” Leggiamo sulla stampa locale che, a 200 anni dall’arrivo di Maria Luigia a Parma, la città si prepara a «celebrarne» l’anniversario con un considerevole programma di mostre e iniziative che dureranno quasi un anno, dal prossimo aprile ai mesi iniziali del 2017. Oltre all’amministrazione comunale di Parma e di vari altri comuni della provincia, il progetto «Maria Luigia 2016» vede coinvolti nei «festeggiamenti del bicentenario» numerosi e importanti istituti culturali della città, dall’Università degli studi all’Archivio di Stato, dalla Biblioteca nazionale Palatina al Museo Glauco Lombardi, dal Teatro Regio a vari istituti scolastici. Seguono (ovviamente) le fondazioni bancarie cittadine, la diocesi, l’Ordine costantiniano di San Giorgio e altre altisonanti istituzioni.
Nel comitato d’onore delle celebrazioni verranno poi coinvolti «personalità di rilievo del mondo istituzionale, culturale e accademico», nonché gli ambasciatori d’Austria e di Francia in Italia e gli ambasciatori italiani di Vienna e Parigi. Insomma una possente macchina organizzativa per «commemorare – è scritto nel protocollo d’intesa di questi diversi enti − il personaggio storico, ricordare un’epoca feconda di arte e cultura, stimolare la ricerca storica e coinvolgere la cittadinanza tutta in questa celebrazione». Di un’operazione culturale così articolata e massiccia ci sono chiari molti intenti, a iniziare dalla necessità delle amministrazioni comunali – Parma in primis – di valorizzare il proprio patrimonio architettonico e artistico, vivacizzando il turismo e dunque il circuito commerciale. Così come potrebbe sembrarci stimolante l’occasione − soprattutto per l’Università e gli altri istituti di ricerca – per promuovere nuove ricerche volte a una migliore comprensione dei trent’anni di governo di Maria Luigia e delle dinamiche del suo potere, possibilmente in una prospettiva di decostruzione del mito dell’«amata duchessa». Quello che invece non capiamo affatto è l’intento che sta dietro il progetto di celebrazione del «solenne ingresso in Parma – citiamo ancora dal protocollo d’intesa − di Maria Luigia, Duchessa di Parma Piacenza e Guastalla»! La celebrazione di un determinato passato, il suo recupero e la sua promozione tra la cittadinanza da parte delle istituzioni pubbliche non ha sempre lo stesso valore.
La costruzione della memoria pubblica, cioè delle radici storiche con le quali il presente politico si vuole rappresentare, non è il risultato di una semplicistica e disinteressata promozione di eventi culturali, presi a caso, magari per incoraggiare il turismo. È il frutto invece di un patto di cittadinanza. Un patto col quale la collettività si accorda su ciò che è importante trasmettere alle generazioni future. Un patto spesso guidato dalle istituzioni democratiche quali rappresentanti della collettività.
Questa scelta, dunque, non è neutra, soprattutto in una società come la nostra, globalizzata dalla produzione e dal consumo di merci, una società dove i meccanismi di partecipazione e di sovranità democratica sono in piena crisi. Una società in cui sempre più le comunità tendono a perdere la percezione della propria natura collettiva e, insieme ad essa, a perdere i valori fondanti delle proprie relazioni sociali e culturali. In quale modo, allora, la valorizzazione della «duchessa Maria Luigia» potrebbe assumere, per la nostra società, un profondo valore politico e civile? Cosa dovremmo celebrare della sua figura? Del suo potere politico? Della sua visione del mondo? Il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu affidato al governo dell’ex imperatrice dei francesi Maria Luigia d’Asburgo, moglie di Napoleone Bonaparte, e – soprattutto – arciduchessa e figlia dell’imperatore d’Austria Francesco I, nella fase finale del Congresso di Vienna nel 1815.
Quel Congresso che aveva organizzato la Restaurazione dell’ancien régime dopo i grandi sommovimenti rivoluzionari e napoleonici successivi al 1789 francese. Fu in questo quadro che Maria Luigia venne sistemata (in mancanza di meglio) nel Ducato. Lei, dunque, rappresentò per coloro che avevano sperato negli ideali liberali della Rivoluzione, il volto della reazione assolutistica. Il governo del Ducato, peraltro, fu sempre nelle mani degli incaricati austriaci, da Magawly a Neipperg e Bombelles, mentre il ruolo di Maria Luigia fu puramente formale, non avendo lei alcun interesse per gli affari di Stato. Il suo fu un potere connotato dall’aspirazione a un dispotismo illuminato di tradizione asburgica (più facile da sperimentare in uno stato “a termine” come quello di Maria Luigia, che poteva diventare una vetrina di un progetto politico funzionale al dominio austriaco sul territorio italiano) in opposizione a qualsiasi ipotesi liberale. Anche le famose “munificenze” della duchessa destinate ad opere pubbliche facevano parte di questo progetto di governo dispotico ed erano comunque finanziate dalle tasse dei sudditi. E di concrete manifestazioni per il tanto conclamato amore del popolo per la “buona duchessa” non si trovano tracce, se non convenzionali e comuni a tutti gli stati assolutistici, cioè a quei poteri che, in un modo o nell’altro, dovevano garantire la sopravvivenza del popolino, pena la rivolta.
Questo lo si vide anche nel 1831, quando la città passò senza difficoltà nelle mani degli insorti carbonari e il popolo si mobilitò per impedire la fuga della duchessa presso i reparti austriaci a Piacenza, probabilmente non solo “per amore”, come si favoleggia. Dunque, cosa celebrare? Quale esempio utile alla nostra convivenza democratica possiamo trarne? Quali valori accomunano la nostra democrazia a una sovrana?
Quali nostre radici affondano nella sua storia e nella sua cultura? In alcune interviste, alcuni docenti universitari – promotori del progetto – hanno giustificato con soddisfazione le ricche commemorazioni di Maria Luigia indicando il patrimonio artistico e architettonico edificato negli anni del suo governo. Come se qualcuno proponesse di celebrare qualche dittatore del Novecento, per la semplice ragione che, nel corso del suo regime, ha edificato monumenti e opere artisticamente importanti, funzionali del resto ad esaltare il proprio potere autoritario. Riflettere sul potere di Maria Luigia è senz’altro legittimo, anzi potrebbe essere utile, celebrarlo… beh, almeno discutiamone!”
Centro studi movimenti