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Parma perde un poeta di legge e vita: addio a Gian Carlo Artoni

Lunedì notte alle tre è morto, all’età di 93 anni, l’avvocato Gian Carlo Artoni, l’ultimo sopravvissuto di una stagione di letterati parmigiani di altissimo livello: da Attilio Bertolucci a Pietro Bianchi, Da Gian Carlo Conti a Giorgio Cusatelli.

Artoni era un uomo multiforme. E’ stato per decenni presidente dell’ordine degli avvocati di Parma (ed ancora era presidente onorario), a lungo capogruppo del partito liberale italiano in consiglio comunale, presidente dell’Enpa, cofondatore della rivista Palatina e del Raccoglitore. Pochi giorni fa è stato pubblicato il suo più recente libro di poesie: L’ultima torpediniera.

Luigi Alfieri, giornalista, scrittore, cofondatore del Movimento “Parma non ha paura” e candidato sindaco con la lista civica “Alfieri per Parma”, soprattutto amico fraterno di Artoni, lo ricorda così nella prefazione della raccolta “La Luna Bianca”:

“Un giorno, qualcuno, non ricordo bene chi, penso un poeta del Vicino Oriente, ha scritto: non importa se il vento della vita cambia direzione, importante è che le tue vele siano pronte a raccoglierlo e lui ti condurrà in porti sicuri. Quando il suo vento cambiò, le vele di Gian Carlo Artoni, dell’avvocato Gian Carlo Artoni, erano ben disposte a raccogliere la spinta dell’aria, a navigare in modo nuovo nella vita reale e nei campi infiniti ed eterni della poesia. Era la primavera del 2014, un dolce aprile. Aveva novantuno anni. La straordinaria vigoria del suo corpo andava scemando, subdoli batteri insidiavano i suoi polmoni, causandogli noie alla respirazione; le lunghe camminate per le strade umide della città, le fatiche dello studio legale, si facevano pericolose e, soprattutto, la malattia stava minando in modo irreversibile la salute della sua amatissima compagna di sempre, Ninì dagli occhi azzurri.

Era giunto il momento di dire addio a codici e pandette, di ritirarsi al terzo piano di un bel palazzo liberty nel cuore della città, avvolto nella bellezza delle cose di casa, tra i quadri collezionati per una vita, tra vetri e cristalli raccolti in giro per i mercatini d’Europa. A Parigi, a Nizza a Bruxelles. Tra la magica finestra che guarda verso la cupola della Steccata, soffice e leggera come lo zucchero filato, o quella che rivela le linee austere, rigide e un po’ malate della Pilotta. Tra i libri dalle copertine antiche, plasmate dal piombo, tra le fotografie coi volti familiari mai perduti fino in fondo. Ma non era giunto il momento di rinunciare a una vita creativa, di arrendersi alla tosse, all’insonnia, all’ansia e al dolore. Ai silenzi enigmatici di Ninì. Non era giunto il momento di rinunciare all’energia del vento. Era invece il momento di riaprire, dopo cinquant’anni che se ne stava chiusa in un armadio, ma mai dimenticata, la valigia del poeta che fu. Dell’artista amico dei grandi del Novecento, pubblicato sullo Specchio, vincitore del Libera stampa, portabandiera dell’Officina parmigiana, i cui lavori erano recensiti e pubblicati dalle migliori riviste del periodo d’oro della letteratura italiana.

Era il momento di riscoprire la potenza della parola, la dolcezza del suo suono, la magia creativa dell’evocazione. “E’ questa la stagione per riprendere il mare, per seguire il canto tormentoso di sirene sfinite nell’attesa. Per salpare con le vele spiegate, alla ricerca di un ignoto perché”. Con questi versi, nel dolce aprile, si è consumato l’addio al foro e il ritorno alla consolazione della poesia di Gian Carlo Artoni. Ha preso avvio la stesura di un diario intimo e pubblico al tempo stesso che ha sfornato, con cadenza quasi quotidiana, sempre nuove rime, in stili e con linguaggi sempre in evoluzione. Sono nati due libri – Il serpente Piumato e La luna bianca – che meravigliano per la loro freschezza giovanile, lo slancio vitale, l’alternarsi di dubbi e certezze, inquietudine e serenità.

