Le intercettazioni restituiscono prova del fatto che Giovanni Paolo Bernini aveva promesso e in parte versato 50mila euro a Romolo Villirillo per ottenere il suo ausilio nella raccolta dei voti che lo avrebbero dovuto favorire nella competizione elettorale del 2007 a Parma. A riportarlo il Gup per il processo di Aemilia che si è tenuto questa mattina presso il Palazzo di Giustizia a Reggio Emilia.
“Voti raccolti da Villirillo, uno dei “capi” dell’associazione mafiosa, nell’ordine di grandezza di 200-300″. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza di Aemilia, nella parte in cui il gup Francesca Zavaglia si concentra sulla posizione dell’ex assessore del Pdl di Parma, prosciolto per prescrizione: l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa è stata qualificata in corruzione elettorale, reato per cui sono decorsi i termini di prescrizione.
Se da un lato c’è quanto emerso dalle intercettazioni, d’altro canto le stesse prove, scrive il giudice, “non offrono riscontro sufficiente del fatto che l’accordo contemplasse la possibilità di partecipare agli appalti comunali in via privilegiata rispetto ai concorrenti” né, “in ogni caso, che ciò sia poi effettivamente accaduto”. In assenza dunque di prova dell’esistenza di un contributo causalmente rilevante per il consolidamento ed operatività dell’associazione mafiosa, non è configurabile il concorso esterno.
Il giudice rileva inoltre come “sussista dubbio ragionevole della consapevolezza da parte di Bernini del ruolo di Villirillo (condannato a 12 anni e due mesi) nella congrega ‘ndranghetistica”. “Non pare azzardato sostenere che la fiducia riposta dal politico sulla capacità di Villirillo di reperire voti a suo favore” potesse trovare fondamento “nella sua ritenuta e ostentata capacità di fare da collettore” all’interno della comunità calabrese.
GIGLIO, IMPRENDITORE A DISPOSIZIONE DELLA ‘NDRANGHETA. Giuseppe Giglio è stato “un imprenditore colluso”, ancor prima, “forse, un imprenditore vittima, ma allo stato dell’indagine Aemilia è un imprenditore mafioso a completa disposizione del gruppo di ‘Ndrangheta emiliano di cui conosce e condivide il programma e al cui servizio ha posto in via esclusiva la propria capacità imprenditoriale e le proprie strutture. Molto di più di un rapporto occasionale di un imprenditore che, venuto suo malgrado a contatto con la mafia, ne trae illecitamente un guadagno”. Così il giudice Francesca Zavaglia “fotografa” il pentito dell’inchiesta di ‘Ndrangheta della Dda di Bologna, che negli scorsi mesi, a processo in corso, ha iniziato a collaborare con gli investigatori.
Il giudice lo ha condannato a 12 anni, concedendogli le attenuanti generiche, ma non l’attenuante speciale per i collaboratori di giustizia chiesta dal difensore, l’avvocato Luigi Li Gotti: “dai verbali prodotti dalla difesa si ha modo di apprezzare la scelta fatta, ma non si è in grado di valutare la decisività dell’apporto dichiarativo reso, in itinere all’atto della presente decisione”, scrive il gup.
Per il fratello Giulio Giglio, difeso dall’avvocato Fausto Bruzzese, la condanna è stata ben più lieve, quattro anni, a fronte di una richiesta della Procura di 15 anni e 8 mesi. “Non è presente – spiega il giudice – ai consessi rilevanti degli associati e scarse sono le intercettazioni telefoniche o ambientali che lo riguardano direttamente”. Inoltre “non emergono evidenze” di significativi rapporti con gli altri sodali “condotti in autonomia, o comunque dai quali si possa trarre una valutazione sul suo ruolo”. (ANSA)