Un’inattesa rottura fra il MIUR e i sindacati di categoria si è consumata dopo settimane di serrata trattativa e la sottoscrizione di un’intesa politica sull’assegnazione dagli ambiti alle scuole, più nota come “chiamata diretta”, dei docenti assunti secondo le nuove regole stabilite dalla Legge 107/15.
L’obiettivo inizialmente condiviso di stabilire modalità trasparenti e oggettive per garantire l’incontro tra richieste qualitative delle scuole e profilo dei docenti, salvaguardando esperienze e punteggi, è stato disatteso dal ministero in fase di definizione delle procedure e dei requisiti, a conferma della chiara intenzione della ministra Giannini di non tenere fede all’accordo politico e di rompere la trattativa.
A questo punto il timone è passato esclusivamente in mano al Miur che, in maniera raffazzonata e con tempistiche ristrettissime, ha emanato unilateralmente, nel pomeriggio del 22 luglio, le Linee guida da diffondere alle scuole.
In sintesi viene riconosciuta al dirigente scolastico la facoltà di indicare a suo piacimento quali requisiti siano o meno coerenti con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa, attingendo ad una lunghissima e disparata tabella allegata, o anche oltre questa stessa tabella, di svolgere eventualmente un colloquio con i docenti che avanzano domanda e di creare arbitrariamente le connessioni fra requisiti e persone. È evidente che si è voluto proseguire sulla strada della fallimentare legge 107/15, facendo prevalere l’ideologia del comando e la logica della concorrenza tra insegnanti e scuole in una sorta di gara ad ostacoli.
Si tratta di un provvedimento dannoso, che non serve alla scuola italiana. Non serve agli insegnanti che, nella nuova condizione di “docenti di ruolo precari e mobili”, si troveranno ad agire in uno stato di perenne soggezione con le più nefaste conseguenze sul piano dell’esercizio della libertà di insegnamento e ad essere involontari protagonisti di un vero e proprio mercato dei titoli per acquisire “competenze” che poco riguardano la loro professionalità, nel totale disprezzo verso l’esperienza maturata sul “campo”. Non serve alla comunità professionale che, pur chiamata a suo tempo alla predisposizione del piano dell’offerta formativa con relativo fabbisogno di risorse, è completamente esclusa dalle scelte strategiche del Dirigente nell’indicazione dei criteri per il conferimento degli incarichi. Non serve agli studenti, costretti a un ambiente educativo privo dei presupposti minimi di oggettività e di merito, impostato su una visione aziendalistica e verticistica. Non serve al personale ATA che, già fortemente sottodimensionato in termini di organici, sarà sottoposto a nuove molestie burocratiche e ad ulteriori carichi di lavoro proprio nel periodo caldo di fruizione delle ferie. Non serve ai dirigenti scolastici, gravati della responsabilità di dover agire con tempi strozzati nel quadro di un contesto non condiviso dalle parti sociali, privi di garanzie e tutele rispetto ad un contenzioso annunciato.
Il ministero, ancora una volta, ha consapevolmente e volutamente imboccato una strada che mal si concilia con un ambiente di lavoro per sua stessa natura basato sulla condivisione e sulla cooperazione, confermando un’impostazione regressiva e antidemocratica tutta orientata in un’unica direzione, ovvero a ribadire l’arroganza di un governo che ancora una volta interviene a gamba tesa nei confronti della scuola con decisioni intollerabili per il metodo e per i contenuti.
Si afferma così la logica autoritaria dell’uomo solo al comando, mettendo in ginocchio la scuola pubblica così asservita alle logiche del mercato e a dinamiche clientelari. Si disconosce il ruolo irrinunciabile del confronto con le organizzazioni sindacali riproducendo l’atteggiamento che ha contraddistinto i rapporti tra governo Renzi e parti sociali: si presenta una proposta che, però, non è negoziabile ma va accettata così come è stata pensata.
Così facendo si sacrifica ruolo, funzione e missione della scuola pubblica statale, disconoscendo i principi di libertà della didattica, imparzialità, pluralismo, pilastri fondamentale della nostra Carta costituzionale e delineando un sistema di istruzione funzionale a un modello di società autoritario e competitivo, sempre meno incline alla partecipazione democratica, al pensiero critico, alla valorizzazione del bene comune inteso come assunzione di responsabilità condivise.
Quella che il governo Renzi continua a chiamare “Buona scuola” sta dispiegando tutti i suoi effetti nefasti, che i sindacati avevano previsto e su cui hanno chiesto al governo di fare marcia indietro: di questo passo, fra gli evidenti limiti della “chiamata diretta” e la riduzione dell’organico di fatto, possiamo prevedere un avvio di anno scolastico a dir poco problematico. Si annuncia infatti una gestione delle operazioni di assegnazione dei docenti da ambito a scuola che, oltre a essere discrezionali, rendono strutturali i fattori di precarietà derivanti dal venir meno del diritto ad una titolarità di scuola, aggravando pesantemente gli impegni dei dirigenti e degli uffici, aumentando infine i rischi di contenzioso per l’assenza di regole trasparenti e verificabili.
La FLC CGIL di Parma continuerà ad impegnarsi per contrastare gli effetti negativi di tali misure ed è pronta a intraprendere ogni azione che si rendesse necessaria per la tutela dei lavoratori e della loro dignità professionale.