I versi sono diventati la medicina per combattere l’insonnia, l’ansia, il dolore per la sofferenza della persona più amata. I versi… E l’amicizia. Al terzo piano di quel palazzo liberty, sono stati accolti i giovani poeti, i poeti ritrovati, come l’adriatico Giuseppe Piersigilli, letterati nuovi e alcuni antichi, e un ridotto manipolo di sodali di una vita. In loro resterà per sempre indelebile il piacere di ascoltare Artoni leggere gli ultimi versi composti nella notte appena chiusa, di vederlo mentre, a fatica, decritta i segni deposti tra i quadretti del foglio bianco in una calligrafia misteriosa e quasi indecifrabile per lo stesso autore, il quale aspetta sempre un po’ ansioso il giudizio dell’ascoltatore, per avere conferma delle sue impressioni, a dire il vero infallibili (è capitato a diversi fogli di essere appallottolati e buttati per sempre tra i rifiuti). Il piacere di sentirlo mentre racconta come Pier Paolo Pasolini gli inviava le sue prime, timide, composizioni in lingua friulana; come Carlo Emilio Gadda fosse austero, fermo, gentile e generoso, quando veniva a Parma per il premio Colombi Guidotti; come Mino Maccari, uno dei suoi fari, sapesse essere corrosivo, tagliente, dolce, esplosivo, sempre geniale, nei loro incontri; come Beppe Fenoglio gli raccontava il suo viaggio verso la morte, per lettera; come Leonardo Sciascia divenne suo amico, dopo avergli conteso il premio “Libera stampa”; quanto grandi fossero i suoi insegnanti al liceo Maria Luigia, uomini che portano nomi come Attilio Bertolucci, Aldo Borlenghi, Francesco Squarcia, Cecropino Barilli, don Giuseppe Cavalli. Quanto fossero sapide le ore di Tellaro con Maurizio Alpi e Mario Soldati, persi tra il gorgoglio del mare e il profumo dello iodio; come fosse divertente ascoltare le avventure del pittore Latino Barilli con la Leoparda, amante calda e terribile. Sentire dell’abilità grafica di Carlo Mattioli, che ha disegnato per Artoni copertine inimitabili, o dell’introversa timidezza di Gogliardo Padova, che aveva abbandonato per sempre il pennello e fu riportato all’arte dall’insistenza degli amici.

Mentre la cupola della Steccata si tinge di rosa, colpita dai raggi del sole morente, magari, l’ex avvocato, l’ex politico, il poeta, si lascia andare al racconto di come fosse bella e dolce e forte la Parma del secondo dopoguerra, popolata di uomini straordinari, di letterati, di coraggiosi capitani d’industria, di politici appassionati, di gente vera, e di come lo deluda la città di oggi che stenta a ritrovare l’antico vigore, l’illuminazione di figure guida dello stampo di Pietro Barilla, l’orgoglio di un passato grande.

Né si può dimenticare Gian Carlo che racconta come un ex collega – con stupida perfidia, forse inconsapevole – gli abbia buttato nella spazzatura il suo straordinario carteggio con i poeti, i critici, gli studiosi, che hanno costruito il secondo Novecento Italiano. O come un altro uomo del foro, sempre suo rivale nelle aule del tribunale in un duello lungo e mai interrotto, ma sempre leale, Luciano Petronio, lo abbia onorato in un discorso sincero, forte e commovente, tenuto all’ordine professionale: “Gian Carlo Artoni, oggi tornato soprattutto alla poesia, mi ha regalato, oltre al piacere della lettura dei suoi atti, per la bellezza, chiarezza e incisività della sua prosa, molte lezioni su come si fa l’avvocato”. Non si può dimenticare la sua emozione quando descrive l’amore per il mare, per le lunghe apnee, per la bellezza di quei paesaggi subacquei, più colorati e misteriosi di quelli di terraferma.

Mentre la Pilotta si fa più grigia, fino a perdersi nel buio, dal passato riemergono i boschi di collina, i pioppeti padani, le betulle, i fiordalisi, i non ti scordar di me, le viole, le farfalle, il fiume, i colori dei cieli, le donne in amore, le lune ora bianche, ora rosse, ora d’argento, i roveti, le more. I profumi dell’infanzia, la tenerezza del padre perduto troppo presto. La grande villa di famiglia sul viale alla francese. Il rimpianto degli amici che non ci sono più, il dolore provocato da quelli che hanno tradito.

E nella notte tutto questo discorrere, ricordare, rivivere, gioire, soffrire diventerà poesia. Sono i versi di questo libro. I versi portati dal vento nuovo”.

Paolo Briganti, poeta, docente universitario molto noto, amico stretto di Artoni, nel 2015, curandone e presentandone, insieme a Luigi Alfieri l’ultima opera letteraria, “La luna bianca”, così scrisse a proposito della morte: “La morte che s’aggira sempre nei dipressi degli uomini, non vista ma incombente, tesse incessantemente le proprie insidie”.

E l’ultima insidia, si è portata via Gian Carlo Artoni.

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