile di notizie ed informazioni in eccesso che non ci permette di sapere cosa c’e’ oltre. Siamo in una modernita’ di bambagia che ci impedisce di fare cio’ che vogliamo, che sviluppa in noi un senso di ignoranza, di inadeguatezza e di frustrazione, e che provoca uno stato di impotenza e di instabilita”’: così aveva parlato Bauman nel 2011 al Festival della Mente, di Sarzana. ”In questo contesto di precarieta’ e di legami che si dissolvono, sta crescendo la necessita’ di qualcosa di solido – aveva spiegato – che puo’ essere ricercato nella comunita”’. Sarebbe proprio questo desiderio la ragione del successo dei social network: ”E’ un mondo dove c’e’ la necessita’ di partecipazione ma al tempo stesso c’e’ il desiderio di autonomia” da parte di chi frequenta il social network, ”dove c’e’ la necessita’ di crearsi un’identita’ e di ottenere un riconoscimento”. Piu’ in generale Bauman sosteneva: ”siamo in una fase di interregno, di passaggio, dove tutto e’ ancora incerto. Stiamo assistendo a un divorzio tra le istituzioni pubbliche, che non sono piu’ in grado di offrire certezze, e il cittadino, che si e’ accorto di queste mancanza e quindi protesta”. Bauman parlò di ”un divorzio tra il potere e la politica”, due settori ”che fino a sessanta anni fa, invece, coincidevano, e che oggi si sono divisi”. ”Il potere e’ emigrato – ha spiegato – ed e’ al di fuori della portata di qualunque nazione, compreso gli Stati Uniti che sono un ex impero e una ex potenza mondiale”. In questo cambiamento planetario, Bauman vedeva di buon occhio ”i movimenti popolari arabi, perche’ formati da persone intelligenti che hanno capito che lo stato nazionale non poteva piu’ garantire loro alcuna certezza e sono scesi in piazza con la volonta’ di creare nuove forme di potere politico”.
Previsione evidentemente controversa, accompagnata dal suo pensiero su Europa e immigrazione: ”Se l’Europa non accogliera’ nei prossimi trent’anni almeno altri 30 milioni di immigrati – aveva detto sempre nel 2011 -, il vecchio continente andra’ incontro a un calo demografico che provochera’ il crollo della civilta’ europea”. L’autore di ‘Vita liquida’ e ‘La solitudine del cittadino globale’ era intervenuto anche sulle paure legate all’immigrazione: ”La politica di destra e di centro alimenta l’illusione che si possa tornare alla situazione di prima eliminando l’immigrazione. Con queste promesse si vincono le elezioni ma anche i politici sanno che sono promesse vane, perche’ il capitale industriale richiede sempre piu’ immigrazione”. Infine una previsione sula crisi globale: ”Non sono un profeta – aveva detto intervenendo a Pordenonelegge -, ma e’ un dato di fatto che sempre piu’ persone cercano forme nuove. Dalla Tunisia alla Spagna, dall’Egitto alla Grecia e perfino a New York, scendono in piazza per dire no. E’ un fenomeno inedito del quale non sappiamo ancora se avra’ la forza di una proposta’.
La paura di oggi? Per l’autore di La paura liquida è quella di ‘non esser notati e si confonde la vita su Facebook con quella vera’. Bauman lo aveva detto pochi mesi fa a Firenze intervenendo al Festival delle
Generazioni. “Ogni volta che si usa il cellulare – aveva detto – quell’azion viene registrata per sempre, c’e’ qualcuno da qualche parte ch sa esattamente dove vi trovate, sa chi siete, dove siete. E l stessa cosa avviene quando si usano le carte di credito. C’e qualcuno che segue le vostre attivita’ quotidiane e quest diventa di enorme interesse a livello di potere politico e economico. Zuckenberg guadagna soldi proprio grazie a queste situazioni. Ma a differenza del protagonista orwelliano, ogginon abbiamo paura di esser visti troppo, abbiamo paura di no essere notati, abbiamo paura della solitudine, il virus che min e compromette il senso della vita e’ l’esclusione e l’abbandono. E su questo traggono vantaggio i social network”. (Fonte: Ansa)