“È dell’artista il fin la meraviglia, chi non sa far stupir vada a la striglia”.
Parafrasando il poeta Giovanbattista Marino, ecco la sintesi del manifesto programmatico dell’arte barocca. Con esso sontuosità, enfasi e teatralità colorarono un’epoca, irradiando ovunque la loro scintillante potenza.
Un momento artistico è rilevabile anche da dettagli. E Salerno non può certo dirsene sprovvista: le case palazziate, le nobili residenze cittadine o rustiche furono dotate di tali fregi e ornamenti che l’ingiuria del tempo e degli uomini non è riuscita a strappare del tutto ai nostri occhi contemporanei.
Siamo in un “habitat” mediterraneo per colori e materiali.
A Salerno la pietra è una discreta padrona di casa nei portali e nei vicoli, eretta in alto o calpestata come selciato. Elemento familiare. Per accertarsene basta percorrere il centro storico con uno sguardo accorto, sena la fretta di una quotidianità concitata.
Si potrebbe scrivere una storia dei mascheroni che impreziosiscono la città, usati come bocche d’acqua, ornamento, oppure spegnimoccolo o in funzione apotropaica.
Ne esibisce uno il largo S.Tommaso d’Aquino, laddove si affaccia la bella chiesa di San Domenico con le sue lesene e i suoi capitelli.
Non ha una espressione rassicurante quel volto. Il motivo è semplice: i mascheroni, allocati agli spigoli per giunta, avevano funzione apotropaica, ossia di allontanare gli spiriti maligni.
Palazzo Ruggi d ‘Aragona è tra le residenze cittadine più dotate di tali fregi.
La fontana di Nettuno del suo cortile esibisce l’ultima testimonianza dei volti in pietra di Salerno.
Salendo,poi, le scale della nobile dimora, ci si imbatte in manufatti che grondano storia, che incuriosiscono. Subito, sulla sinistra, si è accolti da una maschera di stucco con funzione di “spegnimoccolo”, incassata a metà nel muro. In questo caso l’artigiano ha addolcito le fattezze. Tuttavia si indovina ugualmente sia il becco caprino sia il corno centrale.
Stessa funzione l’ebbe un altro mascherone al piano superiore dello stesso Palazzo.
Ai lati di una delle finestre riposa, dopo secoli d’uso, un volto di pietra in forma ovale.
A giudicare dall’aspetto deve aver lavorato e molto.
Questi dettagli in pietra non sono certo monopolio solo di Palazzo Ruggi d’Aragona. Un altro seducente esempio di architettura barocca lo si incontra sulla storica via Trotula de Ruggiero. E’ imponente la struttura di Palazzo Copeta e parla da sola, senza bisogno di tante indicazioni. Per inciso, fu scelta per ospitare l’antica Pretura della città. L’entrata della nobile dimora, settecentesca, esibisce una bella fontana. La sua struttura e le sue decorazioni sono impostate sul contrasto architettonico, volto a risaltare lo stile del barocco napoletano dell’epoca. Secondo gli studiosi fu l’ultima sede della Scuola medica salernitana e venne chiusa da Gioacchino Murat nel 1811.
Le dimore nobiliari di Salerno esibiscono vari mascheroni in funzione di spegnimoccolo, a dimostrazione di un’epoca e di un’attenzione, oggi scomparsa, per i dettagli.
Un esempio su tutte è costituito da Palazzo D’Avossa in via Botteghelle, ora sede della Soprintendenza ai B.A.A.S. Il carattere seicentesco della residenza è evidente. Meno lo sono i mascheroni spegnimoccolo allocati nei piani intermedi delle scale. Il loro interesse riposa nel richiamo a modelli tardomanieristici di stampo fiorentino.
Poco distante da Palazzo Ruggi d’ Aragona, sul vicolo Lavina, si affaccia una magnifica maschera dallo stile vagamente rococò. Per ospitarla è stato addirittura tagliato l’angolo.
Il volto presenta i caratteri rudi del caprone, vista la larga sforbiciatura dei baffi/barba, ma essi addolciti da motivi floreali modellati su fronte, guance e mento.
Un altro bell’esempio di mascherone lo esibisce un cantonale di palazzo che si erge in via Sedile di Porta Nova. Allocato a circa quattro metri di altezza, questo volto settecentesco ebbe una chiara funzione apotropaica, visto il naso schiacciato e il corno frontale.
E’ una cura per il dettaglio che fa riflettere noi, uomini del Terzo millennio abituati a spegnere le sigarette sotto i piedi. Un futuro archeologo troverà le nostre cicche consunte a migliaia, disseminate fra aiuole e marciapiedi e si farà una idea precisa di questa che amiamo chiamare era tecnologica.