Settanta persone indagate, di cui 44 a piede libero, cinque finite in carcere, 21 ai domiciliari, a vario titolo ritenuti coinvolti in un presunto giro di prostituzione avvenuto all’interno di locali notturni.
Alla chiusura delle indagini, nel novembre 2015, gli indagati sono rimasti 44, nel frattempo in sei hanno patteggiato, mentre le altre posizioni sono state archiviate. Tra le persone indagate ci sono anche due ex poliziotti, tra cui l’ex vicecommissario della mobile Francesco Reda e due avvocati.
Le accuse a vario titolo: favoreggiamento della prostituzione, concussione, falsità ideologica, calunnia ed estorsione. I locali nella quasi totalità dei casi venivano registrati come circoli ricreativi, in realtà erano night veri e propri, con tanto di servizi privé.
Giovedì per Loris Tonelli, ex titolare del Diana Park, già condannato a tre anni in primo grado, è arrivata la conferma della condanna da parte della Corte d’Appello: 3 anni di reclusione e 500 euro di multa per favoreggiamento della prostituzione.
Lui, che oggi gestisce un ristorane italiano a Managua, capitale del Nicaragua, dove si è trasferito con la famiglia, non si nasconde e non scappa. “Sono pronto a pagare il mio debito con la giustizia – fa sapere – ritengo anche che il favoreggiamento sia un’accusa giusta, non la sarebbe invece stata quella di sfruttamento, le ragazze da me guadagnavano 30-50 mila euro al mese, ricevevano in regalo dai clienti auto, case…non mi parrebbe giusto definirle “sfruttate”.
Ricorrerà in Cassazione? “Sì, certo. Ho cambiato legale, mi avvarrò di Francesco Mattioli, stiamo aspettando il dispositivo della sentenza per ricorrere. Non sono e non voglio essere considerato un latitante, se verrà confermata la condanna, tornerò”.
Come fece nel 2012, per farsi notificare l’avvio di garanzia e rispondere ai magistrati. “Ho sbagliato, lo ho capito, ora sono una persone migliore, ero abbagliato dai soldi, dal potere, da tutto ciò che mi girava attorno, ma non voglio fuggire dalla giustizia”.
Ha più avuto contatti coi suoi coimputati? “No, e non so cosa li aspetti, o abbia deciso per loro la magistratura, non mi importa”.
Parliamo del capitolo Aemilia. “Lo ho già detto (LEGGI) e lo ribadisco. Michele Bolognino è un amico, ma io non sono mai stato il suo prestanome, non ne avevo bisogno, e lo ribadirò ai magistrati. Verrò in Italia anche per questo, per chiarire la mia posizione e le cose ingiuste dette su di me. I figli di Bolognino mi davano una mano al Free, in Via Zarotto, ma non c’era nulla di sporco sotto. Quanto a Giglio, lui sì che era un boss, e non ho mai negato di conoscerlo. So che mi accusa di essere stato il prestanome di Bolognino, ma mente. Mi aveva prestato trenta mila euro lui, Giglio, per aprire il Bataclan a Colorno, ma gli ho reso tutto. Mi portava clienti importanti, esponenti della ‘ndrangheta, e offriva loro tutto e di tutto. Ma le cose che ha detto ai magistrati di Aemilia a Bologna sono false”.
Sa cosa mi fa sorridere? Che ero molto amico Mario Illuminato (uno degli assassini di Raffaele Guarino, condannato all’ergastolo ndr) lì si che mi coinvolsero nella camorra ma non centravo nulla era solo un grande amico. A proposito, Mario sta pagando un omicidio con l’ergastolo ma nessuno dice le offese e minacce di morte che aveva subito da Guarino. Li mi misero in mezzo, ma venni assolto, non c’entravo nulla. Ma alla dda faccio una domanda: sono ‘ndranghetista e camorrista? Le due cose si elidono”.
Ha scelto il Nicaragua perché non c’è l’estradizione? “No, perché è il solo posto dove potevo aprire un ristorante coi soldi che mi erano rimasti. Io non scappo, non sono un latitante, lo scriva”.