di Rossella Assanti
Lo stereotipo per gli Occidentali della donna musulmana è quello di una figura coperta da un velo, gli occhi bassi, soggiogata, sottomessa all’uomo, priva di ogni diritto e incapace di far valere la sua libertà.
Quello che gli Occidentali sanno è vero solo a metà. L’80% delle donne del mondo arabo non sono libere. La stessa percentuale delle donne musulmane sono emancipate e rispettate. La differenza è in una sola parola: tradizione.
Ad opprimere la donna nei paesi arabi non è l’Islam, bensì è un fattore culturale ad entrare in gioco, tradizioni che vengono anteposte e mescolate alla religione.
In Italia, ad opprimerla, sono gli sguardi che cadono sull’hijab (velo che copre il capo delle donne ndr), i posti di lavoro che non vengono dati a chi non è disposto a toglierlo, l’assenza di un’assistenza medica adeguata nei reparti di ginecologia, le accuse di terrorismo.
A raccontarci questo mondo di luci e ombre, di oppressioni e libertà e di ciò che si trova oltre l’hijab è proprio una donna musulmana: Assia Beladhj, mediatrice culturale e attivista per i diritti della donna musulmana nella società occidentale.
Ombre e falsi miti aleggiano sulla figura dell’Hijab. Cosa rappresenta realmente?
«Le donne musulmane sono tenute a coprire modestamente il loro corpo con i vestiti che non rivelano la loro figura di fronte a persone di sesso maschile con i quali non si abbiano stretti legami. Tuttavia, l’hijab simboleggia la modestia, e la condotta dignitosa. Il motivo principale per cui lo si indossa è perché è un comando da parte di Allah (Dio). L’hijab valorizza la donna sottolineandone la sua bellezza spirituale, interiore, piuttosto che il suo aspetto fisico. Le donne restano sempre e comunque libere di essere membri attivi della società. L’ hijab non simboleggia la soppressione, l’oppressione o il silenzio. Piuttosto, si tratta di una guardia contro osservazioni degradanti e ingiuste discriminazioni. Ci tengo a precisare che l’hijab copre solo l’aspetto esteriore di una donna e non il suo intelletto.»
Si può parlare di donne dell’Islam come sottomesse e prive di diritti?
«Assolutamente no. Donne e uomini, secondo il Corano, posseggono gli stessi diritti e le stesse responsabilità. La donna ha lo stesso diritto all’istruzione, lo stesso diritto a scegliere il proprio coniuge e alla separazione. Tra l’altro essa è chiamata ad essere presente nel campo perché sorella e compagna degli uomini. Nel corano viene chiesto alla donna di cercare la via della libertà inseguendo la luce della rivelazione divina. Un versetto di Allah rende perfettamente l’idea di come donne e uomini collaborino su ogni piano e di come l’uno sia indispensabile all’altro: “Essi sono una veste per voi e voi siete una veste per loro.” (Corano 2:187)
C’è una parola che in particolar modo viene sempre tradotta e interpretata malamente: قوامون (kawamun che significa responsabilità, protezione dell’uomo verso la donna e non “superiorità” o “prevalicazione” su di essa come spesso accade. Sono sottili differenze che fanno una grande differenza.
C’è bisogno di far uscire le donne dalle prigioni mentali e renderle libere di cercare i propri diritti in quanto esseri umani.»
Cosa accade, in Italia, alle donne velate che cercano lavoro?
«Spesso viene loro negato il diritto al lavoro. “Se vuoi lavorare, devi togliere il velo.” E’ quanto ci viene detto. L’Hijab è il nostro simbolo libertà, sia di indossarlo che non. E’ il nostro simbolo di amore verso Dio e verso noi stesse. Perché, quindi, chiedere di toglierlo?Tante sono le donne che sono costrette a non indossarlo pur di trovare un lavoro che serve a vivere. Vengono private di un pezzo della loro identità, per quale legge poi?
Cosa mi dici dell’assistenza pubblica per quanto riguarda il settore ginecologia?
«E’ un altro tasto dolente per noi donne musulmane e non solo. Chiediamo, già in sede di prenotazione, che ci venga assegnata una ginecologa di sesso femminile per comprensibili ragioni. Anche questo ci viene negato. Gli operatori ci rispondono che non abbiamo alcun diritto di richiedere l’assistenza ginecologica di una donna. In pronto soccorso mi è successo di essere stata invitata a tornare a casa se non volevo essere visitata da un uomo. Chiedo semplicemente che venga rispettata la cultura, la religione. Non è un capriccio. E’ un modo di vivere.»
Si dissolvono così le ombre, sotto le luci della verità. In Italia, le barriere che opprimono e limitano la libertà delle donne musulmane sono fatte di stereotipi errati, paure e guerre mediatiche. Nonostante il nostro Paese sia diventato l’alcova del multiculturalismo, il popolo italiano sembra non essere ancora pronto ad abbracciare e far parte di queste mille sfumature di culture, etnie e religioni.