Noè come Iacobazzi e la Monguidi, ennesimo capo dei vigili nella bufera, seppur con accuse diverse, posizioni meno gravi. Pizzarotti come Vignali, il Comune di Parma di nuovo sull’orlo del commissariamento. Parma senza pace. Parma la ricca nel vortice infinito degli scandali.
Ma perché? Forse perché essere al potere non è come stare in campagna elettorale, o all’opposizione. Forse perché un conto sono le idee, non far accendere un forno già pronto, non fare un ponte inutile, un’altro sono gli interessi che ci stanno. Dentro un inceneritore, sotto un ponte, dentro una metropolitana mai fatta.
Gerardo Laguardia nel 2013 parlò di un sistema strutturato di tangenti e sotterfugi: una parte l’aveva scoperchiata proprio lui. In principio, per stare in tempi recentissimi senza regredire troppo negli anni, fu Green Money 1, tra l’aprile 2009 e gli arresti nel giugno 2010: grazie ad intercettazioni ambientali e telefoniche, venne dimostrato come ogni lavoro per il verde pubblico in città fosse assegnato a prezzi gonfiati a dismisura e previa consegna di cospicue tangenti.
In carcere, in tre, con l’accusa di corruzione: Nunzio Tannoia, nocetano responsabile del settore Atd della municipalizzata, e gli imprenditori Alessandro Forni e Gian Luca Allodi, residenti a Parma, e Francesco Borriello di Casal di Principe.
Le accuse, peculato e corruzione: tangenti e regalie in cambio di consulenze inutili o di appalti gonfiati, con la connivenza degli imprenditori. Il popolo si scatena in piazza, chiede la testa del sindaco che dice “non ne sapevo nulla”.
Nel settembre 2011, ecco Easy Money. In manette finisce l’assessore ai Servizi per l’infanzia Giovanni Paolo Bernini, pidiellino già noto per alcune frequentazioni equivoche con boss camorristi. L’accusa è di corruzione e tentata concussione per aver lucrato sugli appalti per le mense scolastiche. Con lui vengono arrestati il suo braccio destro, Paolo Signorini, e due imprenditori. Vignali si dimette, il Comune finisce commissariato.
Poi arriva la grana Stt, maxiholding comunale a capo di tutte le partecipate del Comune, con un buco da 460 milioni di euro di debiti. Lunedì 21 novembre vengono arrestati dalla Finanza Ivano Savi e Stefania Benecchi, direttore tecnico ed ex direttore amministrativo del colosso pubblico. L’accusa è concussione: avrebbero creato una società a loro riconducibile per intascare tangenti da decine di migliaia di euro sugli appalti del Welfare community center, progetto tramontato con l’arrivo del presidente (commissario di fatto) Massimo Varazzani. Sospetti aleggiano anche sulle gare per il nuovo Palasport e per la Cittadella del cibo al parco Ducale.
La mattina del 16 gennaio 2013 Parma si sveglia con la notizia di un altro terremoto politico-giudiziario, forse più scioccante dei precedenti filoni di indagine sulla corruzione per il verde pubblico. Public Money: 3.5 milioni di euro di soldi pubblici utilizzati per interessi privati, per finanziare l’immagine e la campagna elettorale di Pietro Vignali, ex sindaco di Parma. Oltre a Vignali tra gli arrestati Luigi Giuseppe Villani, vicepresidente di Iren e consigliere regionale del Pdl. Angelo Buzzi, editore del quotidiano Polis e Andrea Costa, ex presidente di Stt e di Alfa. Gli altri indagati, a vario titolo, poi quasi tutti assolti, Tommaso Ghirardi, Alberto Monguidi, Marco Rosi, Aldo Torchiaro, Mirko Dolfen, Emanuela Iacazzi, Tiziano Mauro, Alfonso Bove, Danilo Cucchi, Riccardo Ragni e Antonio Cenini.
Per dirle in sintesi, sorvolando sul crac di Spip e sullo scandalo Tep.
Per tornare ai giorni nostri, velocissimamente. All’ennesimo politico senza amore per la città, forse nemmeno per il denaro, nel caso di Pizzarotti, forse più vittima della propria posizione e di taluna ingenua incompetenza che della fame di denaro. Ma il risultato non cambia: Parma nello scandalo.
La ricchezza divenuta misera merce da cronaca nera, dalla food valley a una valle di…latte avariato, per stare in casa Parmalat. Ed ora, a meno di un anno dalle elezioni, che dobbiamo sperare? Forse, in un sindaco manager, come le strade che stanno prendendo le metropoli.
Imprenditori che magari si sono già sporcati le mani perché fare per impresa in Italia o si è pazzi o furbi (o entrambe), che i soldi già li hanno e sanno gestire una città come un’azienda: sfruttandone e valorizzandone le risorse, anziché mungendole come fossero vecchie bestie destinate al macello mediatico, e non solo.